A ogni modo, per dire il vero,
la ragione e l’amore oggigiorno vanno di rado assieme.
Vivere è una fregatura, poi muori.
Avercela, questa fortuna!
«Cavolo, Paul, ma non ce l’hai una casa, tu?».
Paul, spaparanzato sul mio divano, guardava una stupida partita di baseball alla mia schifosa TV. Si limitò a sfoderare un ghigno dei suoi e poi, con lentezza snervante, tirò fuori una patatina dal pacchetto che aveva in grembo per infilarsela in bocca tutta intera.
«Te le saresti dovute portare».
Crock crock. «Nah», rispose, senza smettere di sgranocchiare. «Tua sorella mi ha detto di fare come se fossi a casa mia e di servirmi pure».
Cercai di modulare la voce in maniera tale che non fosse chiaro come il sole che stavo per prenderlo a cazzotti. «Ora Rachel è qui?».
Niente di fatto. Capì dove volevo andare a parare e nascose il pacchetto dietro la schiena. Ma, quando lo schiacciò contro il cuscino, si sentì lo scoppio e il contenuto si sminuzzò in mille pezzi.
Paul si portò i pugni vicino al volto, in guardia come un pugile. «Fatti sotto, ragazzino. Non ho bisogno dell’aiuto di Rachel».
Sbuffai. «E come no... Tanto poi vai sempre a piagnucolare da lei».
Rise e si riaccomodò sul divano, abbassando le mani. «Non sono il tipo che va a spifferare tutto a una ragazza. Se pure tu avessi una botta di fortuna, resterebbe fra noi. E viceversa. Giusto?».
Davvero gentile da parte sua pungolarmi. Mi accasciai come se mi fossi arreso. «Giusto».
Tornò a guardare la TV.
Affondai un colpo.
Lo scricchiolio del suo naso al contatto con il pugno fu musica per le mie orecchie. Cercò di agguantarmi, ma prima che potesse trovare un appiglio riuscii a sgusciargli via con il pacchetto di patatine frantumate nella mano sinistra.
«Mi hai rotto il naso, idiota».
«Rimane fra noi. Giusto, Paul?».
Gli portai via la merenda e quando mi voltai vidi che si stava rimettendo a posto il naso per evitare che si deformasse. Il flusso del sangue si era già fermato, ma delle gocce continuavano a scendere dalle labbra fino al mento, come se provenissero da una fonte fantasma. Imprecò e fece una smorfia di dolore mentre si distendeva la cartilagine.
«Sei proprio un rompipalle, Jacob. Ti giuro che certe volte preferirei passare il tempo con Leah».
«Wow, scommetto che Leah sprizzerebbe gioia da tutti i pori se sapesse che non vedi l’ora di stare un po’ con lei. Anzi, mi sa che la notizia le scalderebbe il cuore».
«Dimentica quello che ho detto».
«Contaci. Non me lo lascerò scappare».
«Bleah», grugnì e si rimise comodo sul divano, strofinandosi il collo della maglietta per rimuovere i residui di sangue. «Sei veloce, moccioso, devo ammetterlo». Tornò a concentrarsi sulle immagini sfocate della partita.
Rimasi lì un momento, poi me ne andai a grandi passi in camera mia, a rimuginare sui rapimenti alieni.
Un tempo, alla prospettiva di una bella rissa, Paul non si tirava mai indietro. Non c’era neanche bisogno di colpirlo, bastava il minimo insulto. Andava fuori di testa per un niente. Ma ovviamente ora che volevo una bella zuffa rabbiosa, epica, di quelle che ti sfondano, era diventato una pappamolla.
Non era uno smacco sufficiente che un altro dei nostri avesse subito l’imprinting? Insomma, ormai erano già quattro su dieci! Quando sarebbe finita? Quella stupida leggenda doveva essere un’eccezione, una cosa rara, accidenti! E com’erano stucchevoli, poi, tutti quei colpi di fulmine!
Perché era toccato a mia sorella? Perché era toccato a Paul?
Quando Rachel era tornata dallo Stato di Washington alla fine del secondo semestre, visto che la secchiona si era diplomata prima del tempo, la mia più grande preoccupazione era stata di tenerla all’oscuro del segreto. Difficile, perché non ero abituato a fare tanti misteri in casa mia. Ero solidale con Embry e Collin, dato che i loro genitori non sapevano che fossero licantropi. La madre di Embry pensava che il figlio stesse attraversando una qualche fase di ribellione. Lo tenevano sempre in punizione perché se la svignava di continuo, ma chiaramente il poveraccio non poteva farci niente. Ogni notte sua madre andava in camera a controllare che ci fosse e ogni notte trovava la camera vuota. Lei strillava, lui incassava in silenzio, e il giorno dopo era di nuovo tutto punto e a capo. Avevamo anche cercato di parlare con Sam chiedendogli di mettere la madre di Embry al corrente della faccenda, per dargli un po’ di tregua. Ma Embry ci disse che non gli importava: il segreto era troppo importante.
Così avevo fatto tutti i preparativi del caso per mantenere il segreto. Poi, due giorni dopo il ritorno di Rachel, Paul l’aveva incontrata casualmente in spiaggia. Così, ridendo e scherzando... amore a prima vista! E quando ci si imbatte nell’anima gemella e arriva l’imprinting, quella robaccia da licantropi con annessi e connessi, i segreti non servono più.
Così Rachel venne a sapere tutto quanto. E io mi trovai ad avere Paul per futuro cognato. Nemmeno Billy ne era particolarmente entusiasta, ma gestiva la cosa molto meglio di me. Certo, in quel periodo si rifugiava dai Clearwater più spesso del solito e io non capivo cosa ci guadagnasse. Infatti, si liberava di Paul, ma doveva sorbirsi Leah.
Chissà se un proiettile sparato dritto nella tempia mi avrebbe ucciso, o se invece avrebbe solo combinato un gran casino che poi, per giunta, mi sarebbe toccato pulire?
Mi buttai sul letto. Ero stanco, d’altronde non dormivo dall’ultima volta che ero stato di ronda, ma sapevo che non avrei preso sonno. In testa avevo l’inferno. I pensieri mi ronzavano nel cranio come uno sciame di api disorientate e chiassose. Di tanto in tanto pungevano pure. Dovevano essere calabroni, altro che api. Le api pungono e poi muoiono. Invece, a pungermi ripetutamente erano sempre gli stessi pensieri.
L’attesa mi stava facendo impazzire. Ormai erano passate quasi quattro settimane. A quel punto, in un modo o nell’altro, mi aspettavo di ricevere notizie. Ero rimasto sveglio notti su notti cercando di immaginare sotto quale forma sarebbero arrivate.
Charlie che telefonava singhiozzando per dire che Bella e suo marito erano scomparsi in un incidente. Un disastro aereo? Non sarebbe stato semplice simularlo, a meno che le sanguisughe non si fossero fatte scrupolo di sacrificare un gruppo di passeggeri innocenti per renderlo verosimile. E perché poi? Bastava un piccolo velivolo. Forse ne avevano uno da immolare alla causa.
E se l’assassino fosse tornato a casa da solo, dopo che il tentativo di trasformarla in una di loro era fallito? Forse non ci aveva nemmeno provato. Magari l’aveva maciullata come un pacchetto di patatine, in preda all’impulso di assaporarla? Tutto sommato, la vita di lei era meno importante del piacere di lui...
Oppure immaginavo una versione drammatica: Bella scomparsa in un incidente tremendo, vittima di un’aggressione finita in tragedia. Strozzata con il cibo, a cena. Un incidente d’auto, come mia madre. Era talmente frequente da essere persino banale.
L’avrebbe riportata a casa? L’avrebbe seppellita qui per Charlie? Cerimonia con la bara chiusa, ovviamente. Quella di mia madre l’avevano sigillata con i chiodi...
Speravo almeno che lui tornasse, in modo da averlo a tiro.
O magari non ci sarebbe stata nessuna versione particolare. Charlie avrebbe chiamato mio padre per sapere se aveva notizie del dottor Cullen, visto che un bel giorno non si era fatto vedere al lavoro. L’abitazione era abbandonata e al telefono non rispondeva nessuno. Poi un telegiornale di seconda categoria avrebbe ripreso la notizia, sospettando un crimine...
Forse l’enorme casa bianca sarebbe andata distrutta in un incendio, con tutti quanti intrappolati dentro. Certo, per quello avrebbero avuto bisogno di cadaveri. Otto esseri umani delle dimensioni adatte. Arsi al punto da non essere identificabili nemmeno dalle impronte dentali.
In ogni caso sarebbe stata una bella gatta da pelare, almeno per me. Se non volevano farsi trovare, rintracciarli non sarebbe stata un’impresa facile. Certo, avevo a mia disposizione l’eternità. E quando hai l’eternità puoi setacciare il fienile pagliuzza per pagliuzza finché non sbuca l’ago.
Ora come ora, smantellare un fienile non sarebbe stato un problema. Perlomeno avrei avuto qualcosa da fare. All’idea che potessi lasciarmi sfuggire l’occasione, che le sanguisughe avessero tutto il tempo di scappare — se era quello il loro piano — mi saliva il sangue al cervello.
Potevamo agire già quella notte. Uccidere tutti quelli che trovavamo.
La prospettiva mi andava a genio perché, conoscendo Edward, sapevo che, se avessi ucciso uno della sua congrega, avrei avuto la possibilità di arrivare a lui. Sarebbe venuto a reclamare vendetta e non mi sarei di certo tirato indietro: non avrei lasciato al branco il privilegio di abbatterlo. Solo lui e io e che vinca il migliore.
Ma Sam non avrebbe voluto saperne. Non infrangeremo il patto. Saranno loro a violarlo. Solo perché non avevamo le prove che i Cullen avessero fatto qualcosa di male. Non ancora. Un’aggiunta necessaria, quel "non ancora", perché sapevamo tutti che era inevitabile, che era solo questione di tempo. Bella sarebbe tornata, ma trasformata in una di loro, oppure non sarebbe tornata affatto. In un caso o nell’altro si trattava di una vita umana andata perduta e allora la partita sarebbe iniziata.
Nell’altra stanza Paul ragliava come un asino. Forse aveva cambiato canale e stava guardando una sit-com, oppure una pubblicità esilarante. Qualunque cosa fosse, mi urtava i nervi.
Considerai l’ipotesi di spaccargli il naso un’altra volta. Ma non era con Paul che volevo scontrarmi.
Tentai di concentrarmi su altri suoni, sul vento che soffiava fra gli alberi. Non c’era gusto ad ascoltarlo con orecchie umane, era una cosa completamente diversa. Nel vento c’erano milioni di voci che, ingabbiato in quel corpo, non potevo sentire.
Eppure avevo orecchie abbastanza sensibili. Riuscivo a udire i rumori fin dalla strada, al di là degli alberi, i rumori delle auto che svoltavano all’ultima curva e finalmente arrivavano in prossimità del mare... con le isole, le rocce e l’immenso oceano azzurro che si estendeva fino all’orizzonte. Ai poliziotti di La Push piaceva stare di servizio nei paraggi: i turisti non facevano mai caso al cartello del limite di velocità piazzato dall’altro lato della strada.
Sentivo le voci della gente assembrata fuori dal negozietto di souvenir sulla spiaggia. Sentivo sbatacchiare il campanello tutte le volte che la porta si apriva e si chiudeva. Sentivo la mamma di Embry stampare scontrini alla cassa.
Sentivo le onde infrangersi contro gli scogli. Sentivo le urla dei bambini quando l’acqua gelida li investiva rapida e violenta senza che avessero il tempo di scansarla. Sentivo le mamme lamentarsi per i vestiti inzuppati. E poi sentii una voce familiare...
Ero così preso che l’ennesimo, improvviso raglio di Paul mi fece cascare dal letto.
«Fuori da casa mia», brontolai. Sapendo che non mi avrebbe dato retta, fui io a seguire il mio consiglio. Aprii la finestra con uno strattone e mi calai giù dal retro per non correre il rischio di imbattermi di nuovo in Paul. Sarebbe stata una tentazione troppo forte. Sapevo che l’avrei colpito ancora e, a quel punto, Rachel si sarebbe incazzata sul serio. Vedendo il sangue sulla maglietta avrebbe automaticamente dato la colpa a me. Non a torto, ma insomma...
Mi avviai verso la spiaggia con i pugni in tasca. Mentre attraversavo il parcheggio sterrato attiguo a First Beach nessuno si soffermò a guardarmi. Era uno degli aspetti positivi dell’estate: potevi andartene tranquillamente in giro in pantaloncini senza attirare l’attenzione.
Seguii la voce familiare e trovai Quil senza troppe difficoltà. Stava in una zona appartata della mezzaluna, lontano dalla massa dei turisti. Non smetteva un attimo di blaterare raccomandazioni.
«Allontanati dall’acqua, Claire. Dai. No, no. Oh! Ma brava. E dai, vuoi che Emily mi sgridi? Guarda che non ti porto più in spiaggia se non... Ah sì? Non... bleah! Ti stai divertendo, eh? Ah ah! Chi è che ride ora, eh?».
Quil aveva preso in spalla la piccola, che rideva con il secchiello in mano e i jeans fradici. Lui aveva un’enorme chiazza umida sulla maglietta.
«Io punto sulla ragazzina», dissi.
«Ciao, Jake».
Con uno strillo, Claire scaraventò il secchiello sulle ginocchia di Quil. «Giù, giù!».
Quil l’aiutò a scendere e la bambina mi corse incontro e mi si aggrappò alla gamba.
«Tio Jay!».
«Come va, Claire?».
Rise di gusto. «Quil tuuuuto bagnato».
«L’ho visto. Dov’è la mamma?».
«Non c’è, non c’è, non c’è», gongolò Claire. «Claire gioca con Quil tuuuuto il gionno. Claire non tonna più». Si staccò da me e corse verso Quil che la sollevò e se la rimise in spalla.
«Abbiamo raggiunto i fatidici due anni, eh?».
«A dire il vero, sono tre», mi corresse Quil. «Ti sei perso la festa a tema sulle principesse. Mi ha costretto a indossare una coroncina e poi Emily ha insistito perché facessi da cavia per testare i nuovi trucchi giocattolo».
«Cavolo! Mi dispiace un sacco essermela persa».
«Tranquillo, Emily ha scattato un mucchio di foto. Sono venuto bene, molto sexy».
«Sei un buffone».
Quil fece spallucce. «Claire si è divertita un mondo. Era questo l’importante».
Alzai gli occhi al cielo. Stare in mezzo a quelli che avevano avuto l’imprinting era tutt’altro che facile. Sia che fossero a un passo dal matrimonio come Sam, sia che stessero ancora nella fase "tata super-sfruttata" come Quil, la pace e la sicurezza che emanavano mi davano il voltastomaco.
Claire, sempre sulle spalle di Quil, squittì e indicò per terra. «La pieta, Quil. A me, a me!».
«Quale, ragazzina? Quella rossa?».
«No lossa!».
Quil si mise carponi, mentre Claire strillava e gli tirava i capelli come fossero redini.
«Quella blu?».
«No, no, no...», gongolava la bambina, elettrizzata per quel nuovo gioco.
La cosa assurda era che Quil si divertiva quanto lei. Non aveva dipinta in faccia l’espressione del "quando-arriva-l’ora-della-nanna?", diversamente da molti dei papà e delle mamme in vacanza.
I veri genitori non erano mai così entusiasti di sperimentare tutti gli stupidi passatempi che s’inventavano i loro marmocchi. Invece, avevo visto Quil giocare a nascondino per un’ora intera senza annoiarsi.
E non riuscivo nemmeno a prenderlo in giro: lo invidiavo troppo.
Ovvio, era una fregatura che dovesse fare lo scemo ancora per una quindicina d’anni prima che Claire arrivasse alla sua stessa età. Nel caso di Quil, il fatto che i licantropi non invecchiassero era una manna dal cielo. Ma neanche la prospettiva di aspettare tutto quel tempo sembrava scalfirlo.
«Quil, hai mai pensato di uscire con qualcuna?», domandai.
«Eh?».
«No, no gialla!», s’intromise Claire.
«Cioè, un appuntamento con una vera ragazza. Insomma, solo per un po’, dico. Le sere in cui non sei di turno come babysitter».
Quil mi fissava a bocca aperta.
«Bea pieta! Bea pieta!», strillò Claire quando si accorse che non le proponeva una nuova alternativa. Gli diede un pugnetto in testa.
«Scusa, Clairuccia. Che ne dici di quella viola?».
«No», rise. «Vioa no».
«Bimba, ti supplico, dammi un indizio».
Claire ci pensò su. «Vedde», disse infine.
Quil scrutò le pietre, le esaminò attentamente. Ne raccolse quattro, ognuna di una diversa tonalità di verde, e gliele offrì.
«Ce l’ho fatta?».
«Ti!».
«Quale?».
«Tuuuute!».
Le fece scivolare le pietruzze nelle mani che aveva unito appositamente a formare una coppa. Lei rise e cominciò subito a scaraventargliele in testa. Quil reagì con una serie di smorfie di dolore esageratamente teatrali, poi si rialzò in piedi e si diresse verso il parcheggio.
Probabilmente temeva che con i vestiti bagnati lei prendesse troppo freddo. Era peggio di una madre paranoica e iperprotettiva.
«Scusa se sono stato indelicato prima, con la storia delle ragazze», dissi.
«Nah, è tutto a posto», rispose Quil. «Mi hai solo colto di sorpresa, tutto qui. Non ci avevo mai pensato».
«Immagino che capirebbe. Cioè... quando sarà grande. Insomma, non darà in escandescenze solo perché hai avuto una vita quando lei portava ancora il pannolino».
«No, lo so. Sono sicuro che capirebbe».
Non aggiunse altro.
«Ma non lo farai, vero?», tirai a indovinare.
«Non mi ci vedo», disse sottovoce. «Non mi ci immagino. È che... non le considero neanche sotto quell’aspetto. Non noto più le ragazze. Non le guardo proprio».
«Aggiungiamo pure questo alla corona e al trucco e mi sa tanto che Claire dovrà preoccuparsi di un altro genere di concorrenza».
Quil rise e cominciò a lanciarmi dei baci. «Sei libero venerdì, Jacob?».
«Ti piacerebbe», risposi e poi gli feci una smorfia. «Comunque sì, credo di sì».
Esitò un attimo, poi disse: «E tu? Ci pensi mai a uscire con qualcuna?».
Sospirai. Forse mi ero aperto troppo.
«Sai, Jake, forse dovresti prendere in considerazione l’idea di farti una vita».
Non stava scherzando. Il tono della sua voce era affettuoso. Il che era ancora peggio.
«Non le noto neppure io, Quil. Non le guardo nemmeno».
Sospirò anche lui.
Lontano, così debole che nessuno oltre noi due poteva sentirlo al di sopra dello sciabordio delle onde, dalla foresta si levò un ululato.
«Cavolo, è Sam», disse Quil. Sollevò le mani per toccare Claire, come per accertarsi che fosse ancora lì. «Non so dov’è sua madre!».
«Vedo io di cosa si tratta. Se c’è bisogno di te ti faccio un fischio». Parlai con troppa foga e biascicai tutte le parole assieme. «Ehi, perché non la porti dai Clearwater? Se occorre, la terranno d’occhio Sue e Billy. Magari sanno pure cos’è successo».
«Okay... Diamoci una mossa, Jake!».
Partii a tutta birra. Non presi il sentiero sterrato fra le erbacce, ma quello più breve che conduceva alla foresta. Superai i cumuli di legname e poi mi feci largo fra i rovi senza interrompere la corsa. Ogni volta che le spine mi si conficcavano nella pelle sentivo delle piccole lacerazioni, ma le ignoravo. Si sarebbero cicatrizzate prima che fossi arrivato agli alberi.
Tagliai dietro il negozio e sfrecciai attraverso l’autostrada. Qualcuno suonò il clacson. Quando fui al sicuro, protetto dagli alberi, accelerai il ritmo, procedendo a falcate più lunghe. Se lo avessi fatto alla luce del sole avrei attirato l’attenzione. Le persone normali non correvano così. A volte pensavo che sarebbe stato divertente imbucarsi a una gara, ai trial olimpici o a una cosa del genere. Sarebbe stato fico osservare le espressioni sui volti degli atleti famosi mentre gli saettavo accanto. Solo che ero praticamente certo che i test per verificare che non prendevo steroidi avrebbero rivelato la presenza di chissà quale porcheria nel mio sangue.
Non appena mi ritrovai nella foresta, a distanza di sicurezza da strade o case, mi fermai di botto e mi tolsi i pantaloncini. Con movimenti rapidi ed esperti li arrotolai e li legai alla cordicella di pelle che avevo alla caviglia. Mentre ancora li stavo stringendo bene iniziai a trasformarmi. Una scarica di fuoco mi fece vibrare la spina dorsale e diffuse spasmi acuti fino alle braccia e alle gambe. Durò un attimo. Il calore m’invase e sentii il fremito silenzioso che mi mutava in qualcos’altro. Affondai le zampe per terra e distesi la schiena con un movimento ampio e dondolante.
Trasformarmi era un gioco da ragazzi quando ero così concentrato. L’umore non mi creava più alcun problema, esclusi i rari casi in cui mi ostacolava.
Per una frazione di secondo ripensai all’orribile momento di quello scherzo di pessimo gusto che era stato il matrimonio. Ero così offuscato dalla rabbia da non riuscire a dominare il mio corpo. Mi sentivo in trappola, tremavo e bruciavo, ma non ero in grado di trasformarmi per ammazzare il mostro che stava a pochi passi da me. Ero andato nel pallone. Morivo dalla voglia di ucciderlo e, insieme, dal timore di fare del male a lei. C’erano i miei amici di mezzo. E poi, quando finalmente ero riuscito ad assumere le sembianze che volevo, era arrivato l’ordine del capo: l’editto dell’alfa. Se quella sera ci fossero stati soltanto Embry e Quil, ma non Sam, sarei arrivato a uccidere l’assassino?
Non sopportavo che Sam dettasse legge a quel modo. Odiavo soprattutto la sensazione di impotenza, l’impossibilità di scegliere, la necessità di obbedire.
Poi mi accorsi che qualcuno ascoltava. Non ero solo, nei miei pensieri.
Il solito egocentrico, pensò Leah.
Già, almeno io non sono ipocrita, Leah, pensai a mia volta.
Piantatela, ragazzi, ci ammonì Sam.
Restammo in silenzio e sentii Leah fare una smorfia alla parola ragazzi. Suscettibile come sempre.
Sam finse di non accorgersene. Dove sono Quil e Jared?
Quil è con Claire, ha sta portando dai Clearwater.
Bene, Sue si prenderà cura di lei.
Jared invece stava andando da Kim, pensò Embry. Mi sa che non ti ha sentito.
Si levò un lamento. Mugolai anch’io assieme al resto del branco. Quando Jared fosse apparso, con tutta probabilità avrebbe ancora avuto il pensiero fisso su Kim. E nessuno aveva voglia di sorbirsi il resoconto dettagliato di quello che stavano combinando in quel momento.
Sam si acquattò e lanciò un altro ululato che squarciò il cielo. Era insieme un segnale e un ordine.
Il branco si era radunato poco lontano dal punto in cui mi trovavo. M’inoltrai nel folto della foresta a grandi falcate per avvicinarmi più veloce che potevo. Anche Leah, Embry e Paul si davano da fare per raggiungere gli altri. Leah era vicina: i suoi passi riecheggiavano nel bosco, poco distante. Proseguimmo in linea parallela, decisi a restare separati.
Non rimarremo ad aspettarlo tutto il giorno. Si rimetterà in pari dopo.
Allora, capo? Paul era curioso.
Dobbiamo parlare. È successa una cosa.
Vidi i pensieri di Sam guizzare verso di me, insieme a quelli di Seth, Collin e Brady. Questi ultimi, i due nuovi, erano stati di ronda con lui quel giorno, perciò sapevano tutto quello che sapeva lui. Mi sfuggiva perché Seth fosse già lì e per di più al corrente dei fatti. Non era di turno.
Seth, di’ cosa hai sentito.
Accelerai, smanioso di raggiungerli. Sentii che anche Leah si muoveva più svelta. Detestava essere superata. Il solo primato che reclamava era quello di essere la più veloce.
Reclama questo, pezzo di scemo, sibilò, e a quel punto ingranò la marcia. Affondai le unghie nella terra grassa e mi lanciai come un razzo.
Sam non era dell’umore giusto per tollerare le nostre solite smargiassate. Jake, Leah, dateci un taglio.
Nessuno di noi rallentò.
Sam ringhiò, ma lasciò correre. Seth?
Charlie ha fatto un giro di telefonate finché ha trovato Billy a casa mia.
Sì, ci ho parlato, aggiunse Paul.
Sobbalzai quando Seth pensò il nome di Charlie. Eccoci. L’attesa era finita. Presi a correre più veloce, sforzandomi di respirare, anche se di colpo avvertii una specie di indolenzimento ai polmoni.
Quale versione avevano scelto?
E insomma... è completamente fuori di testa. Edward e Bella sono tornati più o meno da una settimana...
La stretta al torace si allentò.
Era viva. O perlomeno non era morta morta.
Solo allora afferrai la differenza. Per tutto quel tempo l’avevo pensata morta e me ne rendevo conto solo adesso. Capii che non avevo mai preso in considerazione l’ipotesi che la riportasse indietro sana e salva. Che cosa cambiava, però, in fin dei conti? Sapevo bene cosa sarebbe successo dopo.
Sì, fratello, e adesso arrivano le cattive notizie. Charlie le ha parlato e non gli è sembrata in forma. Dice di essere malata. Secondo Carlisle ha contratto un morbo raro in Sudamerica e adesso è in quarantena. Charlie sta impazzendo perché non gliela fanno vedere. Dice che è disposto a correre il rischio del contagio, ma Carlisle non transige. Niente visite. Ha detto a Charlie che le sue condizioni sono gravi, ma sta facendo tutto il possibile. Prima di chiamare Billy, Charlie si è macerato per giorni. Ha detto che dalla voce gli era sembrato che oggi stesse ancora peggio.
Quando Seth ebbe concluso, seguì un silenzio di tomba. Capimmo tutti.
Per quanto ne sapeva Charlie, quella malattia l’avrebbe uccisa. Sarebbe riuscito almeno a vedere il cadavere? Quel corpo pallido, completamente immobile, senza alcun soffio di vita? Non gli avrebbero permesso di toccare la sua pelle fredda, perché si sarebbe accorto di quanto fosse granitica. Avrebbero dovuto aspettare che Bella fosse capace di controllarsi, di trattenersi e resistere alla tentazione di uccidere Charlie e chiunque andasse a piangerla. Quanto tempo ci sarebbe voluto?
L’avrebbero seppellita? Si sarebbe dissotterrata da sé, o ci avrebbero pensato i succhiasangue?
Gli altri ascoltavano le mie elucubrazioni in silenzio. Avevo elaborato i pensieri molto più meticolosamente di loro.
Leah e io giungemmo nella radura quasi contemporaneamente. Però, era certa che il suo naso avesse tagliato per primo il traguardo. Si accovacciò accanto al fratello mentre io trottavo per prendere posto alla destra di Sam. Paul si scansò e mi fece spazio.
Ho vinto io pure stavolta, pensò Leah, ma non ci badai.
Mi chiedevo perché fossi l’unico ancora in piedi. Fremevo d’impazienza, mi si rizzò il pelo sulla schiena.
Be’, che aspettiamo?, chiesi.
Non ricevetti risposta, ma percepii la loro esitazione.
E dai, il patto è infranto!
Non abbiamo prove... Forse è davvero malata...
MA PER PIACERE!
Okay, diciamo che gli indizi sono piuttosto eloquenti. Però... Jacob. I pensieri di Sam rallentarono, titubava. Sei sicuro che è quello che vuoi? Che sia la cosa giusta? Sappiamo tutti cosa voleva lei.
Sam, il patto non accenna alle preferenze della vittima!
È davvero una vittima? È così che la definiresti?
Sì!
Jake, pensò Seth, non sono nostri nemici.
Chiudi il becco, moccioso! La tua adorazione malsana per quel succhiasangue non cambia la legge! Sono nostri nemici. Si trovano nel nostro territorio. Li elimineremo. Me ne frego se in passato ti sei divertito a combattere al fianco di Edward Cullen.
E cosa farai quando Bella lotterà assieme a loro, Jacob? Eh?, m’incalzò Seth.
Non è più Bella.
Sarai tu ad abbatterla?
Non potei fare a meno di trasalire al pensiero.
No. E allora? Lascerai che sia uno di noi a farlo? Per poi portargli eternamente rancore?
Io non...
Certo che no. Non sei pronto per questa battaglia, Jacob.
L’istinto ebbe la meglio e mi acquattai ringhiando verso il lupo allampanato dal pelo color sabbia che stava dall’altra parte del cerchio.
Jacob!, mi ammonì Sam. Seth, stai zitto un attimo.
Seth annuì con il testone.
Cavolo, cosa mi sono perso?, pensò Quil. Correva verso il luogo della riunione a tutta birra. Ho sentito della telefonata di Charlie...
Stiamo per metterci in moto, gli dissi. Perché non passi da Kim e trascini qui Jared con i denti? C’è bisogno di tutti.
Quil, raggiungici subito, ordinò Sam. Non abbiamo ancora deciso niente.
Ringhiai.
Jacob, io devo pensare al bene del branco. Devo scegliere la linea di condotta che tuteli al meglio tutti. I tempi sono cambiati da quando i nostri antenati sancirono il patto. Io, be’, onestamente non credo che i Cullen rappresentino un pericolo per noi. E sappiamo pure che non si fermeranno qui a lungo. Di certo, non appena avranno raccontato la loro versione dei fatti, spariranno. E le nostre vite torneranno alla normalità.
Normalità?
Se li sfidiamo, Jacob, si difenderanno bene.
Li temi?
Sei davvero così pronto a perdere un fratello? Fece una pausa. O una sorella?, aggiunse ripensandoci.
Non ho paura di morire.
Lo so, Jacob. Per questo nutro seri dubbi sulla tua capacità di giudizio.
Fissai i suoi occhi neri. Intendi onorare il patto dei nostri padri oppure no?
Intendo onorare il mio branco. Faccio ciò che è meglio per il branco.
Codardo.
Irrigidì il muso e scoprì i denti.
Basta, Jacob. La tua proposta è respinta. La voce mentale di Sam cambiò, assumendo lo strano doppio timbro al quale era impossibile disobbedire: la voce dell’alfa. Incrociò lo sguardo dei lupi che componevano il cerchio. Il branco non attaccherà i Cullen a meno che non siano loro a provocarci. Non tradiremo lo spirito del patto. Non rappresentano un pericolo per la nostra gente e nemmeno per gli abitanti di Forks. Bella Swan ha preso la sua decisione sapendo a cosa andava incontro e non puniremo quelli che un tempo sono stati nostri alleati per via della sua scelta.
Senti senti, si entusiasmò Seth.
Pensavo di averti detto di chiudere quella boccaccia, Seth.
Ops. Scusami, Sam.
Jacob, dove credi di andare?
Stavo uscendo dal cerchio per spostarmi di lato, in modo tale da voltargli le spalle. Vado a dire addio a mio padre. A quanto pare non ho motivo di trattenermi oltre.
Ah! Jake... non farlo un’altra volta!
Zitto, Seth, pensarono all’unisono diverse voci.
Non vogliamo che te ne vada, mi disse Sam, ammorbidendo il tono del pensiero.
Be’... obbligami a rimanere, Sam. Privami della volontà. Fai di me uno schiavo.
Sai che non arriverò a tanto.
Allora non abbiamo altro da dirci.
Mi allontanai di corsa, cercando con tutto me stesso di non pensare a cosa stava per succedere. Mi concentrai invece sui ricordi dei lunghi mesi vissuti da lupo. In quel periodo il mio lato umano si era andato via via affievolendo, finché non mi ero ritrovato a sentirmi più una bestia che un uomo. Vivevo il presente, momento per momento: mangiavo quando avevo fame, dormivo quando ero stanco, bevevo quando avevo sete, e correvo... correvo per il puro gusto di correre. Desideri semplici appagati da risposte altrettanto semplici. Qualsiasi dolore era facile da gestire, da placare, fosse quello della fame, del ghiaccio sotto le zampe, delle unghie che si spezzavano quando la cena bisognava guadagnarsela. Ogni dolore scatenava una risposta semplice, un’azione inequivocabile che vi poneva fine.
Per gli uomini era del tutto diverso.
Giunto a un tiro di schioppo da casa, ripresi le sembianze umane.
Avevo bisogno di pensare da solo.
Slegai i pantaloncini e li indossai senza interrompere la mia corsa.
Ce l’avevo fatta. Ero riuscito a tenere per me i miei pensieri ed era troppo tardi perché Sam mi fermasse. Ormai non poteva più ascoltarmi.
Sam aveva emesso una sentenza molto chiara. Il branco non avrebbe attaccato i Cullen. Bene.
Non aveva fatto cenno all’iniziativa dei singoli.
No, il branco non avrebbe attaccato nessuno.
Io sì.
In realtà, non avevo in programma di dire addio a mio padre.
Dopotutto, gli sarebbe bastato chiamare Sam per smascherarmi. Mi avrebbero intercettato e costretto a tornare. Probabilmente avrebbero cercato di farmi arrabbiare o di ferirmi, qualsiasi cosa che mi portasse a trasformarmi, in modo che Sam potesse imporre una nuova legge.
Tuttavia Billy mi aspettava, consapevole che dovevo essere piuttosto agitato. Era in cortile sulla sedia a rotelle, gli occhi fissi proprio sul punto in mezzo agli alberi dal quale sbucai. Mi seguì con lo sguardo mentre passavo alla svelta davanti a casa, diretto verso il mio garage improvvisato.
«Hai un minuto, Jake?».
Mi fermai di botto. Osservai prima lui, poi la rimessa.
«Forza, figliolo. Aiutami a entrare almeno».
Strinsi i denti, ma sapevo che se non gli avessi mentito per qualche minuto avrebbe potuto crearmi noie con Sam.
«Da quand’è che hai bisogno di aiuto, vecchio?».
Esplose nella sua risata fragorosa. «Ho le braccia stanche. Non ho fatto altro che spingere per tornare qui da casa di Sue».
«Ma se è tutta in discesa».
Spinsi la sedia a rotelle sulla rampa che gli avevo costruito e lo portai in soggiorno.
«Beccato! Credo di aver sfiorato i cinquanta all’ora. È stato grandioso».
«Finirai per distruggerla, questa carrozzella. E poi te ne andrai in giro strisciando sui gomiti».
«Non se ne parla. Toccherà a te portarmi in giro».
«Allora non andrai lontano».
Billy assunse il comando del mezzo e fece rotta verso il frigo. «È rimasto qualcosa da mangiare?».
«Bella domanda. Paul è stato qui tutto il giorno, perciò immagino di no».
Billy sospirò. «Dovremo cominciare a nascondere le provviste se non vogliamo morire di fame».
«Di’ a Rachel di trasferirsi da lui».
Billy abbandonò il tono scherzoso e gli si addolcirono gli occhi. «Sta a casa con noi solo per qualche settimana. Da tanto non si tratteneva così a lungo. È dura: le ragazze erano più grandi di te quando la mamma ci ha lasciati. Per loro è più difficile stare qui».
«Lo so».
Rebecca non era tornata nemmeno una volta da quando si era sposata. Almeno lei aveva un buon alibi: il viaggio in aereo dalle Hawaii era un salasso. L’università di Washington State invece non era altrettanto lontana, perciò Rachel non poteva accampare la stessa scusa. Non perdeva mai una lezione, nemmeno nei semestri estivi, e durante le vacanze faceva i doppi turni in un bar del campus. Non fosse stato per Paul, se ne sarebbe andata via presto anche stavolta. Forse per questo Billy non lo buttava fuori a calci nel sedere.
«Bene, ho del lavoro da sbrigare...». Mi avviai verso la porta sul retro.
«Aspetta, Jake. Non mi dici cos’è successo? Devo chiamare Sam per avere notizie?».
Gli voltavo le spalle, per nascondere il viso.
«Niente. Sam gliel’ha data vinta a tavolino. Fra un po’ finiremo a fare il tifo per le sanguisughe».
«Jake...».
«Non ne voglio parlare».
«Vai via, figliolo?».
La stanza sprofondò nel silenzio mentre studiavo il modo migliore per dirglielo.
«Rachel può riprendersi la sua stanza. So che odia quel materasso gonfiabile».
«Piuttosto che perderti preferirebbe dormire sul pavimento. E pure io».
Sbuffai.
«Jacob, per favore. Se hai bisogno di... staccare. Sì, insomma, prenditi una pausa. Ma stavolta torna prima».
«Vediamo. Magari mi specializzo in matrimoni. Farò una comparsata a quello di Sam e poi a quello di Rachel. Anche se Jared e Kim potrebbero anticipare tutti quanti. Forse dovrei procurarmi un completo o qualcosa del genere».
«Jake, guardami».
Mi voltai lentamente. «Che c’è?».
Mi fissò dritto negli occhi, a lungo. «Dove vai?».
«A dire il vero non ci ho ancora pensato nel dettaglio».
Chinò la testa, socchiudendo gli occhi. «No?».
Ci scambiammo un intenso sguardo di sfida. Il tempo passava.
«Jacob», disse, con voce grave. «Jacob, non farlo. Non ne vale la pena».
«Non so di cosa parli».
«Lascia in pace Bella e i Cullen. Ha ragione Sam».
Lo osservai per un istante, poi attraversai la stanza con due lunghe falcate. Afferrai il telefono e scollegai il cavo dall’apparecchio e dallo spinotto. Appallottolai il filo grigio nel palmo della mano. «Ciao, papà».
«Jake, aspetta...», mi gridò. Ma io ero già fuori dalla porta e correvo.
Di corsa avrei fatto più in fretta, ma la moto era più discreta. Chissà quanto avrebbe impiegato Billy a raggiungere il negozio e a chiamare qualcuno che recapitasse il messaggio a Sam. Ero sicuro che Sam non aveva ancora ripreso l’aspetto umano. Il problema era l’eventuale rientro di Paul a casa nostra. Si sarebbe trasformato in un secondo e avrebbe messo Sam al corrente di quello che stavo per fare...
Non m’importava. Sarei andato a tutta birra e, se mi avessero preso, me ne sarei preoccupato al momento debito.
Misi in moto e partii sul viottolo fangoso. Non mi guardai alle spalle quando passai davanti a casa.
In autostrada c’era il traffico dei turisti: zigzagai fra le macchine beccandomi un mucchio di colpi di clacson e qualche gestaccio. Imboccai la curva che sbucava sulla 101 a centodieci, senza guardare. Dovetti restare in coda per un minuto buono per evitare di farmi spappolare da un furgoncino. Non mi avrebbe ucciso, ma mi avrebbe rallentato. Le ossa rotte ci mettevano giorni a guarire completamente, io lo sapevo bene.
Il traffico si diradò leggermente e arrivai a toccare i centotrenta. Non sfiorai nemmeno il freno finché non fui in prossimità del vialetto; pensavo di essere fuori pericolo ormai. Sam non sarebbe arrivato fin lì per fermarmi. Era troppo tardi.
Fu solo allora, quando ebbi la certezza di avercela fatta, che iniziai a riflettere seriamente sulla mia decisione. Rallentai fino ai trenta, prendendo le curve fra gli alberi più piano del necessario.
Sapevo che, moto o non moto, mi avrebbero sentito arrivare, perciò niente effetto sorpresa. Impossibile camuffare le mie intenzioni. Non appena fossi stato abbastanza vicino, Edward avrebbe sentito il mio piano. Forse lo aveva già percepito. Ma pensavo che avrebbe funzionato comunque, perché in qualche modo lo avevo dalla mia parte. Anche lui voleva affrontarmi da solo.
Allora sarei entrato in casa, avrei visto con i miei occhi la prova a cui Sam teneva tanto e avrei sfidato Edward a duello.
Sbuffai. Magari, vista la teatralità della situazione, il parassita ci avrebbe preso ancora più gusto.
Finito con lui mi sarei occupato degli altri, ne avrei fatti fuori il più possibile prima che fossero loro a distruggere me. Chissà se Sam avrebbe considerato la mia morte una provocazione. Forse avrebbe detto che me l’ero meritata. Di certo non avrebbe fatto un torto ai succhiasangue, i suoi nuovi amichetti del cuore.
La stradina terminava sul prato. Appena fui lì, il tanfo mi colpì in piena faccia come un pomodoro marcio. Puah. Vampiri puzzolenti. Mi si rivoltò lo stomaco. Difficile tollerare quel fetore, specie adesso che non era più stemperato dall’odore umano, come l’ultima volta che ero stato lì. Ma sarebbe stato anche peggio se l’avessi dovuto annusare con l’olfatto da lupo.
Non sapevo cosa aspettarmi esattamente, ma non c’erano segni di vita intorno alla grande cripta bianca. Di sicuro sapevano che ero lì.
Spensi il motore e ascoltai il silenzio. Spiccava soltanto un brusio teso e nervoso che proveniva dall’altro lato delle porte a due battenti. In casa c’era qualcuno. Udii il mio nome e sorrisi: faceva piacere sapere che davo qualche grattacapo.
Presi una grossa boccata d’aria, visto che dentro sarebbe stato anche peggio, e con un balzo fui in cima alle scale della veranda.
La porta si aprì prima ancora che bussassi. Sulla soglia c’era il dottore. Aveva un’espressione grave.
«Ciao, Jacob», disse, molto più tranquillo di quanto mi sarei aspettato. «Come va?».
Spalancai la bocca e inspirai a fondo. Il puzzo che fuoriusciva dalla porta era opprimente.
Ero deluso di trovarmi di fronte Carlisle. Avrei preferito che ad accogliermi ci fosse Edward, con le zanne in bella mostra. Carlisle era così... umano, o qualcosa del genere. Forse era perché la primavera precedente, quando ero ridotto male, mi aveva curato a casa mia, ma mi sentivo a disagio mentre lo guardavo in faccia e allo stesso tempo progettavo di ucciderlo alla prima occasione.
«Ho sentito che Bella è sana e salva», dissi.
«Ehm, Jacob, non è il momento». Il dottore sembrava a disagio, ma non nel modo che mi aspettavo. «Possiamo occuparcene dopo?».
Lo fissai. Ero stupefatto. Mi stava chiedendo di posticipare il duello mortale a un momento più consono?
Fu allora che sentii la voce di Bella, rotta e rauca, e non riuscii a pensare ad altro.
«Perché no?», chiese. «Abbiamo dei segreti anche per Jacob? Che motivo c’è?».
La sua voce era diversa da come me l’aspettavo. Tentai di ricordare le voci dei vampiri contro cui avevamo combattuto in primavera, ma non avevo registrato altro che ringhi. Forse i neonati non avevano sviluppato le voci acute e squillanti degli anziani. Forse i vampiri giovani erano tutti rauchi.
«Jacob, entra pure», gracchiò Bella, un po’ più forte.
Gli occhi di Carlisle diventarono una fessura.
Chissà se Bella aveva sete. Anche i miei occhi s’affilarono.
«Mi scusi», dissi al dottore aggirandolo. Era dura: dare le spalle a uno di loro andava contro il mio istinto. Ma non era impossibile. Se esisteva un vampiro innocuo, era proprio lui: quel loro capo così stranamente gentile.
Mi sarei tenuto alla larga da Carlisle durante lo scontro. Anche lasciando fuori lui, ne avrei avuti in abbondanza da uccidere.
Entrai in casa strisciando lungo le pareti. Scrutai la stanza: era strana. L’ultima volta l’avevo vista addobbata a festa. Ora tutto era svuotato e sbiadito, compresi i sei vampiri che facevano capannello vicino al divano bianco.
Erano tutti li, insieme, ma non fu quello che mi paralizzò e mi lasciò a bocca aperta.
Fu Edward, l’espressione del suo volto.
L’avevo visto infuriato, l’avevo visto arrogante, una volta l’avevo anche visto soffrire. Ma quello... quello superava di gran lunga anche i più atroci tormenti. Sembrava spiritato. Non mi guardò nemmeno. Teneva gli occhi bassi, fissi sul divano, con l’espressione di un uomo divorato dalle fiamme. Le mani gli pendevano lungo i fianchi come artigli rigidi.
Non riuscii neppure a rallegrarmi per la sua profonda angoscia. Pensai all’unica cosa che poteva averlo ridotto così e il mio sguardo seguì il suo.
La vidi nell’attimo esatto in cui percepii il suo odore.
Il suo odore caldo, pulito, umano.
Bella era quasi del tutto nascosta dal bracciolo del divano. Rannicchiata in posizione fetale, si stringeva le ginocchia fra le braccia. Per un istante interminabile non vidi niente, se non che era rimasta la Bella che amavo: la sua pelle era ancora morbida, vellutata come una pesca, e i suoi occhi color cioccolato. Il cuore mi prese a battere a un ritmo strano, come se fosse andato in tilt. Magari era solo un sogno ingannatore dal quale mi sarei risvegliato presto.
Poi la realtà si aprì ai miei occhi.
Aveva occhiaie profonde, cerchi scuri che risaltavano sul volto scheletrico. Era dimagrita? La pelle era tiratissima, sembrava che da un momento all’altro gli zigomi potessero squarciarla e le ossa sbucare fuori. I capelli scuri erano tirati indietro, acconciati in una crocchia arruffata, ma alcune ciocche le ricadevano inerti sulla fronte e sul collo, appiccicate al velo di sudore sulla pelle. Le dita e i polsi sembravano fragilissimi. Era uno spettacolo inquietante.
Era malata. Molto malata.
Non era una bugia. La storia che Charlie aveva raccontato a Billy non era una fandonia qualsiasi. Mentre la fissavo, con gli occhi fuori dalle orbite, vidi la sua pelle diventare verdastra.
Rosalie, la vampira bionda e appariscente, m’ostacolava la visuale: era china su di lei e le ronzava intorno in modo strano e protettivo.
C’era qualcosa che non andava. Conoscevo Bella troppo bene, sapevo cosa provava, i suoi pensieri erano fin troppo ovvi per me; a volte sembrava che li avesse stampati in fronte. Perciò poteva anche risparmiarmi i dettagli senza che ciò mi impedisse di capire la situazione. Mi ricordavo che Rosalie non piaceva a Bella. L’avevo intuito dalla maniera in cui contraeva le labbra quando ne parlava. Anzi, non è che non le piacesse e basta. Bella aveva, o perlomeno aveva avuto, paura di Rosalie.
Ma nel modo in cui la guardava adesso non c’era ombra di timore. Aveva un’espressione quasi contrita. Rosalie prese una bacinella da terra e la mise sotto il mento di Bella appena in tempo perché potesse vomitarci dentro.
Edward s’inginocchiò di fianco a Bella, con quel suo sguardo tormentato, e Rosalie sollevò la mano come ad ammonirlo, quasi intimandogli di tenersi a distanza.
Non aveva senso.
Quando riuscì a sollevare la testa, Bella mi sorrise debolmente, come imbarazzata. «Scusami tanto», mi sussurrò.
Edward gemeva piano, la testa affondata nelle ginocchia di Bella. Lei gli mise una mano sulla guancia, come se lui avesse bisogno di conforto.
Mi resi conto che le gambe mi avevano spinto tanto in là solo quando Rosalie mi rivolse un sibilo, materializzandosi all’improvviso fra me e il divano. La sua presenza mi lasciava del tutto indifferente. Sembrava un’immagine trasmessa da uno schermo televisivo. Irreale.
«Rose, no», bisbigliò Bella. «Va tutto bene».
La bionda si fece da parte, ma la sua irritazione era più che evidente. Mi fulminò con uno sguardo e si rannicchiò vicino alla testa di Bella, pronta a scattare se fosse stato necessario. Ignorarla mi riusciva più semplice di quanto avrei mai sognato.
«Bella, cosa ti è successo?», bisbigliai. Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai anch’io in ginocchio, chino sulla spalliera del divano di fronte a suo... marito. Sembrava non badasse a me e io lo guardai appena. Presi la mano di Bella fra le mie. Era gelida. «Stai bene?».
Domanda stupida. Non rispose.
«Sono felice che tu sia venuto a trovarmi, Jacob», disse.
Sebbene sapessi che lui non era in grado di ascoltare i suoi pensieri, Edward sembrò carpire nelle sue parole dei significati che a me sfuggivano. Riprese a gemere sulla coperta che l’avvolgeva e lei lo accarezzò di nuovo.
«Cosa c’è, Bella?», insistetti, stringendo le sue dita fredde fra le mani.
Anziché rispondere, lasciò vagare uno sguardo per la stanza, come se cercasse qualcosa, con un’espressione insieme implorante e minacciosa. Sei paia di occhi gialli, frementi d’ansia, la osservavano perplessi. Poi si rivolse a Rosalie.
«Mi aiuti, Rose?», le chiese.
Rosalie tese le labbra scoprendo i denti e mi guardò come volesse sgozzarmi. Ero certo che l’avrebbe fatto.
«Ti prego, Rose».
La bionda storse il muso e si chinò di nuovo su di lei, accanto a Edward che non si mosse di un millimetro. Le cinse subito le spalle.
«No», sussurrai. «Non alzarti». Sembrava così debole.
«Sto rispondendo alla tua domanda», disse seccata, con un tono che finalmente mi ricordava quello che usava di solito con me.
Rosalie aiutò Bella a sollevarsi dal divano. Edward restò dov’era, si lasciò cadere in avanti fino ad affondare il volto fra i cuscini. La coperta cascò per terra, ai piedi di Bella.
Il suo corpo era gonfio, il busto era ingrossato in modo strano, malsano. Riempiva una scolorita felpa grigia, troppo grande per le sue spalle e le sue braccia. Per il resto sembrava dimagrita, come se quella escrescenza si fosse alimentata di ciò che aveva succhiato a lei. Ci misi un po’ ad accorgermi qual era la parte deforme: lo compresi solo quando si portò le mani sulla pancia dilatata, una sopra e una sotto, con tenerezza, come a cullarla.
Lo capii ma non potevo crederci. L’avevo vista appena un mese prima. Era impossibile che fosse incinta. Così incinta.
Eppure lo era.
Non volevo accettarlo, non volevo pensarci. Non volevo immaginare lui dentro di lei. Non volevo sapere che qualcosa che odiavo tanto avesse messo radici nel corpo che amavo. Ebbi un conato di vomito e mi sforzai di ricacciarlo indietro.
Ma la situazione era peggiore, molto peggiore. Il suo corpo era sformato, le ossa parevano voler bucare la pelle del viso. Intuii che se sembrava così incinta, così malata, era perché ciò che portava in grembo, che le cresceva dentro, si nutriva della vita che rubava a lei...
Perché era un mostro. Proprio come il padre.
Sapevo da sempre che lui l’avrebbe uccisa.
Sollevò la testa di scatto non appena ascoltò i miei pensieri. Un attimo prima eravamo entrambi in ginocchio, ma all’istante mi vidi sovrastato da lui, in piedi. Aveva gli occhi scuri, opachi, cerchiati di viola.
«Usciamo, Jacob», ringhiò.
Mi rialzai anch’io. Adesso lo guardavo con sfida. Ero lì apposta.
«D’accordo», acconsentii.
Quello più grosso, Emmett, si fece avanti e affiancò Edward, mentre l’altro, Jasper, quello che sembrava sempre affamato, gli coprì le spalle. Me ne fregavo. Forse i miei sarebbero venuti a riprendersi i resti, forse no. Non importava.
Per un’infinitesima frazione di secondo, i miei occhi incrociarono quelli delle due che stavano in fondo alla stanza. Esme e Alice. Minute e troppo femminili per non notarle. Ero certo che gli altri mi avrebbero ucciso ancora prima che me le ritrovassi di fronte. Non volevo fare del male a delle ragazze, nemmeno se erano vampire.
Però avrei fatto volentieri un’eccezione con la bionda.
«No», rantolò Bella, poi perse l’equilibro e barcollò nel tentativo di afferrare il braccio di Edward. Rosalie si muoveva con lei, come fossero incatenate l’una all’altra.
«Devo solo parlargli, Bella», disse Edward sottovoce, rivolgendosi soltanto a lei. Fece per sfiorarle il viso, per accarezzarla. Allora la stanza diventò rossa, l’ira m’accecava: dopo tutto quello che le aveva fatto, non tolleravo che si permettesse di toccarla ancora a quel modo. «Non stancarti», proseguì con tono implorante. «Riposati, per favore. Fra qualche minuto saremo di ritorno».
Lo fissò in volto, leggendo con attenzione la sua espressione. Poi annuì e si accasciò sul divano. Rosalie l’aiutò ad adagiare la schiena sui cuscini. Bella mi fissava, cercando di intercettare il mio sguardo.
«Fate i bravi», ordinò. «E poi tornate qui».
Non risposi. Non era il giorno giusto per fare promesse. Distolsi lo sguardo e seguii Edward fuori dalla porta principale.
Una voce isolata, dissociata dal resto dei miei pensieri, rilevò che non era stato poi tanto difficile separarlo dalla congrega.
Camminava senza neanche voltarsi per verificare che non stessi per prenderlo di sorpresa alle spalle. Immagino non ne avesse bisogno. Se avessi deciso di attaccarlo lo avrebbe saputo, il che significava prendere la decisione e contemporaneamente agire.
«Non sono ancora pronto per farmi uccidere da te, Jacob Black», sussurrò mentre si allontanava dalla casa. «Dovrai pazientare ancora un po’».
Come se m’importasse qualcosa della sua tabella di marcia. Grugnii fra i denti. «La pazienza non è la mia specialità».
Proseguì per un paio di centinaia di metri lungo il viottolo sterrato di casa Cullen, con me alle calcagna. Ribollivo, mi tremavano le mani. Stavo sul chi va là, pronto e vigile.
Si fermò senza preavviso e si girò. Mi guardò dritto in faccia e la sua espressione mi paralizzò di nuovo.
Per un attimo mi sentii un bambino, un bambino che aveva trascorso tutta la vita nella stessa cittadina. Un bambino e nient’altro. Perché sapevo che avrei dovuto vivere molto di più, soffrire molto di più, per capire il tormento lancinante che traspariva dagli occhi di Edward.
Sollevò una mano come per detergersi il sudore dalla fronte, ma le dita stridettero sulla sua faccia quasi stessero strappando la pelle granitica. Gli occhi neri ardevano nelle orbite, fuori fuoco o concentrati su cose che non c’erano. La bocca era spalancata come se stesse per urlare, ma non ne uscì alcun suono.
Era il volto di un uomo che bruciava sul rogo.
Per un attimo non riuscii a parlare. Era tutto vero: in casa ne avevo visto una parvenza riflessa negli occhi di lei e in quelli di lui, ma solo adesso diventava reale. L’ultimo chiodo che la chiudeva nella bara.
«La sta uccidendo, vero? Sta morendo». E dicendolo ebbi la certezza che la mia faccia era una copia sbiadita della sua. Più incerta e diversa, perché io ero ancora sotto shock. Ancora non me ne capacitavo, stava succedendo troppo in fretta. Lui aveva avuto tutto il tempo di rendersene conto. Ed era diversa perché io l’avevo già persa tante volte, e in tante maniere differenti, nella mia mente. E perché non era mai stata fino in fondo mia, perciò non potevo perderla davvero.
Era diversa anche perché non era colpa mia.
«Colpa mia», sussurrò Edward e gli cedettero le ginocchia. Mi crollò di fronte, vulnerabile, un bersaglio fin troppo facile.
Ma ero freddo come neve, dentro di me non ardeva alcun fuoco.
«Sì», gemette, sprofondato nel terriccio, come se si stesse confessando. «Sì, la sta uccidendo».
La sua inettitudine, la sua arrendevolezza m’irritavano. Io volevo una battaglia, non un’esecuzione. Dov’era finita la superiorità di cui si vantava tanto?
«Perché Carlisle non ha fatto niente?», sbottai. «È un dottore, no? Perché non lo tira fuori?».
Alzò lo sguardo e mi rispose con voce stanca, quasi fosse costretto a spiegare la situazione a un bambino dell’asilo per l’ennesima volta. «Non ce lo permette».
Mi occorse un minuto per afferrare il senso delle sue parole.
Cavolo, c’era da aspettarselo. Voleva morire per dare un figlio al mostro. Era tipico di Bella.
«La conosci bene», sussurrò. «Tu la capisci al volo... io no. Non abbastanza, almeno. Durante tutto il viaggio di ritorno verso casa non ne ha fatto parola. Pensavo fosse spaventata, com’era logico. Credevo ce l’avesse con me per averla cacciata in questa situazione, per aver messo a repentaglio la sua vita, ancora una volta. Non potevo immaginare cosa pensava davvero, cosa stesse decidendo. L’ho capito solo quando i miei ci sono venuti a prendere all’aeroporto e lei si è precipitata fra le braccia di Rosalie. Di Rosalie! E allora ho sentito cosa stava pensando Rosalie. In quel momento, tutto è diventato chiaro. Tu, invece, ci metti un secondo a capirla...», concluse con un sospiro che era per metà un gemito.
«Facciamo un passo indietro. Non ve lo permette». Sentii sulla lingua tutta l’acidità del mio sarcasmo. «Ti sei accorto che ha la stessa forza di una qualsiasi ragazza di cinquanta chili? Quanto siete stupidi voi vampiri? Bloccatela e imbottitela di medicine, no?».
«Volevo», bisbigliai. «Carlisle avrebbe...».
E allora perché? Un eccessivo senso dell’onore?
«No, l’onore non c’entra. La sua guardia del corpo ha complicato le cose».
Ah, ecco. Fino a quel momento non ero riuscito a cogliere il senso della storia, ma adesso s’incastrava tutto. Ecco a cosa serviva la bionda. Ma lei che ci guadagnava? La reginetta di bellezza voleva lasciar morire Bella in modo così atroce?
«Forse», disse. «Ma Rosalie non la pensa esattamente in questo modo».
«Allora per prima cosa liberati della bionda. Quelli della tua specie si possono ricomporre, no? Falla a pezzi e intanto prenditi cura di Bella».
«Emmett ed Esme stanno dalla sua parte. Emmett non ce lo permetterebbe mai... e con Esme contro, neanche Carlisle mi aiuterebbe».
Si affievolì, come se d’improvviso gli mancasse la voce.
«Avresti dovuto lasciare Bella a me».
«Sì».
Era un po’ tardi, però. Forse avrebbe dovuto pensarci prima di metterla incinta di quel mostro succhiavita.
Mi fissò dal suo inferno personale e vidi che era d’accordo con me.
«Non lo sapevamo», disse soffiando le parole. «Non potevamo immaginarlo. Non era mai successa prima una cosa come quella fra me e Bella. Non potevamo sapere che un’umana fosse in grado di concepire un figlio con uno di noi».
«E che allo stesso tempo l’umana si sarebbe ridotta uno straccio?».
«Già», concordò sospirando. «Esistono i sadici, gli Incubi, i Succubi. Ma per loro la seduzione non è che un preludio al banchetto. Nessuno sopravvive». Scosse la testa, disgustato all’idea, come se neanche lui fosse diverso.
«Non sapevo ci fosse un nome speciale per definirvi», sputai.
Mi fissò con un’espressione millenaria.
«Nemmeno tu, Jacob Black, puoi odiarmi quanto odio me stesso».
Sbagliato, pensai, troppo adirato per parlare.
«Uccidendomi non la salverai», aggiunse pacato.
«Quindi?».
«Jacob, devi farmi un favore».
«Neanche morto, parassita!».
Continuava a fissarmi con quegli occhi stanchi e spiritati. «Per lei».
Serrai i denti. «Ho fatto il possibile per tenerla lontana da te. Ho fatto di tutto. Ora è troppo tardi».
«La conosci, Jacob. Comunichi con lei in un modo che io nemmeno capisco. Sei parte di lei e lei è parte di te. A me non darà ascolto, perché crede che io la sottovaluti. Pensa di essere abbastanza forte per...». Un nodo in gola lo bloccò. Poi deglutì. «A te potrebbe dare retta».
«Perché mai?».
Vacillò, i suoi occhi ardevano sempre di più, fuori controllo. Mi chiesi se stesse impazzendo sul serio. I vampiri potevano andare fuori di testa?
«Forse», rispose al mio pensiero. «Non lo so. Sembrerebbe di sì». Scosse la testa. «Davanti a lei devo fingere e nasconderglielo, perché lo stress la fa peggiorare. Non può sobbarcarsi anche questo. Devo tenere un certo contegno, non posso renderle la vita ancora più difficile. Ma ora non importa. A te deve dare ascolto!».
«Non posso dirle niente di più di quello che ha già sentito da te. Cosa vuoi che faccia? Devo dirle che è una stupida? Probabilmente lo sa già. O che sta per morire? Penso sappia anche questo».
«Puoi offrirle tutto ciò che vuole».
Incomprensibile. Era davvero impazzito?
«L’unica cosa che conta è che sopravviva», disse, improvvisamente determinato. «Se ciò che vuole è un figlio, lo avrà. Può averne mezza dozzina. Tutti quelli che desidera». Fece una breve pausa. «Può anche avere dei cuccioli, se serve».
Per un attimo incrociò il mio sguardo: sotto il velo del controllo, il suo viso era in preda al delirio. La mia occhiata severa si sgretolò appena metabolizzai le sue parole e mi ritrovai con la bocca spalancata per la sorpresa.
«Ma così non può sopravvivere!», sibilò prima che potessi riprendermi. «Non con una cosa che le succhia la vita mentre io resto impotente e non posso fare altro che vederla peggiorare, deperire e soffrire!». Inspirò veloce come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno allo stomaco. «Devi farla ragionare, Jacob. A me non dà più ascolto. Rosalie non la lascia un attimo e non fa che alimentare questa follia, non fa che incoraggiarla. La protegge. Anzi no, protegge lui. A lei non importa niente della vita di Bella».
La mia gola emise un rumore strano, come se mi stessi strozzando.
Cosa stava dicendo? Che Bella doveva... avere un figlio? Con me? Cosa? Come? Gettava la spugna? O pensava che a lei sarebbe andato bene che ce la spartissimo?
«Qualsiasi cosa, purché viva».
«È la cosa più assurda che tu abbia mai detto», bofonchiai.
«Ti vuole bene».
«Non abbastanza».
«È pronta a morire pur di avere un figlio. Potrebbe accettare un compromesso meno estremo».
«Allora non la conosci proprio!».
«Lo so, lo so. Bisognerà fare opera di convincimento. Per questo ho bisogno di te. Tu sai come pensa. Puoi farla ragionare».
Non riuscivo a crederci. Era troppo. Impossibile. Sbagliato. Malsano. Cosa voleva? Noleggiare Bella per il fine settimana e restituirla il lunedì mattina, come un film? Che casino.
E che tentazione.
Non volevo prendere in considerazione l’idea, non volevo immaginarla, invece lo feci. Avevo fantasticato parecchio su Bella, al tempo in cui c’era ancora una possibilità per noi, e anche dopo, quando era ormai chiaro che certe fantasie avrebbero lasciato solo piaghe incancrenite perché non c’era nessuna, nessunissima possibilità. All’epoca non ero riuscito a trattenermi. E neanche in quel momento. Bella fra le mie braccia, Bella che sussurrava il mio nome...
E ancora peggio, un’immagine nuova, che non avevo mai visto prima e che mai avevo avuto il diritto di considerare, non fino a quel momento. Un’immagine di cui avrei pagato lo scotto per anni e che non avrei mai evocato se non me l’avesse messa in testa lui. Ma ormai c’era e mi turbinava nella mente, attecchiva come un’erbaccia velenosa e inestirpabile. Bella, in salute e radiosa, diversa da come era adesso, ma in un certo senso identica: il suo corpo, non più deforme, ma modificato in maniera del tutto naturale. Arrotondato da mio figlio.
Cercai di sfuggire all’erba venefica che avevo in testa. «Io devo far ragionare Bella? In che universo vivi?».
«Almeno provaci».
Scossi la testa. Aspettava, ignorando la risposta negativa perché aveva sentito i miei pensieri in conflitto fra loro.
«Come ti è venuta in mente questa idea da psicopatico? Ci pensi su o le inventi al momento?».
«Da quando ho capito cosa stava architettando, che sarebbe stata disposta a morire, non penso ad altro se non al modo di salvarla. Ma non sapevo come contattarti. Ero certo che se ti avessi chiamato non mi avresti risposto. Sarei venuto presto a cercarti, se oggi tu non fossi arrivato. Non è facile lasciarla, anche solo per qualche minuto. Le sue condizioni... cambiano velocemente. La cosa cresce... in fretta. Non posso stare lontano da lei».
«Che cosa è?».
«Non ne abbiamo la più pallida idea. Qualunque cosa sia, è già più forte di lei».
Di colpo me lo figurai, vidi il mostro che s’ingrossava, che la distruggeva.
«Aiutami a fermarla», mormorò. «Aiutami a impedire che succeda».
«Come? Offrendomi in qualità di stallone?». Non fu lui a fremere a quelle parole, ma io. «Tu non stai bene. Non accetterà mai».
«Provaci. Non abbiamo niente da perdere. Che male può fare?».
Avrebbe fatto male a me. Non avevo subito già abbastanza rifiuti da Bella?
«Un po’ di dolore per salvarla è un prezzo tanto alto?».
«Ma non funzionerà».
«Forse no. Ma magari la confonderà, la farà vacillare. Non ho bisogno di altro, mi basta un attimo di dubbio».
«E poi? Le toglierai la terra da sotto i piedi? Le dirai: "Scherzavo, Bella"?».
«Se vuole un bambino, lo avrà. Non mi tirerò indietro».
Ci stavo pensando e non potevo crederci. Bella mi avrebbe dato un pugno. Non che la temessi, ma rischiava di rompersi la mano un’altra volta. Non avrei dovuto permettere a Edward di parlarmi, di incasinarmi. Avrei dovuto ucciderlo subito.
«No», bisbigliò. «Non ancora. La distruggerebbe, lo sai. Non avere fretta. Se non ti darà ascolto ne avrai l’occasione. Nel momento esatto in cui il cuore di Bella cesserà di battere, sarò io a implorarti di uccidermi».
«Non dovrai implorare a lungo».
All’angolo della sua bocca spuntò l’ombra di un sorriso logoro. «Non sai quanto ci conto».
«Allora affare fatto».
Annuì e mi offrì la mano fredda come pietra.
Ingoiando il disgusto, chiusi le dita intorno alla roccia e la strinsi.
«Affare fatto», ribadì.
Mi sentivo come... non lo so come mi sentivo. Forse soltanto come se non fosse vero, come se mi trovassi nella versione dark di una pessima sit-com. Solo che, anziché impersonare lo sfigato di turno che invita la cheerleader al ballo, ero il licantropo che si era piazzato secondo e stava per proporre alla moglie del vampiro di passare una notte assieme tanto per procreare. Niente male.
No, non ci stavo. Era sbagliato e perverso. Meglio dimenticare le parole di Edward, dalla prima all’ultima.
Ma con lei dovevo parlare. Dovevo fare in modo che mi desse ascolto.
E non ci sarei riuscito, come al solito.
Edward non rispose ai miei pensieri né li commentò. Mi precedeva, diretto verso casa. Chissà se aveva scelto di fermarsi laggiù per evitare che gli altri sentissero le macchinazioni che ordiva e di cui voleva rendermi complice. Che ci fossimo appartati per quella ragione?
Forse. Quando varcammo la soglia, gli altri Cullen ci guardarono con sospetto, perplessi. Nessun moto di ripugnanza o indignazione. Il che significava che non avevano sentito una parola, che ignoravano quale favore Edward mi avesse chiesto.
Sulla soglia esitai, incerto. Si stava decisamente meglio lì, visto che dall’esterno soffiava un filo d’aria respirabile.
Edward raggiunse il resto della cricca, al centro della stanza. Era rigido, teso. Bella lo guardava ansiosa. Per un attimo i suoi occhi guizzarono su di me, poi tornò a guardare lui.
Il suo volto aveva assunto tonalità grigiastre. Fu solo allora che capii cosa intendeva Edward quando mi aveva detto che lo stress la faceva peggiorare.
«Lasciamo Jacob e Bella da soli, devono parlare in privato», disse Edward con voce da automa, priva di intonazioni.
«Prima dovete passare sulle mie ceneri», sibilò Rosalie. Ronzava sempre intorno a Bella e le aveva posato una mano fredda sulla guancia terrea come a marcarne il possesso.
Edward la ignorò. «Bella», disse con lo stesso tono vacuo, «Jacob vuole parlarti. Hai paura di restare da sola con lui?».
Bella era confusa. Guardò prima me, poi Rosalie.
«Rose, è tutto a posto. Jake non ci farà del male. Vai con Edward».
«Potrebbe essere un trabocchetto», la mise in guardia la bionda.
«Mi pare improbabile», rispose Bella.
«Potrai tenere me e Carlisle sott’occhio, Rosalie», disse Edward. La sua voce, che fino a quel momento non aveva tradito alcuna emozione, d’improvviso era rotta. Dalle crepe che si erano formate fluiva la rabbia. «Siamo noi che le facciamo paura».
«No», si oppose debolmente Bella. Aveva gli occhi lucidi, le ciglia umide. «No, Edward. Io non...».
Edward scosse la testa, accennò un sorriso. Vedendolo, sentii una fitta di dolore. «Mi sono espresso male, Bella. Tranquilla, io sto bene. Non preoccuparti per me».
Che nausea. Edward aveva ragione: pur di non urtare i suoi sentimenti, Bella avrebbe sopportato qualsiasi cosa. Quella ragazza era una vera e propria martire. Nata nel secolo sbagliato, altroché. Se fosse vissuta in un’altra epoca si sarebbe data in pasto ai leoni in nome di una buona causa.
«Tutti», disse Edward, indicando con un gesto secco la porta. «Per favore».
Per quanto si sforzasse di mantenere un certo contegno di fronte a Bella, ormai vacillava. Somigliava in maniera impressionante all’uomo divorato dalle fiamme che avevo intravisto fuori. Non fui l’unico a notarlo. In silenzio, gli altri si diressero alla porta. Mi scostai per lasciare libero il passaggio. Non persero tempo.
Il cuore mi batteva all’impazzata. Nella stanza erano rimasti soltanto Rosalie, che esitava, ed Edward, che l’aspettava sulla soglia.
«Rose», disse piano Bella. «Voglio che tu vada».
La bionda lanciò un’occhiataccia a Edward e gli fece cenno di precederla. Lui sparì oltre la porta. Lei mi guardò torvo, come a intimarmi di stare in campana, e poi scomparve.
Quando fummo finalmente da soli, attraversai la stanza e andai a sedermi sul pavimento accanto a Bella. Le presi le mani fra le mie e gliele accarezzai.
«Grazie, Jake. Così va meglio».
«Non ti mentirò, Bells. Sei orrenda».
«Lo so», sospirò. «Faccio paura».
«Già, sembri il mostro della palude».
Riuscì a ridere. «Che bello che sei qui. Questa risata mi fa quasi sentire bene. Non so per quanto tempo ancora riuscirò a sopportare la tensione».
Alzai gli occhi al cielo.
«Okay, okay», si affrettò. «Sono io la causa del mio male».
«Sì, è così. Cosa ti passa per la testa, Bells? Seriamente!».
«Ti ha chiesto lui di sgridarmi?».
«In un certo senso. Anche se non capisco perché crede che mi darai ascolto, visto che non l’hai mai fatto».
Sospirò.
«Te l’avevo detto...», cominciai.
«Lo sai che Te l’avevo detto ha un fratello, Jacob?», m’interruppe. «Si chiama Chiudi il becco».
«Buona questa».
Mi sorrise. Attraverso la pelle tesissima si vedeva nitido il profilo delle ossa. «Non è farina del mio sacco... L’ho sentita in una vecchia puntata dei Simpson».
«Me la sono persa».
«Peccato, era molto divertente».
Restammo in silenzio per un momento. Le sue mani cominciavano a riscaldarsi.
«Davvero ti ha chiesto di parlarmi?».
Annuii. «Mi ha chiesto di farti ragionare. Una battaglia persa in partenza».
«Allora perché hai acconsentito?».
Non risposi. Non lo sapevo con esattezza.
Sapevo solo una cosa, ossia che ogni secondo trascorso con lei non faceva altro che accrescere il dolore che avrei provato dopo. Come un tossico che dispone di una scorta limitata, vedevo approssimarsi il momento della resa dei conti, quello dell’astinenza. Più mi facevo, più sarebbe stata dura quando la roba avesse cominciato a scarseggiare.
«Andrà tutto bene», disse dopo un istante di silenzio. «Ne sono sicura».
Mi fece vedere di nuovo rosso. «La demenza è uno dei sintomi?», la provocai.
Rise ancora, ma ero così arrabbiato che mi tremavano le mani.
«Forse», rispose. «Non dico che sarà facile, Jake. Ma dopo tutto quello che ho passato, è naturale che io creda alla magia, no?».
«Magia?».
«Specialmente riguardo a te», aggiunse. Sorrise. Sfilò una mano dalla mia presa e me la mise sulla guancia. Era più calda, ma al contatto con la mia pelle sembrava ancora fredda, come tutto, del resto. «Tu hai qualcosa di magico e vedrai che tutto andrà come deve anche per te».
«Ma di che parli?».
Continuava a sorridere. «Una volta Edward mi ha spiegato come funziona l’imprinting. Mi ha detto che somiglia al Sogno di una notte di mezza estate, a una magia. Troverai anche tu la persona giusta, Jacob, la persona che stai aspettando, e allora, forse, tutto quanto avrà un senso».
Se non fosse stata tanto fragile, mi sarei messo a sbraitare.
Ma, visto che lo era, mi limitai a brontolare rabbioso.
«Se pensi che l’imprinting possa dare un senso a questa pazzia...». Mi sforzai di trovare le parole. «Credi davvero che se incontrassi una sconosciuta e avessi l’imprinting, questo aggiusterebbe tutto?». Puntai un dito verso il suo corpo gonfio. «Allora dimmi a cosa è servito, Bella! Che senso ha avuto amarti? Che senso ha avuto il tuo amore per lui?». Avevo perso il controllo, ormai ringhiavo. «Pensi che quando morirai tutto tornerà a posto? Che senso avrà avuto tanto dolore, mio, tuo, suo!? Non che me ne importi, ma finirai per uccidere anche lui». Ebbe un fremito, ma proseguii spedito. «E a quel punto, la tua perversa storia d’amore a cosa sarà servita? Bella, se tu ci vedi un senso, per favore, mostralo anche a me, perché da solo non ci arrivo proprio».
Sospirò. «Non lo so, Jake. Ma sento... che tutto questo porterà a qualcosa di buono, anche se ora non riusciamo a vedere cosa. Penso che sia quella che chiamano fede».
«Stai morendo per niente, Bella! Per niente!».
Lasciò scivolare la mano dal mio viso verso il suo ventre rigonfio e se lo accarezzò. Stava morendo per quello.
«Non morirò», sibilò fra i denti e mi resi conto che stava ripetendo ciò che aveva già detto tante volte. «Il mio cuore continuerà a battere. Sono forte abbastanza».
«Stronzate, Bella. È troppo tempo che cerchi di tenere il passo del soprannaturale. Nessun umano può farcela. E tu non sei abbastanza forte». Le presi il viso fra le mani. Non dovetti fare alcuno sforzo per essere delicato. Tutto, in lei, pareva urlare: fragile.
«Posso farcela. Posso farcela», farfugliò, e per un attimo mi sembrò di avere di fronte la locomotiva di quel libro per l’infanzia, quella che ce la poteva fare.
«A me non pare proprio. Allora dimmi, qual è il tuo piano? Spero che tu ne abbia uno».
Annuì, evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo. «Lo sapevi che Esme si è buttata da una scogliera quando era ancora umana?».
«Quindi?».
«Era più morta che viva, tanto che non si sono nemmeno presi la briga di portarla al pronto soccorso: è finita dritta all’obitorio. Però il cuore le pulsava ancora quando Carlisle l’ha trovata...».
Ecco cosa intendeva quando diceva che il suo cuore avrebbe continuato a battere.
«Quindi non è in forma umana che pensi di sopravvivere», sentenziai senza convinzione.
«No, non sono stupida fino a quel punto». Incrociò il mio sguardo. «Ma presumo che tu la veda in maniera diversa».
«Pronta vampirizzazione», brontolai.
«Con Esme ha funzionato. E anche con Emmett, con Rosalie, e pure con Edward. Nessuno di loro era in forma smagliante, sai? Carlisle li ha trasformati perché se non lo avesse fatto sarebbero morti. Lui non mette fine alle vite, le salva».
Come poco prima, sentii un improvviso senso di colpa nei confronti del dottore, il vampiro buono. Scacciai quel pensiero e ripresi a supplicarla.
«Dammi retta, Bells. Non farlo». Di nuovo, afferrai la differenza, proprio come quando era arrivata la telefonata di Charlie. Mi resi conto che per me contava solo una cosa: che sopravvivesse. Non aveva importanza in quale forma. Respirai a fondo. «Non aspettare che sia troppo tardi, Bella. Non così. Vivi, okay? Vivi e basta. Non farmi questo. E non farlo a lui». Alzai la voce, che si fece più aspra. «Sai cosa farà quando morirai. Lo hai già visto. Vuoi che torni da quegli assassini italiani?». Si rannicchiò nel divano e io sorvolai sul fatto che stavolta non sarebbe stato necessario.
Sforzandomi di addolcire la voce, le chiesi: «Ricordi quando mi sono fatto massacrare da quei neonati? Ricordi cosa mi hai detto?».
Aspettavo una risposta che non arrivò. Serrò le labbra.
«Mi hai detto di fare il bravo e dare ascolto a Carlisle», le ricordai. «E io cos’ho fatto? Ho dato ascolto al vampiro. Per te».
«Gli hai dato ascolto perché era la cosa giusta».
«Okay, una ragione vale l’altra, scegli quella che preferisci».
Fece un respiro profondo. «Ma ora non è la cosa giusta». Il suo sguardo si posò sul ventre tumido e bisbigliò a mezza voce: «Non lo ucciderò».
Mi tremarono le mani. «Oh, che bella notizia! Allora aspettiamo che nasca questo bel bambino che scoppia di salute. E sai che ti dico? I palloncini azzurri li porto io».
Il suo volto prese un po’ di colore. Vederla così rosea e bella fu come ricevere una pugnalata allo stomaco, con un coltello seghettato e affilatissimo.
Per l’ennesima volta, avrei dovuto fare i conti con la sconfitta.
«Non so se è un maschio», ammise, un po’ imbarazzata. «L’ecografia non può dirlo. La membrana che lo avvolge è troppo dura, come la loro pelle. Perciò sarà una sorpresa. Ma nella mia mente vedo sempre un maschietto».
«Non c’è un bel bambino li dentro, Bella».
«Vedremo», disse quasi compiaciuta.
«Tu no di certo», sbottai.
«Sei molto pessimista, Jacob. Secondo me, almeno una possibilità di farcela c’è».
Non riuscii a rispondere. Abbassai lo sguardo e respirai a fondo, lentamente, cercando di mettere un freno alla mia ira.
«Jake», disse arruffandomi i capelli prima di accarezzarmi una guancia. «Andrà tutto bene. Sssh. Andrà tutto bene».
Non alzai lo sguardo. «No. Invece no».
Asciugò qualcosa di umido dalla mia guancia. «Sssh».
«Cosa c’è sotto, Bella?». Contemplai il tappeto immacolato: lo avevo riempito di macchie con i miei piedi nudi e sporchi. Molto bene. «Ero convinto che non desiderassi altro che il tuo vampiro. E ora che fai? Ci rinunci? Non ha senso. Da quand’è che sei così smaniosa di diventare mamma? Se ci tenevi tanto, perché mai hai sposato un vampiro?».
Mi ero avvicinato pericolosamente al punto di non ritorno. Ci mancò poco che le facessi la proposta che lui mi aveva chiesto di farle. Le parole mi avevano guidato fin lì, contro la mia volontà, e ormai era troppo tardi per cambiare rotta.
«Non è così. Non m’importava di avere un figlio. Non ci pensavo neanche. Non si tratta di avere un bambino. Si tratta di, be’, di questo bambino».
«È un assassino, Bella. Guarda come ti ha ridotta».
«No, non è un assassino. Dipende da me. Sono debole e umana. Ma tengo duro, Jake, posso...».
«Oh, avanti! Sta’ zitta, Bella. Puoi incantare il tuo succhiasangue, ma non puoi infinocchiare me. Sai benissimo che non ce la farai».
Mi fissò. «No che non lo so. Ovviamente sono preoccupata».
«Preoccupata», ripetei fra i denti.
Emise un rantolo e si afferrò il ventre. La mia ira svanì di colpo, come una luce che viene spenta all’improvviso.
«Sto bene», ansimò. «Non è niente».
Ma non l’ascoltai: si era tirata su la felpa e guardai inorridito la sua pelle nuda. Aveva la pancia coperta di chiazze simili a macchie d’inchiostro violaceo.
Si accorse che la fissavo e si ricoprì subito.
«È forte, tutto qui», aggiunse, sulla difensiva.
Le macchie d’inchiostro erano lividi.
Fui sul punto di vomitare. Ecco cosa intendeva Edward quando aveva detto che non poteva far altro che guardarla soffrire impotente. D’un tratto, anche a me parve di impazzire.
«Bella», balbettai.
Notò il cambiamento nella mia voce. Alzò lo sguardo, il respiro era ancora affannoso, gli occhi in preda alla confusione.
«Bella, non farlo».
«Jake...».
«Ascoltami. Non ti arrabbiare, okay? Sta’ solo a sentirmi. E se...?».
«E se cosa?».
«E se ci fosse una possibilità? Se ci fosse un’alternativa? Se dessi retta a Carlisle, da brava, e sopravvivessi?».
«Io non...».
«Non ho ancora finito. Intanto sopravvivi e poi si vedrà. Pensa che per questa volta non è andata. E magari, più in là, ci riproverai».
Corrugò la fronte. Sollevò una mano e mi sfiorò nel punto in cui le sopracciglia si univano. Con le dita, mi accarezzò per un attimo la fronte mentre cercava di cogliere il senso nascosto nelle mie parole.
«Non capisco... Cosa vuol dire ci riproverai? Non penserai che Edward mi permetterà...? E che differenza farebbe? Sono sicura che qualsiasi bambino...».
«Sì», tagliai corto. «Sarebbe lo stesso con qualsiasi suo bambino».
Sul suo volto stanco aumentò la confusione. «Cosa?».
Non riuscii ad aggiungere altro. Era fuori discussione. Non sarei mai stato in grado di salvarla da se stessa. Non c’ero mai riuscito.
Poi batté le palpebre e mi resi conto che aveva capito.
«Oh. Bleah! Ti prego, Jacob. Pensi che dovrei uccidere il mio bambino e sostituirlo con un surrogato? Magari ricorrendo all’inseminazione artificiale?». Si era proprio arrabbiata. «Perché dovrei volere il figlio di uno sconosciuto, come fosse la stessa cosa? Pensi che un bambino valga l’altro?».
«Non intendevo questo», farfugliai. «Non il figlio di uno sconosciuto».
Si sporse verso di me. «Allora cos’è che stai dicendo?».
«Niente. Non sto dicendo niente. Tanto per cambiare».
«Come ti è venuto in mente?».
«Lascia perdere, Bella».
Aggrottò le sopracciglia, sospettosa. «È stato lui a mettertelo in testa?».
Esitavo, stupito che ci fosse arrivata così in fretta. «No».
«È stato lui, vero?».
«No, fidati. Non ha parlato di qualcosa di artificiale».
Il suo volto si ammorbidì e sprofondò di nuovo fra i cuscini; sembrava sfinita. Ricominciò a parlare, guardando di lato. Le sue parole non erano rivolte a me. «Farebbe qualsiasi cosa per me. E io lo sto facendo soffrire così... Ma cosa crede? Che scambierei questo», con la mano s’indicò il ventre, «con quello di uno sconosciuto...». Biascicò l’ultima parte, e poi le venne meno la voce. Aveva gli occhi umidi.
«Non devi farlo soffrire», mormorai. Implorarla a nome di Edward era come succhiare veleno urticante, ma se volevo convincerla a vivere non potevo puntare su nient’altro. La solita scommessa mille a uno. «Puoi tornare a farlo felice, Bella. Penso che stia veramente perdendo la testa. Sul serio».
Pareva non mi ascoltasse; con la mano disegnava piccoli cerchi sulla pancia massacrata mentre si mordicchiava le labbra. Per qualche istante calò il silenzio. Chissà se i Cullen erano lontani o se invece stavano ascoltando i miei patetici tentativi di farla ragionare.
«Non con uno sconosciuto?», mormorò fra sé. Rabbrividii. «Cosa ti ha detto Edward esattamente?», mi chiese sottovoce.
«Niente. Pensava solo che magari mi avresti dato retta».
«Sbagliato. Riprovaci».
Puntò gli occhi nei miei e mi resi conto di aver già rivelato fin troppo.
«Niente».
Schiuse un po’ la bocca. «Wow».
Tacqui e mi osservai di nuovo i piedi; non ero in grado di sostenere il suo sguardo.
«È veramente disposto a tutto, eh?», mormorò.
«Te l’ho detto che sta letteralmente impazzendo, Bells».
«Mi stupisce che tu ti sia lasciato sfuggire l’occasione di fare subito la spia, per metterlo nei guai».
Quando sollevai lo sguardo, sul suo volto c’era un ghigno.
«Ci avevo pensato». Tentai di imitarla, ma sentii che il mio sorriso forzato era uno scempio.
Aveva capito cosa le stavo proponendo e non intendeva affatto prendere in considerazione l’idea. Dal canto mio, sapevo fin dall’inizio che non avrebbe accettato. Eppure soffrivo.
«Anche tu saresti disposto a tutto per me, eh?», sussurrò. «Non capisco proprio perché ti dia tanta pena. Non vi merito, non merito né lui né te».
«Tanto non cambia niente, no?».
«Non stavolta», sospirò. «Vorrei proprio spiegartelo in modo che tu capisca. Non posso fargli del male», indicò la pancia, «così come non potrei impugnare una pistola e sparare a te. Gli voglio bene».
«Perché vuoi sempre bene alle cose sbagliate, Bella?».
«Non è così».
Mi schiarii la gola in modo che la voce uscisse dura come volevo. «Invece sì, fidati».
Feci per rialzarmi.
«Dove vai?».
«È inutile che resti qui».
Sollevò la mano gracile e implorante. «Non andartene».
Mi sentii risucchiato dalla dipendenza che mi spingeva verso di lei.
«Questo non è il mio posto. Devo tornare a casa».
«Perché sei venuto oggi?», mi chiese.
«Per vedere se eri viva davvero. Charlie ha detto che eri malata e non gli ho creduto».
Dalla sua espressione non capii se l’avesse bevuta.
«Tornerai? Prima...».
«Bella, non me ne starò qui a guardarti morire».
Trasalì. «Hai ragione, hai ragione. È meglio che te ne vada».
Mi diressi verso la porta.
«Addio», mi sussurrò. «Ti voglio bene, Jake».
Per poco non feci dietrofront. Fui sul punto di voltarmi indietro, di inginocchiarmi e ricominciare a supplicarla. Ma sapevo che dovevo allontanarmi da Bella e abituarmi all’astinenza, prima che mi uccidesse, come avrebbe ucciso Edward.
«Certo, certo», biascicai mentre uscivo.
Non vidi nessuno dei vampiri. Ignorai la moto che se ne stava sola soletta al centro del prato. Non era abbastanza veloce, non più. Mio padre doveva essere fuori di testa, e anche Sam. Cosa avrebbero pensato i miei del fatto che non mi ero trasformato? Forse che i Cullen mi avessero acciuffato e finito prima che potessi anche solo fare un tentativo? Mi spogliai infischiandomene che qualcuno potesse vedermi e iniziai a correre. Mi trasformai in lupo mentre procedevo a grandi falcate.
Mi stavano aspettando. Altroché se mi aspettavano.
Jacob, Jake, esclamarono otto voci in coro, sollevate.
Torna subito a casa, intimò la voce dell’alfa. Sam era furibondo.
Mi accorsi che Paul svaniva in dissolvenza: Billy e Rachel erano ansiosi di sapere cosa mi fosse successo e Paul era troppo impaziente di annunciare a mio padre e a mia sorella che non ero diventato pappa per vampiri, perciò non rimase ad aspettare di sentire tutta la storia.
Non ci fu bisogno di dire al branco che stavo tornando: vedevano la foresta sfrecciarmi accanto mentre saettavo verso casa. E non ci fu neppure bisogno di spiegare che stavo impazzendo: la nausea che m’invadeva la mente era più che eloquente.
Videro tutto l’orrore: la pancia chiazzata di Bella, la sua voce aspra: è forte, tutto qui; il volto di Edward divorato dalle fiamme: la vedo peggiorare e deperire... la vedo soffrire; Rosalie accovacciata sul corpo esanime di Bella: a lei non importa niente della sua vita... Per una volta, erano tutti a corto di parole.
Il loro shock fu un urlo silenzioso nella mia testa. Muto.
Prima che avessero il tempo di riprendersi, ero già a metà strada. Allora mi vennero incontro di corsa.
Era quasi buio: le nubi velavano il tramonto. Mi azzardai ad attraversare l’autostrada e riuscii a non farmi vedere da nessuno.
Ci incontrammo a una quindicina di chilometri da La Push, in una radura creata dal passaggio dei taglialegna. Era fuori mano, incastrata fra due contrafforti montuosi; impossibile che ci vedessero. Paul e io arrivammo contemporaneamente: il branco era al gran completo.
Il brusio che mi si agitava in testa era assordante. A un tratto, si misero a gridare tutti assieme.
Sam era furioso, gli si era rizzato il pelo e il suo ululato era un flusso ininterrotto, mentre continuava a muoversi su e giù alla testa del cerchio. Paul e Jared lo seguivano come ombre, con le orecchie appiattite. Il cerchio era agitato e tutti emettevano ringhia rabbiose e cupe.
Sulle prime ebbi la sensazione che fossero furiosi nei miei confronti. Ero troppo sconvolto per preoccuparmene. Potevano punirmi come meglio credevano per aver trasgredito agli ordini.
Poi la massa indeterminata di pensieri iniziò a incanalarsi.
Com’è possibile? Cosa significa? Cosa sarà?
Non è prudente. Non è giusto. È pericoloso.
Innaturale. Mostruoso. Un abominio.
Non possiamo permetterlo.
A quel punto il branco si muoveva in sincrono, pensava in sincrono. Tutti, meno me e un altro. Mi accovacciai accanto a un fratello, senza sapere chi fosse: ero troppo inebetito per mettere in moto gli occhi o il cervello e vedere chi avevo a fianco. Il branco ci circondò.
Di questo il patto non parla.
Siamo tutti in pericolo.
Cercavo di decifrare le voci che si accavallavano vertiginosamente, tentavo di seguire il percorso arzigogolato dei pensieri per capire dove fossero diretti, senza afferrarne il senso. Nelle loro teste c’erano le mie immagini, le peggiori: i lividi di Bella, il volto agonizzante di Edward.
Anche loro hanno paura.
Ma non faranno nulla.
Proteggere Bella Swan.
Non possiamo lasciarci influenzare.
La sicurezza delle nostre famiglie, di tutti noi, è più importante di una vita umana.
Se non lo uccidono loro, dovremo farlo noi.
Proteggere la tribù.
Proteggere le nostre famiglie.
Dobbiamo ucciderlo prima che sia troppo tardi.
Ancora un ricordo. Le parole di Edward: La cosa cresce in fretta.
Mi sforzai di concentrami, per afferrare le singole voci.
Non c’è tempo da perdere, pensò Jared.
Sarà guerra, avvertì Embry. Guerra aperta.
Siamo pronti, insistette Paul.
Dovremo sfruttare l’effetto sorpresa, pensò Sam.
Se riusciamo a beccarli divisi, possiamo attaccarli separatamente. In questo modo le nostre possibilità di successo aumenterebbero, pensò Jared che cominciava a elaborare strategie.
Scossi il capo e mi rialzai lentamente. Mi sentivo instabile, come se il movimento circolare dei lupi mi desse le vertigini. Anche il lupo che mi stava accanto si alzò. Appoggiò la spalla alla mia, come per sorreggermi.
Aspettate, pensai.
Si fermarono per un breve istante, poi ripresero a muoversi.
C’è poco tempo, disse Sam.
Ma... cosa avete in mente? Oggi pomeriggio non volevate attaccarli per non infrangere il patto e ora progettate un’imboscata?
C’è in ballo qualcosa che il patto non contempla, disse Sam. È un pericolo per tutti gli umani della zona. Non sappiamo che tipo di creatura hanno generato i Cullen, ma sappiamo che è forte e cresce in fretta, e tanto basta. Inoltre, sarà troppo piccolo per onorare il patto. Ricordi i vampiri neonati contro cui abbiamo combattuto? Selvatici, violenti, incapaci di ragionare o di moderarsi. Immagina che sia come loro e, per di più, protetto dai Cullen.
Non lo sappiamo..., tentai d’intromettermi.
No, non lo sappiamo. Ma non possiamo correre il rischio dell’ignoto in questo caso. Possiamo permettere ai Cullen di esistere finché avremo l’assoluta certezza che siano affidabili e innocui. Ma di questa... cosa non possiamo fidarci.
Non piace neppure a loro.
Sam evocò l’immagine di Rosalie, del suo volto, del suo modo di stare acquattata ostentando protezione, e la mise in bella mostra a beneficio degli altri.
Qualcuno disposto a combattere per quella cosa c’è.
Ma insomma, è solo un bambino!
Non lo sarà per molto, mormorò Leah.
Jake, amico, è un problema grave, disse Quil. Non possiamo fare finta di niente.
State esagerando, sostenni. L’unica a essere in pericolo è Bella.
Anche in questo caso è una sua scelta, disse Sam. Ma stavolta la sua scelta ci coinvolge tutti.
Non credo.
Non possiamo correre il rischio. Non possiamo permettere che un bevitore di sangue venga a caccia nelle nostre terre.
Allora digli di andarsene, disse il lupo che continuava a sorreggermi. Era Seth. Ma certo.
Mettendo a repentaglio altri? Quando i bevitori di sangue passeranno dalle nostre terre, li distruggeremo, ovunque abbiano in mente di andare a caccia. È nostro compito proteggere tutti.
È una follia, sbottai. Oggi pomeriggio avevi paura di mettere in pericolo il branco.
Oggi pomeriggio non sapevo che a essere in pericolo fossero le nostre famiglie.
Non ci posso credere! Come farete a uccidere la creatura senza uccidere anche Bella?
Non ci fu risposta, ma segui un silenzio più che eloquente.
Gemetti. È un essere umano! La nostra protezione non si estende anche a lei?
Morirà in ogni caso, pensò Leah. Noi non faremo altro che abbreviarle il tormento.
Quella fu la goccia. Sfuggii a Seth e mi avventai contro sua sorella, scoprendo i denti. Stavo per afferrare una zampa posteriore quando percepii che Sam mi aveva azzannato al fianco e mi stava trascinando via.
Mi lasciai andare a un guaito di dolore e rabbia e mi girai verso di lui.
Basta!, ordinò con il doppio timbro dell’alfa.
Mi cedettero le gambe. Se non fosse stato per la forza di volontà, non sarei riuscito a reggermi in piedi.
Distolse lo sguardo da me. Non essere crudele con lei, Leah, la rimproverò. Il sacrificio di Bella ha un prezzo, e ne siamo tutti consapevoli. Sacrificare una vita umana va contro i nostri principi. Ed è triste dover fare un’eccezione. Stanotte compiremo un’azione per la quale tutti porteremo il lutto.
Stanotte?, ripeté Seth, turbato. Sam, credo che dovremmo parlarne ancora. Dobbiamo almeno consultare gli anziani. Non puoi davvero...
Ora come ora non possiamo permetterci di compiacere la tua tolleranza verso i Cullen. Non abbiamo tempo per discutere. Farai ciò che ti è stato detto, Seth.
Seth piegò le zampe anteriori e chinò il capo sotto il peso dell’ordine dell’alfa.
Sam continuava a muoversi, tracciando un cerchio attorno a noi due.
Ci serve il branco al completo. Jacob, tu sei il più forte e lotterai con noi stanotte. Capisco quanto sia dura per te, perciò ti occuperai di Emmett e Jasper Cullen, i combattenti migliori... Non dovrai avere a che fare con... con gli altri. Al tuo fianco ci saranno Quil ed Embry.
Mi tremarono le ginocchia. Mi sforzai di restare in piedi mentre la voce dell’alfa prendeva a frustate la mia volontà.
Paul, Jared e io attaccheremo Edward e Rosalie. Stando alle informazioni che abbiamo avuto da Jacob, penso che saranno loro a proteggere Bella. Nei paraggi ci saranno anche Carlisle, Alice e probabilmente Esme. Brady, Collin, Seth e Leah si concentreranno su di loro. Chiunque avrà la possibilità di attaccare, lo sentimmo tutti balbettare mentalmente il nome di Bella, la creatura, lo farà. La nostra priorità assoluta è questa: distruggere la creatura.
Il branco ringhiò all’unisono, in segno di consenso. La tensione aveva fatto rizzare il pelo a tutti. I movimenti si erano fatti più frenetici e il rumore delle zampe sul terreno salmastro era più acuto, le unghie raschiavano il suolo.
Solo io e Seth restavamo immobili, gli occhi fissi sul marasma di denti digrignati e orecchie appiattite. Il naso di Seth quasi toccava terra, chino di fronte agli ordini di Sam. Sentivo quanto soffriva per quell’imminente atto di slealtà. Per lui si trattava di vero tradimento. All’epoca dell’alleanza, quando aveva combattuto al fianco di Edward Cullen, Seth gli si era affezionato sinceramente, fino a considerarlo un amico.
Tuttavia non oppose resistenza. Per quanto gli facesse male, avrebbe obbedito. Non aveva scelta.
E io che scelta avevo? Quando l’alfa parlava, il branco obbediva.
Sam non aveva mai approfittato della sua autorità fino a quel punto. Sapevo che non gli faceva affatto piacere vedere Seth inginocchiato al suo cospetto come uno schiavo ai piedi del padrone. Non lo avrebbe costretto se non fosse stato convinto che non c’erano alternative. Non poteva mentirci, considerato com’erano collegate le nostre menti. Pensava davvero che fosse nostro dovere distruggere Bella e il mostro che portava in grembo. E credeva davvero che non avessimo tempo da perdere. Ne era così convinto da mettere in gioco la sua stessa vita.
Capii che si sarebbe occupato lui di Edward: secondo Sam, la minaccia maggiore veniva dalla capacità del vampiro di leggerci nel pensiero. Sam non avrebbe permesso che qualcun altro si accollasse il rischio.
Considerava Jasper il secondo avversario, in ordine di forza, perciò lo aveva affibbiato a me. Sapeva che fra i membri del branco ero quello con maggiori possibilità di successo. Aveva lasciato i bersagli più semplici ai lupi più giovani come Leah. La piccola Alice non costituiva un pericolo, se privata del dono della preveggenza, e sapevamo dai tempi dell’alleanza che Esme non aveva l’istinto della lotta. Carlisle rappresentava un’incognita, ma la ripugnanza che provava nei confronti della violenza avrebbe agito da freno.
Mi venne la nausea, ancora più che a Seth, quando vidi dipanarsi il piano di Sam, che vagliava tutte le alternative possibili per concedere qualche possibilità di sopravvivenza a ogni membro del branco.
Era tutto al rovescio. Quel pomeriggio avevo fatto ferro e fuoco pur di attaccarli. Ma Seth ci aveva visto giusto: non ero pronto per quella battaglia. Mi ero lasciato accecare dall’odio. Non avevo valutato la cosa con attenzione sufficiente perché sapevo cosa avrei visto se lo avessi fatto.
Carlisle Cullen, ecco cosa avrei visto. Guardandolo senza l’odio che mi velava gli occhi, non potevo negare che ucciderlo sarebbe stato un crimine. Era buono. Buono come gli umani che proteggevamo. Forse anche di più. Probabilmente lo erano anche gli altri, ma sul loro conto non ero così certo. Non li conoscevo altrettanto bene. Carlisle non avrebbe risposto a un attacco, anche se la posta in palio era la sua vita. Per questo avremmo potuto ucciderlo senza troppe difficoltà: perché non voleva che noi, i suoi nemici, morissimo.
Era sbagliato.
Non soltanto perché il pensiero di uccidere Bella equivaleva al pensiero di uccidere me stesso, a un suicidio.
Devi collaborare, Jacob, ordinò Sam. La tribù viene prima di tutto.
Mi sbagliavo, Sam.
Le tue motivazioni erano sbagliate. Ma ora abbiamo un dovere da compiere.
Mi feci forza. No.
Sam ringhiò e si fermò. Mi guardò negli occhi e ululò fra i denti.
Sì, decretò l’alfa e la doppia voce fu esaltata dal fervore dell’autorità. Non ci sono scappatoie. Tu, Jacob, combatterai al nostro fianco contro i Cullen. Insieme a Quil ed Embry, ti occuperai di Jasper ed Emmett. Il tuo compito è proteggere la tribù. È per questo che esisti. E compirai il tuo dovere.
Le mie spalle si curvarono sotto il peso dell’editto. Mi crollarono le gambe e mi ritrovai per terra, prono.
Nessun membro del branco poteva opporsi al volere dell’alfa.
Sam aveva cominciato a schierare gli altri mentre ero ancora piantato per terra. Embry e Quil mi stavano ai fianchi, in attesa che mi riprendessi e li guidassi.
Sentivo l’impulso, il bisogno di alzarmi e dirigere la mia squadra. Mi opposi invano alla spinta che intanto cresceva, sforzandomi di rimanere rannicchiato lì dove mi trovavo.
Embry guaì piano al mio orecchio. Non voleva pensare, per paura che Sam rivolgesse di nuovo l’attenzione su di me. La sua supplica muta mi spronava ad alzarmi, a darmi una mossa e farla finita.
Fra i membri del branco serpeggiava la paura, non tanto per se stessi, quanto per il gruppo. Era inimmaginabile che ne uscissimo tutti vivi. Quali fratelli avremmo perso? Chi ci avrebbe lasciati per sempre? Quali famiglie avremmo dovuto consolare l’indomani mattina per il loro lutto?
La mia mente si mise in moto, cominciò a lavorare all’unisono con le loro, a pensare alla maniera di affrontare quelle paure. Mi alzai meccanicamente da terra e agitai il manto.
Embry e Quil sospirarono di sollievo. Quil mi sfiorò un fianco con il naso.
Nelle loro teste dominava l’idea della sfida, della missione. Ricordavamo tutti le notti in cui avevamo visto i Cullen esercitarsi per la battaglia contro i neonati. Emmett Cullen era il più forte, ma il problema maggiore sarebbe stato Jasper. Si muoveva rapido come un lampo: potenza, velocità e morte in lui erano un tutt’uno. Quanti secoli di esperienza aveva accumulato? Abbastanza perché gli altri Cullen avessero chiesto consiglio a lui.
Prendo io il comando, se vuoi proteggere il fianco, si offrì Quil. Era il più elettrizzato di tutti. Osservando Jasper che impartiva gli ordini notte dopo notte, Quil aveva desiderato ardentemente di potersi misurare con il vampiro. Per lui era una gara. Sapeva che in gioco c’era la sua vita, ma la vedeva così. Lo stesso valeva per Paul e per quelli che non erano mai andati in battaglia, come Collin e Brady. Forse anche per Seth, se gli avversari non fossero stati suoi amici.
Jake? Quil richiamò la mia attenzione. Come vuoi procedere?
Scossi la testa. Non riuscivo a concentrarmi: mi sentivo una marionetta spronata dall’impulso di seguire gli ordini, con i muscoli mossi da fili invisibili. Prima una zampa, poi l’altra.
Seth si trascinava dietro Collin e Brady, Leah aveva assunto il comando della sua squadra. Mentre metteva a punto il piano assieme agli altri, ignorava Seth e mi resi conto che avrebbe preferito tenerlo lontano dallo scontro. Nutriva una sorta di senso materno nei confronti del fratello più piccolo. Avrebbe voluto che Sam lo rimandasse a casa. Seth ignorò i pensieri di Leah, anche lui cercava di adattarsi ai fili invisibili.
Se magari la smettessi di opporre resistenza, bisbigliò Embry.
Concentriamoci sul nostro compito, su quelli grossi. Possiamo abbatterli. Li abbiamo in pugno! Quil si pompava, le sue parole suonavano come un discorso di incitamento prima di una partita importante.
Sarebbe stato facile non pensare ad altro che al mio compito. Non era difficile immaginare di attaccare Jasper ed Emmett. Ci eravamo già andati vicini. Per molto tempo li avevo considerati miei nemici. Potevo farlo ancora.
Dovevo solo dimenticare che proteggevamo la stessa cosa. Dovevo solo dimenticare la ragione per cui avrei potuto desiderare che vincessero loro...
Jake, mi mise in guardia Embry. Concentrati.
Mi mossi con indolenza, ribellandomi ai fili invisibili.
È inutile opporsi, mormorò Embry.
Aveva ragione. Avrei fatto quello che voleva Sam, se era disposto ad andare fino in fondo. E chiaramente lo era.
L’autorità dell’alfa era più che motivata. Anche un branco forte come il nostro non costituiva una grande potenza senza un capo. Per risultare efficaci dovevamo muoverci assieme, pensare assieme. Perciò era necessario che ci fosse una testa a condurre il corpo.
Ma se Sam si fosse sbagliato? Nessuno poteva farci niente. Nessuno poteva contrastare la sua decisione.
Tranne...
Ed eccolo, un pensiero che mai e poi mai avrei voluto evocare. Ma in quel momento, con le zampe tenute da fili invisibili, considerai l’eccezione con sollievo, anzi, con una gioia intensa.
Nessuno poteva contrastare la decisione dell’alfa, tranne me.
Senza aver mai dovuto lottare per conquistarlo, possedevo qualcosa di innato, un diritto che non avevo mai reclamato.
Non avevo mai voluto pormi a capo del branco. E non volevo starci neanche adesso. Non volevo prendermi carico della sorte di tutti. Sam se la cavava molto meglio di quanto me la sarei mai cavata io.
Ma quella notte aveva torto.
E io non ero nato per inginocchiarmi davanti a lui.
Nell’attimo esatto in cui accettai il mio diritto di nascita, mi sentii libero dalle catene.
Sentii addensarsi in me un senso di libertà e un potere strano e allo stesso tempo vuoto. Vuoto sì, perché il potere dell’alfa veniva dal branco e io non ce l’avevo, un branco. Per un istante fui sopraffatto dall’isolamento.
Non avevo più un branco.
Ciononostante mi diressi di slancio verso Sam che parlamentava con Paul e Jared. Non appena mi sentì sopravanzare, si voltò e mi guardò torvo.
No, ribadii.
Si accorse subito della mia scelta perché anche i miei pensieri risuonarono con la voce dell’alfa.
Indietreggiò di mezzo passo e si lasciò sfuggire un guaito sconvolto.
Jacob? Cos’hai fatto?
Non ti seguirò, Sam. Non per compiere un atto tanto sbagliato.
Mi fissò stupefatto. Preferisci... preferisci il nemico alla tua famiglia?
Non sono, scossi la testa, come per sgombrarla, non sono nostri nemici. Non lo sono mai stati. L’ho capito solo quando ho cominciato a pensare seriamente alla possibilità di distruggerli.
Non si tratta di loro, ringhiò. Si tratta di Bella. Non è mai stata tua, non ha mai scelto te, ma per lei continui a mandare a rotoli la tua vita!
Erano parole dure, ma vere. Inspirai una bella boccata d’aria per mandarle giù.
Forse hai ragione. Ma tu manderai a rotoli il branco, Sam. Non importa in quanti riusciranno a sopravvivere, le loro mani si macchieranno per sempre di un delitto atroce.
Dobbiamo proteggere le nostre famiglie!
Conosco la tua decisione, Sam. Ma non puoi più decidere per me.
Jacob... non puoi voltare le spalle alla tribù.
Udii il doppio eco dell’alfa che impregnava il suo ordine, ma stavolta non ne subii il peso. Non mi riguardava più. Serrò la mascella, cercando di costringermi a reagire alle sue parole.
Lo fissai negli occhi che erano diventati furiosi. L’erede di Ephraim Black non è nato per seguire il volere dell’erede di Levi Uley.
È così allora, Jacob Black? Rizzò il pelo e ritrasse il muso scoprendo i denti. Anche Paul e Jared, ai suoi fianchi, avevano il pelo irto e ringhiavano. Se pure mi sconfiggessi, il branco non ti seguirà mai!
Sconfiggerti? Non voglio combattere con te, Sam.
E allora qual è il tuo piano? Non mi farò da parte in modo che tu possa proteggere la progenie del vampiro a spese della tribù.
Non ti ho chiesto di farti da parte.
Se ordini loro di seguirti...
Io non costringerò mai nessuno ad agire contro la propria volontà.
La sua coda prese a scudisciare avanti e indietro quando colse il rimprovero implicito nelle mie parole. Poi avanzò di un passo e ci trovammo vicinissimi: i suoi denti scoperti erano a un niente dai miei. Fino a quel momento non mi ero accorto di averlo superato in altezza.
Ci può essere un solo alfa. Il branco ha scelto me. Che intenzione hai? Di farci a brandelli stanotte? Di voltare le spalle ai tuoi fratelli? Oppure ci darai un taglio con questa follia e tornerai a unirti a noi? Ciascuna delle sue parole suonava come un ordine che si affastellava su altri ordini, ma la cosa non mi sfiorò. Nelle mie vene scorreva puro sangue alfa.
Capivo perché non c’era mai stato più di un alfa maschio in un branco. Il mio corpo rispondeva alla provocazione. Sentivo crescere dentro di me l’istinto che mi esortava a difendere ciò che reclamavo. La mia natura di lupo era pronta a lanciarsi nella battaglia per la supremazia.
Dispiegai tutte le mie energie nel tentativo di controllare la reazione. Non intendevo lanciarmi in un combattimento inutile e deleterio contro Sam. Era ancora un fratello, anche se lo avevo appena ripudiato.
In questo branco c’è un solo alfa. Non lo contesto. Ho solo deciso di andarmene per conto mio.
Cos’è, Jacob? Vuoi unirti alla congrega dei vampiri?
Trasalii.
Non lo so, Sam. Ma so che...
Non appena avvertì il peso dell’alfa nella mia voce, fece un balzo indietro. Su di lui faceva molto più effetto di quanto avesse mai fatto su di me. Perché io ero nato per comandare.
Starò in mezzo, fra voi e i Cullen. Non rimarrò a guardare mentre il branco uccide degli..., era difficile attribuire quell’aggettivo a dei vampiri, ma era così, innocenti. Il branco può fare di meglio. Guidalo nella direzione giusta, Sam.
Quando gli voltai le spalle, un coro di ululati squarciò l’aria.
Affondai le unghie nella terra e scappai di corsa dal putiferio che avevo scatenato. Non avevo molto tempo. Leah era l’unica che poteva sperare di raggiungermi, ma avevo un certo vantaggio su di lei.
L’ululato si affievolì mano a mano che mi allontanavo e nel sentire che quel suono continuava a squarciare la notte silenziosa, mi sentii confortato. Significava che non erano ancora partiti al mio inseguimento.
Dovevo avvertire i Cullen prima che il branco si ricomponesse e mi fermasse. Se i Cullen si fossero fatti trovare preparati, era possibile che Sam ci ripensasse, prima che fosse troppo tardi. Sfrecciai verso la casa bianca che tanto odiavo, lasciandomi alle spalle la mia, una casa che ormai non mi apparteneva più: le avevo voltato le spalle.
La giornata era cominciata come tutte le altre. Ero rientrato sotto la pioggia dell’alba dopo essere stato di ronda, avevo fatto colazione con Billy e Rachel, mi ero lasciato intontire dalla TV, mi ero azzuffato con Paul... Possibile che tutto fosse cambiato in maniera così surreale? Che dopo quel gran casino mi ritrovassi solo, un alfa ribelle emarginato e pronto a preferire i vampiri ai miei fratelli?
Il suono che temevo arrestò i miei pensieri confusi: era il contatto impercettibile fra il terreno e grosse zampe che m’inseguivano. Mi scagliai in avanti, lanciandomi come un missile dentro l’oscurità della foresta. Dovevo avvicinarmi quel tanto che bastava perché Edward riuscisse a sentire l’avvertimento che mi ronzava in testa. Da sola, Leah non ce l’avrebbe fatta a bloccarmi.
E fu allora che carpii i pensieri che mi stavano alle calcagna. Non erano rabbiosi, ma entusiastici. Quei passi non mi stavano dando la caccia: mi seguivano.
La mia falcata perse il ritmo. Barcollai un attimo prima di ritrovare l’equilibrio.
Aspetta. Non ho le gambe lunghe come le tue.
SETH! Cosa credi di FARE? TORNA A CASA!
Non rispose, ma percepii la sua eccitazione mentre cercava di tenere il mio passo. Vedevo attraverso i suoi occhi come lui vedeva attraverso i miei. Lo scenario notturno era fosco per me, pieno di desolazione. Per lui, invece, era una promessa di speranza.
Non mi ero reso conto di aver rallentato, ma all’improvviso me lo ritrovai di fianco, che correva con me.
Non sto scherzando, Seth! Non è un posto per te. Sparisci.
Il lupo allampanato sbuffò. Sto dalla tua parte, Jacob. Penso che tu abbia ragione. E non ho intenzione di seguire Sam se...
Invece seguirai Sam, eccome se lo seguirai! Riporta le tue chiappe pelose a La Push e fa’ quello che Sam ti dice di fare.
No.
Seth, vai!
È un ordine, Jacob?
La domanda mi colse alla sprovvista. Mi fermai di botto, le mie unghie scavarono solchi nel fango.
Non do ordini a nessuno, io. Ti sto solo dicendo quello che sai già.
Si accovacciò accanto a me. Ti dico quello che so io, allora. So che c’è un silenzio tremendo. Te ne sei accorto?
Battei le palpebre. Quando compresi cosa sottintendevano le sue parole, la mia coda frusciò nervosamente. In un certo senso, era tutto meno che silenzioso. Lontano, a ovest, gli ululati continuavano a saturare l’aria.
Non si sono ancora ritrasformati, disse Seth.
Lo sapevo. Il branco doveva essere in stato di allarme rosso. In quel momento stavano sicuramente usando il potere della mente per vederci chiaro. Ma io non riuscivo ad ascoltare i loro pensieri. Sentivo solo Seth, nessun altro.
Mi sa che quando il branco si separa, la comunicazione s’interrompe. E questo i nostri padri non lo sapevano. Impossibile che lo sapessero, non c’erano motivi per cui il branco si separasse. E non c’erano abbastanza lupi per formare due branchi. Wow. Che silenzio. È quasi lugubre. Ma è pure bello, non credi? Doveva essere più facile per Ephraim, Quil e Levi. Poche chiacchiere in tre, o addirittura in due.
Zitto, Seth.
Sissignore.
Piantala! Non ci sono due branchi. C’è IL branco. E poi ci sono io. Fine della storia. Perciò puoi tornartene a casa.
Se non ci sono due branchi, allora com’è che fra noi ci sentiamo ma non riusciamo ad ascoltare gli altri? Penso che sia stato un gesto significativo quello che hai fatto voltando le spalle a Sam. Un cambiamento. E penso che sia stato significativo anche il mio gesto, il fatto che ti ho seguito.
Okay. Ammesso e non concesso che tu abbia ragione, se una cosa può cambiare, può anche tornare com’era.
Si alzò e cominciò a trottare verso est. Adesso non c’è tempo per discuterne. Dobbiamo muoverci per anticipare Sam...
Aveva ragione. Non era il momento delle chiacchiere. Ricominciai a correre senza forzare troppo l’andatura. Seth mi stava alle calcagna, occupava il posto che tradizionalmente spettava al secondo, alla mia destra.
Posso correre anche all’altro lato, pensò abbassando appena il muso. Non ti ho seguito perché ero in cerca di una promozione.
Corri dove ti pare. Per me non fa differenza.
Non sembrava che ci inseguissero, ma accelerammo entrambi. Cominciavo a preoccuparmi. Le cose si sarebbero complicate se non riuscivo più a sintonizzarmi sui pensieri del branco. Non avrei saputo dell’attacco con più anticipo dei Cullen.
Perlustreremo la zona, suggerì Seth.
E che facciamo se il branco ci sfida? Lo guardai truce. Attacchiamo i nostri fratelli? Attacchiamo tua sorella?
No, lanciamo l’allarme e battiamo in ritirata.
Ottima risposta. Sì, ma poi? Non penso...
Lo so, concordò, meno fiducioso. Neanch’io credo che potrei scontrarmi con loro. Ma l’idea di doverci attaccare non li rende più felici di quanto accade a noi. Potrebbe bastare a fermarli. E poi sono rimasti solo in otto.
Smettila di essere così..., mi ci volle un momento per trovare la parola giusta, ottimista. Mi dai sui nervi.
Va bene. Mi vuoi tenebroso e catastrofico, oppure devo solo starmene zitto?
Devi solo stare zitto.
Ce la posso fare.
Sul serio? Non sembrerebbe proprio.
Finalmente tacque.
E in quel momento attraversammo la strada e ci inoltrammo nella foresta che circondava casa Cullen. Edward riusciva già a sentirci?
Forse dovremmo pensare qualcosa del tipo: «Veniamo in pace».
Fallo.
Edward?, azzardò con prudenza. Edward, ci sei? Okay, ora mi sento proprio uno scemo.
È quello che sei.
Secondo te ci sente?
Ormai eravamo piuttosto vicini. Credo di sì. Ehi, Edward. Se mi senti... stai in campana, succhiasangue. Hai un problema.
Abbiamo un problema, mi corresse Seth.
Approdammo sul grande prato, sbucando dal fitto degli alberi. La casa era buia ma non vuota. Edward era sotto il portico, fra Emmett e Jasper. Alla luce fioca, erano bianchi come la neve.
«Jacob? Seth? Che succede?».
Rallentai e poi arretrai di qualche passo. L’odore m’investì con la violenza di una fiammata, colpa dell’olfatto da lupo. Seth guaì piano, titubante, e indietreggiò.
Per rispondere alla domanda di Edward ripercorsi mentalmente lo scontro con Sam. Seth pensava insieme a me, riempiva i vuoti che lasciavo e mostrava la scena da una diversa angolazione. Ci interrompemmo quando arrivammo alla parte che riguardava l’"abominio", perché Edward emise un sibilo furioso e balzò giù.
«Vogliono uccidere Bella?», ringhiò con tono incolore.
Emmett e Jasper, che non avevano ascoltato la prima parte della conversazione, scambiarono la sua domanda priva di intonazione per un’affermazione. In un baleno gli furono accanto, mostrando i denti mentre si avvicinavano a noi, minacciosi.
Ehi, calma, pensò Seth, indietreggiando.
«Emm, Jazz, non loro! Gli altri. Sta arrivando il branco».
Emmett e Jasper fecero marcia indietro; Emmett si rivolse a Edward mentre Jasper non ci toglieva gli occhi di dosso.
«Che problema hanno?», domandò Emmett.
«Lo stesso che ho io», sibilò Edward. «Ma hanno un piano diverso. Raduna gli altri. Chiama Carlisle! Lui ed Esme devono tornare subito!».
Guaii ansioso. Erano separati.
«Non sono lontani», disse Edward con lo stesso tono tombale di prima.
Vado a dare un’occhiata, disse Seth. Perlustro il perimetro occidentale.
«Non ti metterai nei guai?», chiese Edward.
Seth e io ci scambiammo un’occhiata.
Non credo, pensammo assieme. E poi aggiunsi: Ma forse dovrei andare io, nel caso...
È più improbabile che attacchino me, precisò Seth. Per loro sono ancora un moccioso.
Perché lo sei, un moccioso.
Vado. Tu devi rimanere qui con i Cullen per coordinare le manovre.
Girò sui tacchi e sfrecciò nell’oscurità. Non avevo intenzione di dare ordini a Seth, perciò lo lasciai fare.
Edward e io ci fissavamo al buio, nel prato. Sentivo Emmett bisbigliare al telefono. Jasper osservava il punto in cui Seth era sparito per prendere la via del bosco. Nel portico comparve Alice e poi, dopo avermi guardato a lungo con espressione carica d’ansia, svolazzò al fianco di Jasper. Supponevo che Rosalie fosse dentro insieme a Bella. Continuava a proteggerla... dai pericoli sbagliati.
«Non è la prima volta che devo esserti riconoscente, Jacob», sussurrò Edward. «Non ti avrei mai chiesto tanto».
Pensai alla richiesta che mi aveva fatto soltanto poche ore prima. Quando si trattava di Bella, niente era troppo per lui. Invece sì.
Ci pensò e poi annuì. «Sì, forse hai ragione».
Be’, anche questa volta, non è per te che lo faccio.
«Vero», mormorò.
Mi dispiace di non aver raggiunto lo scopo, oggi. Te lo avevo detto che non mi avrebbe dato ascolto.
«Lo so. Non credevo che lo avrebbe fatto. Ma...».
Dovevo provarci. Capito. Sta un po’ meglio?
La sua voce e i suoi occhi erano vuoti. «Peggio», gemette.
Non volevo che quella parola avesse il tempo di radicarsi nella mia mente. Grazie al cielo Alice parlò.
«Jacob, ti scoccia trasformarti?», mi chiese. «Voglio sapere cosa succede».
Feci cenno di no e contemporaneamente arrivò la risposta di Edward.
«Deve restare in contatto con Seth».
«Bene, allora saresti così gentile da dirmi tu cosa sta succedendo?».
Le spiegò la situazione con frasi smozzicate, senza lasciar trapelare alcuna emozione. «Il branco crede che Bella sia diventata un problema. Temono che ciò che... ciò che porta in grembo sia troppo pericoloso. Perciò si sentono in dovere di eliminarlo. Jacob e Seth hanno abbandonato il branco per avvertirci. Gli altri attaccheranno stanotte».
Alice si allontanò da me con un sibilo. Emmett e Jasper si scambiarono un cenno d’intesa e poi spostarono gli occhi verso gli alberi.
Non c’è nessuno in giro, comunicò Seth. Tutto tranquillo sul fronte occidentale.
Potrebbero aver cambiato direzione.
Vado a fare un giro completo.
«Carlisle ed Esme stanno per arrivare», annunciò Emmett, «fra venti minuti al massimo».
«Dobbiamo prepararci alla difesa», decretò Jasper.
Edward annuì. «Rientriamo».
Mi unisco a Seth. Se mi allontano troppo e non riesci a intercettare i miei pensieri, ascolta l’ululato.
«Va bene».
Rientrarono in casa, perlustrando con gli occhi ogni angolo. Ancora prima che fossero dentro, iniziai a correre verso ovest.
Non ho trovato niente, disse Seth.
Mi occupo io dell’altra metà del perimetro. Muoviti svelto... non devono avere l’opportunità di sgusciarci via.
Seth si precipitò a tutta velocità.
Correvamo in silenzio, i minuti passavano. Udivo i rumori che lo circondavano, verificavo le sue osservazioni.
Ehi, arriva qualcosa, ed è veloce!, mi mise in guardia, dopo un quarto d’ora di silenzio assoluto.
Arrivo!
Resta lì, non credo sia il branco. Ha un suono diverso.
Seth...
Afferrò l’odore che veniva trasportato dalla brezza e gli lessi nel pensiero.
Vampiro. Penso sia Carlisle.
Seth, arretra. Potrebbe essere qualcun altro.
No, sono loro. Riconosco l’odore. Aspetta, mi trasformo per spiegargli la situazione.
Seth, non credo...
Ma era sparito.
In preda all’ansia, mi portai verso il confine occidentale. Se non fossi riuscito a prendermi cura di Seth nemmeno per una sola, maledetta notte, sarebbe stato il colmo. E se gli succedeva qualcosa mentre era con me? Leah mi avrebbe fatto a brandelli.
Perlomeno il moccioso non perse tempo. Passarono soltanto un paio di minuti e lo percepii di nuovo.
Sì, sono Carlisle ed Esme. Cavolo, se erano sorpresi di vedermi! Ora dovrebbero essere in casa. Carlisle ringrazia.
È un brav’uomo.
Già. È una delle ragioni per cui sono sicuro che stiamo facendo la cosa giusta.
Speriamo.
Perché sei così giù, Jake? Sono convinto che Sam non porterà qui il branco stanotte. Figurati se lancerà una missione suicida.
Sospirai. Comunque andasse, non m’importava.
Oh. Il problema non è Sam, vero?
Finita la perlustrazione, tornai indietro. Colsi l’odore di Seth, era passato da lì anche lui. Non c’era punto che non avessimo battuto.
Pensi che Bella morirà in ogni caso, mormorò Seth.
Sì.
Povero Edward. Deve essere impazzito.
Letteralmente.
Il nome di Edward fece affiorare altri ricordi. Seth li lesse in preda allo sbigottimento.
E poi si mise a ululare. Oh, no! Non ci credo. Non puoi averlo fatto. È una cosa da fuori di testa, Jacob! E lo sai anche tu! Non posso credere che hai promesso che lo avresti ucciso. Cos’è? Devi dirgli di no.
Sta’ zitto, sta zitto, idiota! O penseranno che stia arrivando il branco!
Ops! Interruppe l’ululato a metà.
Mi avviai a grandi passi verso la casa. Stanne fuori, Seth. E tieni d’occhio tutto il perimetro.
Seth ribolliva di rabbia. Lo ignorai.
Falso allarme, falso allarme, gridavo avvicinandomi. Scusate. Seth è giovane. Non riflette. Non arriva nessuno. Falso allarme.
Quando giunsi sul prato, vidi Edward che sbirciava da una finestra. Mi precipitai, per accertarmi che avesse ricevuto il messaggio.
Non c’è nessuno là fuori... capito?
Annuì.
Se la comunicazione non fosse stata a senso unico, sarebbe stato tutto molto più agevole. Ancora una volta, ero felice di non essere nella sua testa.
Si voltò verso l’interno e vidi che un brivido lo percorreva. Mi fece un cenno, come a scacciarmi, e senza nemmeno guardare nella mia direzione, sparì dalla visuale.
Che succede?
Come se mi aspettassi di ricevere una risposta.
Mi sedetti sull’erba e restai in ascolto. Con quelle orecchie riuscivo quasi a udire il rumore tenue dei passi di Seth, dentro la foresta.
Era facile sentire i suoni che provenivano dall’interno della casa buia.
«Era un falso allarme», spiegava Edward con voce di tomba, limitandosi a riportare quello che gli avevo detto. «Seth pensava ad altro e si è dimenticato che aspettavamo un segnale. È molto giovane».
«Che fortuna avere dei cucciolotti a presidiare la fortezza», brontolò una voce più profonda, forse quella di Emmett.
«Ci hanno fatto un grosso favore stanotte, Emmett», disse Carlisle. «E a costo di un sacrificio personale».
«Sì, lo so. Sono solo invidioso. Vorrei essere là fuori anch’io».
«Seth non pensa che Sam ci attaccherà», disse meccanicamente Edward. «Non ora che siamo stati avvertiti e che ha dovuto rinunciare a due membri del branco».
«Jacob che ne pensa?», chiese Carlisle.
«Non è altrettanto ottimista».
Tacquero tutti. Seguì un rumore leggero che non riuscii a collocare. Sentivo il loro respiro lieve e riuscii a individuare quello di Bella. Era più forte, affaticato. Procedeva a balzi, a un ritmo strano. Percepii il battito del suo cuore. Mi sembrò troppo veloce. Cercai di confrontarlo con il mio, ma non ero certo che fosse un metro di misura valido. Neanch’io mi sentivo tanto normale.
«Non la toccare! La sveglierai», mormorò Rosalie.
Qualcuno sospirò.
«Rosalie», sussurrò Carlisle.
«Non cominciare, Carlisle. Finora ti abbiamo lasciato fare, ma adesso basta».
Rosalie e Bella ormai parlavano entrambe al plurale, come se formassero un branco a sé.
Andavo su e giù fuori dall’ingresso della casa. A ogni passaggio mi avvicinavo un po’. Le finestre buie sembravano una sfilza di monitor in una scialba sala d’attesa: impossibile distogliere a lungo lo sguardo.
Ancora qualche minuto, altri passaggi, e a forza di camminare sfiorai il confine del portico con il pelo.
Intravidi qualcosa dalle finestre: la parte superiore delle pareti, il soffitto, il candeliere spento. Considerata la mia altezza, mi bastava allungare un po’ il collo e magari poggiare una zampa sul muro.
Sbirciai all’interno, aspettandomi di vedere più o meno la scena del pomeriggio. Invece era cambiato tutto, tanto che di primo acchito mi sentii confuso. Per un attimo, pensai di aver sbagliato stanza.
La grande vetrata era scomparsa: sembrava rivestita di metallo. E avevano tolto di mezzo i mobili. Bella era rannicchiata su un lettino al centro della stanza. Non era un letto normale: aveva le sbarre, come in ospedale. Anche i monitor collegati al suo corpo e i tubi conficcati nella pelle mi ricordavano una corsia. Le luci sugli schermi lampeggiavano senza emettere alcun suono. L’unico rumore proveniva dalla flebo: stillava un liquido denso e bianco, tutt’altro che trasparente.
Di tanto in tanto, nel sonno agitato rantolava, mentre Edward e Rosalie le ronzavano intorno. Ebbe un sussulto e gemette. Rosalie le accarezzò la fronte. Edward era rigido: mi dava le spalle, ma doveva avere un’espressione molto eloquente visto che Emmett si frappose fra loro in un lampo. Sollevò le mani per fermarlo.
«Non stanotte, Edward. Abbiamo già preoccupazioni a sufficienza».
Edward si allontanò, era di nuovo l’uomo divorato dalle fiamme. Per un attimo i suoi occhi incrociarono i miei, poi mi allontanai a quattro zampe.
Mi avviai di corsa nel folto della foresta, per raggiungere Seth, per scappare da ciò che mi lasciavo alle spalle.
Peggio. Sì, stava peggio.
Stavo finalmente per appisolarmi.
Il sole aveva fatto capolino fra le nuvole un’ora prima: la foresta era grigia anziché nera. Verso l’una Seth era sprofondato nel sonno, rannicchiato in un angolo, e all’alba lo avevo svegliato per darmi il cambio. Nonostante avessi corso tutta la notte, era stata un’impresa far tacere il mio cervello: non sarei mai riuscito ad addormentarmi se non mi avesse concesso un po’ di tregua. Per fortuna la corsa cadenzata di Seth mi aveva dato una mano. Uno, due-tre, quattro, uno, due-tre, quattro, ta, ta-ta, ta: lo scalpiccio sordo e ininterrotto delle sue zampe sulla terra umida mentre percorreva il circuito che delimitava la proprietà dei Cullen. A forza di andare su e giù, avevamo già tracciato un nuovo sentiero. Seth aveva la testa sgombra: i suoi pensieri non erano altro che macchie indistinte di verde e grigio, le immagini della boscaglia che gli sfilava accanto. Infarcirmi la testa di ciò che vedeva lui mi aiutò e impedì alle mie visioni di guadagnare il centro della scena.
E a un tratto, l’ululato lancinante di Seth squarciò la quiete del mattino.
Mi alzai di scatto. Le mie zampe anteriori si lanciarono nella corsa ancora prima che quelle posteriori si fossero sollevate da terra. Mi affrettai a raggiungere il punto in cui Seth era rimasto pietrificato e restai ad ascoltare assieme a lui il rumore delle zampe che avanzavano, di corsa, verso di noi.
Buongiorno, ragazzi.
Seth si lasciò sfuggire un guaito sbigottito. E non appena entrambi riuscimmo a decifrare con maggiore chiarezza quei nuovi pensieri, ringhiammo.
Oddio! Vattene, Leah!, ruggì Seth,
Mi fermai appena raggiunsi Seth che, il capo reclinato all’indietro, stava per lanciare un altro ululato, di fastidio anziché di paura.
Piantala di fare caciara, Seth.
Va bene. Uffa! Uffa! Uffa! Uggiolò e prese a dare zampate per terra, scavando solchi profondi.
Leah si avvicinava a passo sostenuto: nel sottobosco s’intravedeva già la sua sagoma.
Smettila di guaire, Seth. Sei proprio un bamboccio!
Emisi un grugnito, le orecchie appiattite sul cranio. Leah indietreggiò meccanicamente di un passo.
Cosa credi di fare, Leah?
Sbuffò. Mi pare abbastanza ovvio, no? Mi unisco al branco degli sporchi ribelli. Ai cani da guardia dei vampiri. Latrò piano, sarcastica.
Invece no. Ora tu torni indietro, prima che ti strappi i tendini a morsi.
Pensi di potermi acchiappare? Con un ghigno si mise in posizione. Ti va di fare una gara, impavido capo?
Feci un respiro profondo, riempiendomi i polmoni fino a che non mi si gonfiarono i fianchi. Poi, quando fui certo che non avrei urlato, sbuffai con foga.
Seth, va’ a dire ai Cullen che è solo quella stupida di tua sorella. Pensai questo nel tono più aspro che potevo. Me ne occupo io.
Subito! Seth fu felice di obbedire. Sparì in un lampo diretto verso la casa.
Leah uggiolò. Si tese verso di lui con il pelo ritto. Lo mandi dai vampiri da solo?
Sono quasi sicuro che preferisca che gli facciano la festa piuttosto che passare un altro minuto con te.
Sta’ zitto, Jacob. Ops, scusa... Volevo dire, sta’ zitto, eccelso alfa.
Che cavolo sei venuta a fare qui?
Pensi che possa starmene a casa come se niente fosse mentre mio fratello si immola volontario come osso per i vampiri?
Seth non vuole la tua protezione e non ne ha nemmeno bisogno. A dire il vero, qui non sei gradita.
Oh! Ahi ahi, questo sì che mi fa male, molto male!, latrò. Dimmi se c’è qualcuno che mi gradisce e me ne vado.
Quindi non ha niente a che vedere con Seth, giusto?
Certo che sì. Sto solo mettendo in chiaro che essere gradita non è la mia priorità. Diciamo che non è esattamente il mio elemento motivante, non so se mi spiego.
Digrignai i denti e cercai di raddrizzare la testa.
Ti ha mandata Sam?
Se venissi in qualità di sua messaggera, non mi sentiresti. Non sono più devota a lui.
Ascoltai con attenzione i pensieri che si mischiavano alle parole. Se fosse stato un diversivo o un espediente, dovevo stare all’erta per rendermene conto. Ma no. Diceva la verità. Pure se di malavoglia e quasi in preda alla disperazione.
Adesso sei fedele a me?, chiesi con sarcasmo. Certo, certo. Bene.
Non ho molta scelta. Mi arrangio fra le alternative che ho. Fidati, la cosa non mi fa più piacere di quanto ne faccia a te.
Non era vero. Sembrava tesa, ma anche elettrizzata. Non era contenta, ma in un certo senso si sentiva su di giri. Esplorai quello che le frullava in testa, cercando di capire.
Drizzò il pelo, offesa per l’intrusione. Solitamente la ignoravo e non avevo mai cercato di comprenderla prima d’allora.
I pensieri di Seth che spiegava la situazione a Edward ci interruppero. Leah guaì in preda all’ansia. Il volto di Edward, incorniciato nella stessa finestra di prima, non tradì alcuna emozione nell’apprendere la notizia. Era un volto vacuo, morto.
Ehi, ha una pessima cera, mormorò Seth. Il vampiro non reagì neppure a quel pensiero. Sparì in casa. Seth fece dietrofront e si diresse di nuovo verso di noi. Leah si rilassò.
Che succede?, chiese Leah. Mettimi al corrente.
Non se ne parla. Non puoi restare.
A dire il vero, signor alfa, resto eccome. Perché, visto che a quanto pare devo appartenere a qualcuno — e non credere che non abbia cercato di andarmene per conto mio, ma sai meglio di me che non è possibile -, scelgo te.
Leah, io non ti piaccio. E tu non piaci a me.
Grazie mille, Capitan Ovvio. Non m’importa. Sto con Seth.
I vampiri non ti piacciono. Non pensi che ci sia un conflitto di interessi?
Nemmeno a te piacciono i vampiri.
Ma io mi sono esposto per questa alleanza. Tu no.
Terrò le distanze. Posso limitarmi a perlustrare la zona, proprio come Seth.
E io dovrei fidarmi di te?
Allungò il collo e si mise sulle punte, cercando di raggiungere la mia altezza, e poi mi fissò dritto negli occhi. Non tradirò il mio branco.
Avrei voluto reclinare indietro il capo e ululare, come Seth. Non è il tuo branco! Non è nemmeno un branco. Sono io e basta: io che me ne sono andato per conto mio! Che cosa avete voi Clearwater? Perché non mi lasciate in pace?
Seth, che ci aveva appena raggiunti, mugolò. Lo avevo offeso. Fantastico.
Non mi sono reso utile, Jake?
Diciamo che non sei stato troppo d’impiccio, moccioso, ma se Leah fa parte del pacchetto, se il solo modo che ho per sbarazzarmi di lei è mandare via anche te... Insomma, puoi biasimarmi se ti chiedo di andare via con lei?
Leah, rovini sempre tutto!
Sì, lo so, rispose lei e in quel pensiero avvertii tutto il suo sconforto.
C’era dolore in quelle tre parole, più di quanto avrei mai immaginato. Non volevo provarlo. Non volevo sentirmi male per lei. Certo, per lei la vita nel branco doveva essere dura, ma ci metteva del suo, con l’acrimonia che infettava ogni suo pensiero e rendeva un vero incubo entrare nella sua mente.
Anche Seth si sentiva in colpa. Jake, non mi manderai via, vero? Leah non è poi così male. Sul serio. Insomma, se lei resta con noi, potremo ampliare il perimetro. E così il branco di Sam si riduce a sette. Non preparerà un attacco con una simile inferiorità numerica. Forse è una buona cosa.
Lo sai che non voglio guidare un branco, Seth.
E allora non guidarci, sentenziò Leah.
Grugnii. Per me è perfetto. E adesso filate a casa.
Jake, pensò Seth. Questo è il mio posto. A me i vampiri piacciono. I Cullen, almeno. Li considero persone e ho intenzione di proteggerli, perché è per questo che siamo qui.
Forse questo è il tuo posto, moccioso, ma non quello di tua sorella. Che è pronta a seguirti dappertutto.
M’interruppi di colpo, perché pronunciando quelle parole intravidi qualcosa, una cosa che Leah si era sforzata di non pensare.
Leah non sarebbe andata da nessuna parte.
Credevo riguardasse Seth, pensai stizzito.
Trasalì. Certo, sono qui per Seth.
Ma anche per liberarti di Sam.
Contrasse la mascella. Non devo darti spiegazioni. Devo solo obbedire. Jacob, faccio parte del tuo branco. Fine della storia.
Mi allontanai da lei, ringhiando.
Merda. Non potevo sbarazzarmene. Per quanto mi detestasse, per quanto disprezzasse i Cullen, per quanto sarebbe stata felice di far fuori tutti i vampiri, per quanto le desse noia l’idea di doverli proteggere, non era niente paragonato alla gioia che provava nell’essersi liberata di Sam.
A Leah non piacevo, perciò il mio desiderio che sparisse era più che lecito.
Ma voleva molto bene a Sam. Lo amava ancora. E sentirsi rifiutata da lui era un dolore troppo forte, insopportabile. Ora che poteva scegliere, avrebbe optato per qualsiasi alternativa. Anche se ciò significava diventare il cane da compagnia dei Cullen.
Non so se arriverò a tanto, pensò. Cercava di essere dura, aggressiva, ma rivelava grosse crepe nella sua ostentazione. Piuttosto mi ammazzo.
Senti, Leah...
No, senti tu, Jacob. Smettila di discutere con me, perché non ne caverai niente di buono. Ti starò lontana, okay? Farò tutto quello che mi dirai di fare, tranne tornare da Sam e recitare la parte della patetica ex che non riesce a levarsi di torno. Se vuoi che me ne vada, si accovacciò e mi guardò fisso negli occhi, dovrai fare in modo che me ne vada.
Ringhiai per un lungo e rabbioso minuto. Cominciavo a provare quasi compassione per Sam, malgrado ciò che aveva fatto a me e a Seth. Non mi stupiva che opprimesse il branco con i suoi ordini. In che altro modo sarebbe riuscito a ottenere qualcosa?
Seth, mi odierai se uccido tua sorella?
Finse di pensarci per un attimo. Be’, probabilmente sì.
Okay, miss "farò tutto quello che mi dirai di fare". Perché non ti rendi utile e ci racconti quello che sai? Cos’è successo dopo che ce ne siamo andati?
Parecchi ululati. Ma di quelli probabilmente vi siete accorti. Erano così forti che c’è voluto un po’ prima di capire che non vi sentivamo più. Sam era... Le mancarono le parole, ma riuscimmo a vedere ciò che le passava per la testa. Io e Seth trasalimmo. Dopo, non ci abbiamo messo tanto a capire che dovevamo riorganizzarci. Sam ha deciso di parlarne con gli anziani stamattina stessa. Ci saremmo dovuti incontrare per mettere a punto un nuovo piano. A occhio, direi che non era intenzionato a preparare subito un nuovo attacco. Considerato che tu e Seth avevate tagliato la corda e che i succhiasangue erano stati avvertiti, sarebbe stato un suicidio. Non so esattamente cosa faranno, ma di certo se fossi una sanguisuga non me ne andrei a zonzo per la foresta. La caccia ai vampiri è aperta.
Hai deciso tu di disertare la riunione stamattina?, chiesi.
Quando ieri notte ci siamo separati per andare in perlustrazione, ho chiesto il permesso di tornare a casa, per dire a mia madre cos’era successo...
Merda! L’hai detto a mamma?, ruggì Seth.
Seth, per ora lascia perdere le zuffe fra fratelli. Continua, Leah.
Tornata umana, ho riflettuto un po’. Cioè, ho riflettuto per tutta la notte. Volevo essere sicura che gli altri pensassero che dormivo. Ma la storia del "due branchi uguale due menti separate" mi ha dato davvero parecchio a cui pensare. Alla fine ho messo su un piatto della bilancia la sicurezza di Seth e tutti gli altri, ehm, benefici, e sull’altro l’idea di tradire il branco e respirare il fetore dei vampiri per chissà quanto tempo. E sai cosa ho deciso. Ho lasciato un biglietto a mia madre. Mi sa che, quando Sam lo verrà a sapere, ce ne accorgeremo.
Leah drizzò un orecchio.
Già, mi sa proprio di sì, concordai.
È tutto. Ora che si fa?, chiese.
Lei e Seth mi guardarono carichi di attesa. Era esattamente il genere di cosa che non volevo essere costretto a fare.
Credo che per il momento dobbiamo solo tenere gli occhi aperti. Non possiamo fare altro. Forse tu dovresti schiacciare un pisolino, Leah.
Non avete dormito più di me.
Pensavo che facessi tutto quello che ti dico di fare.
Giusto. La battuta però comincia a diventare vecchia e non fa più ridere, borbottò, e sbadigliò. Comunque sia, sai quanto me ne importa.
Faccio un giro del perimetro, Jake. Non sono per niente stanco. Seth non riusciva a stare fermo un attimo, contento com’era che gli avessi permesso di restare.
Certo, certo. Io vado a fare il punto della situazione con i Cullen.
Seth spiccò il volo per il nuovo sentiero che avevamo scavato sulla terra intrisa di pioggia. Leah lo guardò pensierosa.
Forse un paio di ronde prima che crolli... Ehi, Seth, hai voglia di vedere quante volte riesco a doppiarti?
NO!
Leah emise una risatina soffocata e si lanciò nel bosco dietro di lui.
Ringhiai invano. Perlomeno me ne sarei stato in santa pace per un pezzo.
Leah faceva del suo meglio... per essere Leah. Mentre correva intorno al circuito provò a tenere un basso profilo, ma era impossibile non notare il suo compiacimento. Pensai a quel detto: «poca brigata, vita beata». Non faceva esattamente al caso mio, perché per me la brigata di uno era già abbastanza. Ma se dovevamo proprio essere in tre, avrei preferito barattare lei con chiunque altro.
Anche Paul?, mi stuzzicò.
Anche, ammisi.
Rise fra sé, troppo su di giri e agitata per offendersi. Mi chiedevo fin quando sarebbe durata l’euforia per essersi sottratta alla commiserazione di Sam.
Sarà questo il mio obiettivo, allora... Farò di tutto per rendermi meno molesta di Paul.
Sì, lavoraci.
Quando fui poco lontano dal prato dei Cullen cambiai sembianze. Non era nei miei programmi passare molto tempo in forma umana, ma nei miei piani non c’era nemmeno quello di essere sintonizzato con la mente di Leah. Infilai i pantaloncini sbrindellati e attraversai il giardino.
Prima ancora che fossi sulle scale, la porta si aprì. Fui sorpreso che ad accogliermi fosse venuto Carlisle e non Edward. Il suo volto era esausto, frustrato. Per un attimo mi sentii raggelare. Mi arrestai di colpo, incapace di aprire bocca.
«Tutto bene, Jacob?», domandò Carlisle.
«Bella?», mi lasciai sfuggire con voce soffocata.
«Sta... più o meno come ieri notte. Ti ho spaventato? Mi dispiace. Edward ha detto che stavi per arrivare in forma umana e sono venuto ad accoglierti io, perché non l’ha voluta lasciare. È sveglia».
Ed Edward non voleva perdersi nemmeno un attimo di quel poco che gli rimaneva. Carlisle non lo disse ad alta voce, ma era come se lo avesse fatto.
Non dormivo da un pezzo, da prima dell’ultimo turno di ronda, e adesso cominciavo a sentire il peso della stanchezza. Feci un passo avanti, mi sedetti sugli scalini dell’ingresso e crollai pesantemente contro la ringhiera.
Muovendosi silenzioso come solo un vampiro è capace di fare, Carlisle si sedette all’altro capo del gradino su cui stavo io.
«Non ho avuto modo di ringraziarti ieri notte, Jacob. Non immagini quanto apprezzi la tua... compassione. So che il tuo scopo è proteggere Bella, ma se il resto della mia famiglia è al sicuro lo devo a te. Edward mi ha raccontato quello che hai dovuto fare».
«Lascia stare», bofonchiai.
«Come preferisci».
Restammo seduti in silenzio. Sentivo gli altri, in casa. Emmett, Alice e Jasper erano di sopra e parlavano sottovoce, in tono grave. In un’altra stanza, Esme canticchiava fra sé. Rosalie ed Edward respiravano vicini, non riuscivo a distinguere l’uno dall’altra, ma riconobbi il respiro affannoso di Bella. Sentii anche il battito del suo cuore. Sembrava irregolare.
Nelle ultime ventiquattr’ore pareva che un destino diabolico avesse macchinato per costringermi a fare tutto ciò che avevo giurato che mai e poi mai avrei fatto. Me ne stavo lì a indugiare, aspettando che morisse.
Non volevo sentire altro. Parlare era meglio che ascoltare.
«La consideri una di famiglia?», chiesi a Carlisle. Avevo aiutato anche il resto della famiglia, parole sue, e ciò non mi lasciava indifferente.
«Certo. Bella è una figlia per me. Una figlia a cui sono molto affezionato».
«Ma la stai lasciando morire».
Rimase in silenzio tanto a lungo che dovetti sollevare lo sguardo. Il suo volto era molto, molto stanco. Sapevo come si sentiva.
«Immagino cosa pensi di me», disse infine. «Ma non posso ignorare la sua volontà. Non sarebbe giusto se scegliessi io per lei, se la costringessi».
Avrei voluto arrabbiarmi con lui, ma Carlisle rendeva tutto difficile. Mi sentivo sbattere in faccia le mie stesse parole, prese e poi deformate. Mi erano sembrate giuste, ma ora non più. Perché Bella stava morendo. Eppure... Ricordai quando mi ero accasciato a terra sotto il peso degli ordini di Sam, la sensazione di non avere scelta ed essere costretti a partecipare all’assassinio di qualcuno che amavo. Non era la stessa cosa, però. Sam era nel torto. E Bella amava ciò che non avrebbe dovuto amare.
«Pensi che abbia qualche possibilità di farcela? Cioè, come vampira e tutto quanto. Mi ha raccontato di... di Esme».
«Direi che al punto in cui siamo c’è una possibilità molto remota», rispose pacato. «Ho visto il veleno compiere miracoli, ma in certe condizioni anche il veleno è impotente. Il suo cuore si sta sforzando troppo e se dovesse smettere di funzionare non potrei fare molto».
Il battito di Bella che continuava a pulsare e perdere colpi diede un’enfasi tormentata alle sue parole.
Forse la Terra aveva cominciato a girare al contrario. Ecco perché tutto era l’opposto rispetto al giorno prima... e mi trovavo a sperare ciò che fino ad allora avevo considerato la peggiore calamità del mondo.
«Cosa le sta facendo?», sussurrai. «Ieri notte è peggiorata parecchio. Ho visto i tubi e il resto, dalla finestra».
«Il feto è incompatibile con il suo corpo. Prima di tutto è troppo forte, anche se probabilmente lei potrebbe resistere ancora per un po’. Il problema maggiore è che non le permette di sostentarsi come dovrebbe. Il suo corpo rifiuta qualsiasi forma di nutrimento. Sto tentando di alimentarla per endovena, ma non assorbe niente. La guardo... Guardo lei e il feto morire di fame. Non solo non posso fermare tutto questo, ma non posso nemmeno rallentarlo. Non riesco a capire cosa vuole». Completò la frase con voce rotta.
Mi sentivo come il giorno prima, quando avevo visto le macchie nere sul suo ventre: furioso e sull’orlo della pazzia.
Strinsi i pugni per tenere a bada il tremore. Odiavo la cosa che la faceva soffrire. Quel mostro non si accontentava di farle passare le pene dell’inferno, no. Doveva anche farla morire di fame. Probabilmente cercava solo qualcosa in cui affondare i denti: una gola da prosciugare. Finché non fosse stato grosso abbastanza per uccidere qualcun altro, avrebbe succhiato la vita a Bella.
Sapevo perfettamente cosa voleva: morte e sangue, sangue e morte.
Ero accaldato, mi sentivo prudere ovunque. Inspiravo ed espiravo lentamente, nel tentativo di calmarmi.
«Vorrei tanto avere un’idea più precisa di cosa sia», mormorò Carlisle. «Il feto è molto protetto. Non sono stato in grado di fare un’ecografia. Dubito che sia possibile introdurre un ago attraverso la sacca amniotica e in ogni caso Rosalie non mi lascerebbe neppure provare».
«Un ago?», farfugliai. «A che servirebbe?».
«Più cose so sul feto, meglio posso prevedere di cosa sarà capace. Non sai che darei per un po’ di liquido amniotico. Mi basterebbe conoscere il numero dei cromosomi...».
«Non ti seguo più, dottore. Puoi parlare come mangi?».
Ridacchiò, ma anche la sua risata suonava sfinita. «Okay. Hai studiato biologia? Hai mai sentito parlare di coppie di cromosomi?».
«Credo di sì. Ne abbiamo ventitré, giusto?».
«Gli umani sì».
Battei le palpebre. «E voi quante ne avete?».
«Venticinque».
Corrugai la fronte. «Che vuol dire?».
«Pensavo significasse che le nostre specie fossero quasi del tutto diverse. Che non avessero in comune niente di più di quello che hanno un leone e un gatto domestico. Ma questa nuova vita, be’, mi fa supporre che geneticamente siamo più compatibili di quanto immaginassi». Sospirò triste. «Se lo avessi saputo prima, li avrei messi in guardia».
Sospirai anch’io. Era stato facile odiare Edward in nome della sua ignoranza, e lo era ancora. Ma non lo era altrettanto avercela con Carlisle. Forse perché, nel caso del dottore, non ero accecato dalla gelosia.
«Conoscere il numero delle coppie di cromosomi sarebbe utile per sapere se il feto somiglia più a noi o a lei. Per sapere cosa dobbiamo aspettarci». Si strinse nelle spalle. «Oppure non servirebbe a niente. Forse ho solo voglia di avere qualcosa da studiare, qualcosa da fare».
«Chissà quante coppie di cromosomi ho io», biascicai, senza neppure badarci. Ripensai ai controlli antidoping durante le competizioni olimpiche. Lo facevano, l’esame del DNA?
Carlisle tossì. «Ne hai ventiquattro, Jacob».
Mi voltai e lo fissai, inarcando le sopracciglia.
Sembrava in imbarazzo. «Ero... curioso. Mi sono preso la libertà lo scorso giugno, mentre ti curavo».
Ci pensai su un attimo. «Forse dovrei incazzarmi. Ma a dire il vero non m’importa».
«Scusa. Avrei dovuto chiederti il permesso».
«È tutto a posto, dottore. Non volevi farmi del male».
«No, ti assicuro che non volevo farti del male. È solo che sono affascinato dalla tua specie. Nel corso dei secoli, gli elementi della natura vampiresca sono diventati banali per me. Trovo molto più interessanti le differenze fra la tua famiglia e il genere umano. C’è qualcosa di magico».
«Bibidi bobidi bu», bofonchiai. Mi tornarono in mente le stupidaggini che mi aveva detto Bella riguardo alla magia.
Carlisle rise, sempre più esausto.
Fu allora che sentimmo la voce di Edward provenire da dentro casa e tacemmo entrambi per ascoltare.
«Torno subito, Bella. Devo parlare con Carlisle. Ehm, Rosalie, vieni con me?». La voce di Edward era diversa, con un briciolo di vita, una scintilla. Più che speranza, trapelava un desiderio di speranza
«Che c’è, Edward?», chiese Bella, rauca.
«Niente di cui tu debba preoccuparti, amore. Ci metto un attimo. Rose, ti prego!».
«Esme?», chiamò Rosalie. «Mi dai il cambio con Bella?».
Sentii un fruscio: Esme si librava verso il piano di sotto.
«Certo», rispose.
Carlisle si voltò. Guardava la porta carico di aspettativa. Apparve Edward, seguito da Rosalie. Il suo volto, come la voce, non era più morto. Sembrava concentratissimo. Rosalie era guardinga.
Edward chiuse la porta.
«Carlisle», mormorò.
«Cosa c’è, Edward?».
«Forse abbiamo affrontato la cosa nel modo sbagliato. Stavo ascoltando la vostra conversazione e quando parlavi di ciò che vuole il... feto, Jacob ha avuto un’intuizione interessante».
Io? Quale intuizione? Non avevo pensato ad altro che all’odio che provavo per la cosa. Perlomeno i miei sentimenti erano condivisi da qualcun altro. Edward aveva avuto non poche difficoltà a usare un termine neutro come feto.
«Non abbiamo ancora valutato il problema da quella angolazione», proseguì. «Finora abbiamo sempre pensato a ciò di cui ha bisogno Bella. Ma il suo corpo reagisce più o meno come reagirebbero i nostri. Forse dovremmo prendere in considerazione i bisogni del... feto. Forse, se riuscissimo a soddisfarlo, potremmo aiutare lei in maniera più efficace».
«Non ti seguo, Edward», disse Carlisle.
«Pensaci, Carlisle. Se la creatura è più un vampiro che un umano, cos’è che desidera ardentemente... cos’è che non gli diamo? Jacob ci è arrivato».
Ah sì? Ripercorsi mentalmente la conversazione, tentando di ricordare quali pensieri mi fossi tenuto per me. Nell’attimo esatto in cui me ne resi conto, anche Carlisle capì.
«Oh», disse, sorpreso. «Pensi che abbia sete?».
Rosalie sibilò fra i denti. Non era più sospettosa. Il suo volto disgustosamente perfetto s’illuminò e lei sgranò gli occhi per l’entusiasmo. «Certo», mormorò. «Carlisle, abbiamo tutto lo 0 negativo che tenevamo da parte per Bella. È una buona idea», aggiunse senza guardarmi.
«Uhm». Carlisle si portò la mano al mento, perso nei pensieri. «Mi chiedo quale sarebbe il metodo di somministrazione migliore».
Rosalie scosse la testa. «Non c’è tempo per la creatività. Direi di cominciare in maniera tradizionale».
«Aspetta un attimo», sussurrai. «Un attimo solo. Stai dicendo. .. stai dicendo che Bella dovrebbe bere sangue?».
«È stata una tua idea, cane», disse Rosalie torva, senza degnarmi di uno sguardo.
La ignorai e mi rivolsi a Carlisle. Negli occhi del dottore c’era la stessa ombra di speranza che aveva ravvivato il volto di Edward. Increspò le labbra, mentre meditava.
«È semplicemente...», non riuscii a trovare la parola esatta per completare la frase.
«Mostruoso?», suggerì Edward. «Ributtante?».
«Abbastanza».
«Ma se servisse ad aiutare lei?», sussurrò.
Scossi la testa, con rabbia. «Che cosa vuoi fare? Ficcarle una cannula in gola?».
«Le chiederò cosa ne pensa. Però volevo accennarlo a Carlisle, prima».
Rosalie annuì. «Se le dici che potrebbe fare del bene al bambino, sarà disposta a tutto. Pure se si rendesse necessario alimentarli con una sonda».
Quando sentii che la sua voce si era addolcita pronunciando la parola bambino, capii che la bionda avrebbe appoggiato qualsiasi iniziativa che potesse aiutare il mostro succhiavita. Qual era il vincolo misterioso che legava quei due? Era Rosalie a volere il bambino?
Con l’angolo dell’occhio vidi che Edward annuiva, soprappensiero, senza guardarmi. Ma sapevo che stava rispondendo alle mie domande.
Non avrei mai pensato che la Barbie glaciale avesse un istinto materno. Altro che proteggere Bella. Rosalie sarebbe stata capace di cacciarle il tubo in gola con le sue stesse mani.
Edward increspò le labbra e capii di averci azzeccato ancora una volta.
«Be’, il tempo fugge. Non possiamo restarcene qui seduti a discutere», disse Rosalie impaziente. «Che ne pensi Carlisle? Possiamo provarci?».
Carlisle fece un respiro profondo e si alzò. «Chiederemo a Bella».
La bionda si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto, certa che, se fosse dipeso da Bella, avrebbe avuto via libera.
Mi trascinai su per le scale e li seguii in casa. Non sapevo bene nemmeno io perché. Forse era solo curiosità morbosa. Sembrava un film dell’orrore. C’erano mostri e sangue dappertutto.
Forse, semplicemente, non riuscivo a fare a meno di un’altra dose della mia droga, che ormai scarseggiava.
Bella era distesa sul letto d’ospedale, la pancia emergeva da sotto le lenzuola come una montagna. Sembrava una statua di cera: il colorito era cadaverico, lo sguardo del tutto assente. Non fosse stato per gli impercettibili movimenti del petto, per il respiro debole, avrei detto che era morta. Con occhi sospettosi ci guardò tutti e quattro.
Gli altri le erano già accanto, si posizionarono nella stanza con movimenti fulminei. Una scena raccapricciante. Mi avvicinai con passo tranquillo, come stessi passeggiando.
«Che succede?», chiese Bella con voce stridula. Contrasse la mano cerea, come a proteggere il ventre a forma di pallone.
«Jacob ha avuto un’idea che potrebbe aiutarti», disse Carlisle. Avrei preferito che non mi coinvolgesse. Non avevo suggerito niente, io. Che attribuisse i meriti al marito succhiasangue: l’idea era stata sua. «Non sarà piacevole, ma...».
«Ma aiuterà il bambino», s’intromise impaziente Rosalie. «Abbiamo scoperto una maniera migliore di nutrirlo. Forse».
Bella batté le palpebre. Poi tossì una risatina debole. «Non sarà piacevole?», ripeté sottovoce. «Grande novità!». Osservò il tubicino conficcato nel suo braccio e tossì di nuovo.
La bionda rise con lei.
Nonostante sembrasse una questione di ore, e chissà quanto soffrisse, lei riusciva ancora a scherzare. Tipico di Bella. Forse era un tentativo per allentare la tensione, per rendere le cose più semplici a tutti.
Edward passò accanto a Rosalie. La sua espressione era intensa, senza un’ombra di buonumore. Ne fui felice. Il fatto che soffrisse peggio di me un po’ mi aiutava. Le prese la mano, quella che non era impegnata a proteggere il pancione tumefatto.
«Bella, amore, stiamo per farti una richiesta mostruosa», disse ricorrendo agli stessi aggettivi che aveva usato con me. «Ributtante».
Be’, perlomeno parlava chiaro, senza giri di parole.
Lei fece un respiro breve, tremulo. «È tanto brutto?».
Rispose Carlisle. «Pensiamo che l’appetito del feto sia più simile al nostro che al tuo. Può darsi che abbia sete».
Batté le palpebre. «Oh. Oh».
«Le tue condizioni... le vostre condizioni, ecco, peggiorano rapidamente. Non c’è tempo da perdere, non possiamo permetterci il lusso di affannarci alla ricerca di un metodo più invitante. Il modo più veloce per verificare che la nostra teoria...».
«Devo berlo», mormorò Bella. Annuì appena, non aveva energie sufficienti per andare oltre quel leggerissimo movimento del capo. «Posso farcela. E nel frattempo mi alleno per il futuro, no?». Guardò Edward e le sue labbra esangui s’incresparono a formare un debole sorriso che lui non ricambiò.
Rosalie iniziò a battere il piede con impazienza. Quanto era irritante! Mi chiesi come avrebbe reagito se avessi ceduto all’impulso di scaraventarla contro il muro.
«Allora chi è che va a cacciarmi l’orso?», sussurrò Bella.
Carlisle ed Edward si scambiarono un’occhiata fugace. Rosalie rimase impalata.
«Che c’è?», incalzò Bella.
«Perché il test sia efficace, non dobbiamo prendere scorciatoie, Bella», disse Carlisle.
«Se il feto brama il sangue», le spiegò Edward, «non si accontenterà del sangue di un animale».
«Bella, non ti accorgerai nemmeno della differenza. Non pensarci», la incoraggiò Rosalie.
Bella spalancò gli occhi. «Chi?», ansimò e il suo sguardo si posò su di me.
«Non sono venuto qui per immolarmi come donatore, Bells», borbottai. «E poi quella cosa vuole sangue umano, perciò non credo proprio che il mio faccia al caso suo...».
«Abbiamo del sangue a portata di mano», s’intromise Rosalie senza aspettare che avessi finito, come se non esistessi nemmeno. «Per te. Non si può mai sapere. Non preoccuparti di niente. Andrà tutto bene. Me lo sento, Bella. Sono sicura che il bambino starà molto meglio».
Bella si portò la mano alla pancia.
«Bene», sussurrò con tono stridulo. «Io sto morendo di fame, per cui suppongo che anche lui non veda l’ora di mangiare». Cercò di fare un’altra battuta. «Forza. Sarà il mio primo gesto da vampira».
Carlisle e Rosalie sparirono in un baleno. Erano volati al piano di sopra a discutere: era il caso di scaldarlo oppure no? Puah. Chissà che bel corredo da casa degli orrori possedevano! Un frigo stipato di sangue, d’accordo. E poi che altro? Una stanza per le torture? Una per le bare?
Edward restò accanto a Bella, mano nella mano. Il suo volto era di nuovo il ritratto della morte. Pareva aver smarrito ogni energia, era svanito persino il barlume di speranza che l’aveva rianimato poco prima. Si guardavano negli occhi, senza essere sdolcinati: come impegnati in una conversazione. Mi ricordarono Sam ed Emily.
No, non erano affatto sdolcinati. Il che rendeva la scena ancora più intollerabile.
Fu allora che intuii cosa doveva provare Leah, costretta a vedere di continuo una scena come quella, a sentirla nella testa di Sam.
Certo, ci dispiaceva per lei. Non eravamo mostri, non in quel senso, almeno. Ciò che biasimavamo era il suo modo di gestire la situazione. Se la prendeva con chiunque, come se volesse farci sentire infelici quanto lei.
Non l’avrei più criticata. Com’era possibile tenersi dentro un supplizio come quello? Com’era possibile non provare ad alleggerire quel fardello affibbiandone una parte a qualcun altro?
Come potevo avercela con lei per essersi unita al mio branco, anche se mi aveva tolto la libertà? Io avrei fatto lo stesso. Se ci fosse stata una strada per sfuggire a quel dolore, l’avrei imboccata senza indugi.
Rosalie schizzò di sotto dopo un secondo. Attraversò la stanza al volo come una brusca folata di vento, sollevando l’odore urticante. Quando fu in cucina sentii cigolare l’anta di una credenza.
«Non trasparente, Rosalie», mormorò Edward, alzando gli occhi al cielo.
Bella lo guardò curiosa, ma lui si limitò a scuotere la testa.
Rosalie si dileguò un’altra volta, dopo aver attraversato la stanza in un lampo.
«È stata una tua idea?», sussurrò Bella, con la voce ancora più arrochita per lo sforzo di farsi sentire da me. Dimenticava che il mio udito era più che perfetto. Per fortuna ogni tanto pareva scordarsi che non ero del tutto umano. Mi avvicinai in modo che non dovesse sforzarsi troppo.
«Non è con me che devi prendertela. È stato il tuo vampiro a rubarmi certi commenti maligni dalla testa».
Sorrise appena. «Non mi aspettavo di rivederti».
«Già, neanch’io», ammisi.
Mi sembrava strano starmene lì in piedi, ma i vampiri avevano messo via il mobilio per piazzare le attrezzature mediche. Immaginai che il dettaglio non li toccasse: quando si è fatti di roccia, che importanza ha sedersi o stare in piedi? Se non fossi stato tanto esausto la cosa non avrebbe toccato neppure me, del resto.
«Edward mi ha detto cosa hai dovuto fare. Mi dispiace».
«È tutto a posto. Probabilmente era solo questione di tempo. Prima o poi mi sarei ribellato a Sam», mentii.
«Anche Seth», biascicò.
«A dire il vero, lui è molto felice di aiutarci».
«Detesto essere la causa dei tuoi guai».
Risi ma, più che una risata, mi uscì un latrato.
Respirò a fatica. «Immagino che non sia una novità, vero?».
«No, in effetti non lo è».
«Non sei costretto a guardare», disse, quasi mimando le parole.
Avrei potuto andarmene. Forse sarebbe stata una buona idea. Ma se l’avessi fatto, a giudicare da come stava, avrei rischiato di perdermi il suo ultimo quarto d’ora.
«Francamente non saprei nemmeno dove andare», le dissi, cercando di mantenere un tono neutro. «Da quando Leah si è unita a noi, la faccenda dei lupi è molto meno allettante».
«Leah?», rantolò.
«Non gliel’hai detto?», chiesi a Edward.
Fece spallucce senza distogliere gli occhi da lei. Evidentemente per lui non era una grande notizia, niente che meritasse di mescolarsi agli eventi molto più importanti che stavano precipitando.
Bella non la prese alla leggera. Sembrava una cattiva notizia per lei.
«Perché?», ansimò.
Mi risparmiai la versione romanzata. «Per tenere d’occhio Seth».
«Ma Leah ci odia», mormorò.
Ci. Fantastico. Notai la sua paura.
«Leah non darà fastidio a nessuno». Escluso me. «Appartiene al mio branco», feci una smorfia nel pronunciare quelle parole, «perciò fa quello che le dico di fare». Puah!
Bella non pareva convinta.
«Hai paura di Leah ma sei diventata l’amichetta del cuore della bionda psicopatica?».
Dal secondo piano giunse un sibilo. Fico: mi aveva sentito.
Bella corrugò la fronte. «No. Rose mi capisce».
«Già», grugnii. «Capisce che stai per morire e non gliene importa un bel niente. Per lei conta solo che il mutante si salvi la pelle».
«Smettila di fare lo scemo, Jacob», sussurrò.
Era troppo debole perché mi arrabbiassi con lei. Quindi cercai semplicemente di sorridere. «Lo dici come se fosse possibile».
Per un secondo, Bella cercò di non rispondere con un sorriso, ma non riuscì a trattenersi e le sue labbra ceree si sollevarono agli angoli.
Poi arrivarono Carlisle e la psicopatica. Carlisle aveva in mano un bicchiere di plastica di quelli con il coperchio e la cannuccia pieghevole. Oh... non trasparente. Ora capivo. Edward non voleva costringere Bella a pensare più di quanto non fosse necessario. Così non si vedeva il contenuto del bicchiere. Ma il suo odore era inconfondibile.
Carlisle le porse il bicchiere con una certa titubanza. Bella lo scrutò e sul suo volto tornò un’ombra di terrore.
«Possiamo provare con un altro metodo», disse Carlisle conciliante.
«No», sussurrò Bella. «No, prima proverò così. Non c’è tempo...».
Per un attimo pensai che finalmente avesse avuto un’illuminazione e cominciasse a preoccuparsi per sé, ma poi la sua mano tornò lieve sulla pancia.
Prese il bicchiere offerto da Carlisle. Le mani le tremavano leggermente e sentivo il liquido che si agitava. Cercò di appoggiarsi su un gomito, ma riusciva a malapena a sollevare la testa. Una vampata di calore mi attraversò la schiena quando vidi come si era indebolita in meno di un giorno.
Con una mano Rosalie le cinse le spalle e con l’altra le resse la testa, come se avesse a che fare con un neonato. La bionda ci sapeva fare con i bambini.
«Grazie», sussurrò Bella. Fece vagare lo sguardo su di noi. Era ancora abbastanza cosciente. Di certo sarebbe arrossita, non fosse stata così prosciugata.
«Non fare caso a loro», la incoraggiò Rosalie.
Mi sentivo a disagio. Me ne sarei dovuto andare dopo che Bella aveva accettato di bere. Non era il mio posto, non ero uno di loro. Meditai di uscire, ma poi mi resi conto che quella mossa le avrebbe solo reso tutto più difficile e per lei sarebbe stata ancora più dura andare fino in fondo. Avrebbe pensato che fossi troppo nauseato per restare. Il che, più o meno, era vero.
Tuttavia, anche se non ero disposto ad accollarmi la paternità dell’idea, non volevo nemmeno recitare il ruolo del menagramo.
Bella sollevò il bicchiere. Se lo avvicinò e annusò dall’estremità della cannuccia. Trasalì con una smorfia.
«Bella, tesoro, possiamo trovare un modo più semplice», disse Edward, tendendo la mano per liberarla dal bicchiere.
«Tappati il naso», suggerì Rosalie. Guardò la mano di Edward come se volesse staccargliela a morsi. Magari lo avesse fatto! Scommetto che lui avrebbe reagito e sarebbe stata una goduria vedere Rosalie privata di un arto.
«No, non è questo. È solo che...», Bella fece un respiro profondo. «Ha un buon odore», ammise con voce fioca.
Deglutii, cercando di nascondere il ribrezzo.
«Ottimo, allora», disse Rosalie a Bella, con fervore. «Vuol dire che siamo sulla strada giusta. Forza, assaggia». Considerata la nuova espressione della bionda, mi stupii che non si lanciasse in una danza di festeggiamento.
Bella si portò la cannuccia alle labbra, strizzò gli occhi e arricciò il naso. Le tremò la mano e io sentii che il sangue si agitava nel bicchiere. Lo sorseggiò e mugolò, con gli occhi ancora chiusi.
Edward e io ci avvicinammo a lei contemporaneamente. Lui le sfiorò il volto. Io serrai i pugni dietro la schiena.
«Bella, amore...».
«Va tutto bene», sussurrò. Aprì gli occhi e li puntò su di lui. La sua espressione sembrava chiedere scusa. Era implorante. Terrorizzata. «Ha anche un buon sapore».
L’acidità mi riempì lo stomaco, era sul punto di travolgermi. Serrai forte i denti.
«Bene, benissimo», trillò la bionda. «Ottimo segno».
Edward le premette la mano sulla guancia e avvolse le dita alla sagoma delle sue ossa fragili.
Bella sospirò e accostò di nuovo le labbra alla cannuccia. Quella sì che era una vera sorsata. Bevve quasi con vigore, come se chissà quale istinto avesse avuto il sopravvento.
«Come va lo stomaco? Hai la nausea?», chiese Carlisle.
Bella scosse il capo. «No, affatto», sussurrò. «C’è sempre una prima volta, eh?».
Rosalie era raggiante. «Magnifico».
«Credo sia ancora presto per dirlo, Rosalie», mormorò Carlisle.
Bella trangugiò un’altra sorsata. Poi lanciò un’occhiata a Edward. «Questo intacca il mio punteggio?», sussurrò. «Oppure iniziamo a contare dopo che sarò diventata una vampira?».
«Non c’è nessun punteggio, Bella. E comunque nessuno è morto per questo». Fece un sorriso inerte. «La tua fedina penale è ancora immacolata».
Mi ero perso.
«Te lo spiego dopo», disse Edward così piano che le parole sembravano appena un soffio.
«Cosa?», sussurrò Bella.
«Parlavo fra me», mentì mellifluo.
Se Bella fosse riuscita a sopravvivere e a guadagnarsi dei sensi acuti come quelli dei vampiri, Edward non se la sarebbe cavata così a buon mercato. Avrebbe dovuto lavorare un po’ sulla faccenda dell’onestà.
Lui contrasse le labbra per trattenere un sorriso.
Bella ingurgitò altre sorsate, guardando verso la finestra. Forse fingeva che non ci fossimo. O forse fingeva soltanto che non ci fossi io. Nessun altro, del resto, poteva provare orrore per ciò che stava facendo. Il contrario, semmai. Forse era un bello sforzo trattenersi dallo strapparle il bicchiere di mano.
Edward alzò gli occhi al cielo.
Oddio, come si poteva tollerare di vivergli accanto? Era un vero peccato che non potesse ascoltare anche i pensieri di Bella. In quel caso, lui ne avrebbe avuto presto le scatole piene e lei se ne sarebbe stufata.
Edward ridacchiò. Bella gli lanciò subito un’occhiata e abbozzò un sorriso quando scorse una traccia di ilarità sul suo volto. Forse da un bel pezzo non ne scorgeva alcuna.
«Qualcosa di divertente?», soffiò.
«Jacob», rispose.
Mi rivolse un altro sorriso sfinito. «Jacob è una sagoma», concordò.
Fantastico, ero diventato il buffone di corte. «Pa-parapà», brontolai, facendo la debole imitazione di una fanfara.
Sorrise di nuovo e mandò giù un’altra sorsata. Quando vidi che la cannuccia tirava solo aria e sentii forte il rumore di un risucchio, trasalii.
«Fatto», disse compiaciuta. La sua voce era più chiara: ancora roca, certo, ma per la prima volta non era un sussurro. «Se lo trattengo, Carlisle, mi togli tutti gli aghi?».
«Al più presto», promise. «Del resto, là dove sono non servono a molto».
Rosalie accarezzò la fronte di Bella e le due si scambiarono un’occhiata speranzosa.
Tutti notarono che il bicchiere di sangue umano aveva provocato un cambiamento repentino. Bella aveva ripreso colore: sulle guance ceree era spuntata una sfumatura rosa. Sembrava già non avere più bisogno del sostegno di Rosalie. Respirava meglio e avrei giurato che il battito del suo cuore fosse più forte, più regolare.
Tutto accelerò.
Il barlume di speranza negli occhi di Edward si trasformò in qualcosa di reale.
«Ne vuoi ancora?», la sollecitò Rosalie.
Le spalle di Bella si afflosciarono.
Edward fulminò Rosalie con lo sguardo, prima di rivolgersi a Bella. «Non devi berne subito dell’altro».
«Sì, lo so. Ma ne ho voglia», ammise cupa. Rosalie passò le dita sottili e affusolate fra i capelli sfibrati di Bella. «Non devi sentirti a disagio, Bella. Il tuo corpo ne ha una voglia matta. Lo capiamo tutti». All’inizio aveva usato un tono vellutato, ma poi aggiunse aspra: «Chi non lo capisce non dovrebbe stare qui».
La frecciatina, ovviamente, era diretta a me. Ma non l’avrei data vinta alla bionda tanto facilmente. Ero contento che Bella si sentisse meglio. Che importava che i modi mi nauseassero? E poi, non avevo detto nulla.
Carlisle prese il bicchiere dalle mani di Bella. «Torno subito».
Bella mi fissò, mentre lui spariva.
«Jake, hai un pessimo aspetto», gracidò.
«Senti chi parla».
«Sul serio... quando è stata l’ultima volta che hai dormito?».
Ci pensai su un attimo. «Uhm. Non lo so di preciso».
«Oh, Jake. Adesso t’incasino anche la salute. Non comportarti da stupido».
Digrignai i denti. Lei poteva farsi ammazzare da un mostro e io non potevo rinunciare a qualche notte di sonno per vederla morire?
«Riposati un po’, per favore», proseguì. «Di sopra ci sono le stanze da letto... puoi scegliere quella che vuoi».
L’espressione di Rosalie diceva in modo lampante che c’era un letto che non potevo scegliere. Il che mi portò a chiedermi cosa se ne facesse di un letto la Bella Insonne nel Bosco. Era così gelosa dei suoi oggetti di scena?
«Grazie, Bells. Ma preferisco dormire per terra. Lontano dalla puzza, sai».
Fece una smorfia. «Giusto».
Carlisle tornò e Bella allungò la mano per afferrare il sangue, distratta, come pensasse ad altro. Con la stessa espressione assente iniziò a succhiare.
Il suo aspetto era migliorato davvero. Si tese in avanti, facendo attenzione ai tubi, e si mise seduta. Rosalie accorse, le mani pronte ad afferrarla se avesse ceduto. Ma non fu necessario. Respirando profondamente fra una sorsata e l’altra, Bella trangugiò anche il secondo bicchiere.
«Come ti senti?», le chiese Carlisle.
«Non ho la nausea. Anzi, ho un po’ fame. Però, non sono sicura se sia fame o sete, sai?».
«Carlisle, guardala», borbottò Rosalie in tono tronfio. «È ovvio che è quello che vuole il suo corpo. Dovrebbe berne dell’altro».
«È ancora umana, Rosalie. Ha bisogno anche di cibo. Diamole un po’ di tempo per vedere che effetto le fa e intanto possiamo provare a farle mangiare qualcosa. C’è niente che desideri, Bella?».
«Uova», rispose all’istante e scambiò uno sguardo e un sorriso con Edward. Il sorriso di lui era nervoso, ma il volto più vivace di prima.
Battei le palpebre e per poco non mi dimenticai di riaprire gli occhi.
«Jacob», mormorò Edward. «Dovresti dormire. Come ha detto Bella, puoi sistemarti dove preferisci qui in casa, anche se probabilmente saresti più a tuo agio fuori. Non preoccuparti di nulla. Ti prometto che, se sarà necessario, verrò a cercarti».
«Certo, certo», borbottai. Ora che Bella sembrava resistere qualche ora, potevo svignarmela. Mi sarei rannicchiato sotto un albero, abbastanza lontano perché l’odore non mi arrivasse. Il succhiasangue mi avrebbe svegliato se qualcosa fosse andato storto. Me lo doveva.
«Sicuro», concordò Edward.
Annuii e poi misi la mano su quella di Bella. Era gelida.
«Sembra che vada meglio».
«Grazie, Jacob». Mi strinse la mano. La fede nuziale ballava sull’anulare scheletrico.
«Procuratele una coperta», brontolai mentre mi dirigevo verso la porta.
Prima che uscissi, due ululati squarciarono la quiete del mattino. Non era possibile fraintendere l’urgenza. Niente malintesi stavolta.
«Dannazione», ringhiai e mi scaraventai fuori dalla porta. Mi precipitai via dalla veranda mentre lasciavo che il fuoco mi trasformasse a mezz’aria. I pantaloncini esplosero. Merda. Erano i miei ultimi vestiti. Ora però non aveva importanza. Mi rizzai sulle zampe, diretto a ovest.
Cosa c’è?, urlai mentalmente.
Arrivano, rispose Seth. Sono almeno in tre.
Si sono divisi?
Sto tornando da Seth alla velocità della luce, mi rassicurò Leah. Sentivo l’aria soffiare dai suoi polmoni mentre correva ultraveloce. La foresta le vorticava attorno. Per ora non sembra un attacco.
Seth, non sfidarli. Aspettami.
Rallentano. Uffa, che palle non poterli sentire. Credo...
Cosa?
Credo che si siano fermati.
Aspettano il resto del branco?
Sssh. Hai sentito?
Assorbii le sue impressioni. Il debole, muto fremito nell’aria.
Qualcuno si sta trasformando?
Pare di sì, confermò Seth.
Leah lo raggiunse. Affondò gli artigli nel terriccio, tesa e pronta a scattare come una macchina da corsa.
Ti guardo le spalle, fratello.
Arrivano, disse Seth, nervoso. Rallentano. Ora camminano.
Sono quasi lì, dissi. Tentavo di volare come Leah. Stavo malissimo al pensiero di non essere con i miei compagni, più vicini di me al potenziale pericolo. Era sbagliato. Avrei dovuto essere con loro, frappormi fra loro e ciò che incombeva, qualsiasi cosa fosse.
Senti senti com’è paterno, pensò Leah sarcastica.
Non distrarti, Leah.
Quattro, decise Seth. Il moccioso aveva un ottimo udito. Tre lupi, un uomo.
Mi portai immediatamente nella piccola radura. Seth sospirò di sollievo e occupò istantaneamente il posto alla mia destra. Leah si mise alla mia sinistra, con minor entusiasmo.
Quindi adesso Seth ha un grado più elevato del mio, borbottò fra sé.
Chi prima arriva, meglio alloggia, pensò Seth, molto compiaciuto. E poi non sei mai stata terza prima d’ora, perciò è comunque un avanzamento.
Sssh!, mi lamentai. Non mi frega niente di dove state. Fate silenzio e tenetevi pronti.
Apparvero pochi istanti dopo. Camminavano, proprio come aveva pensato Seth. In testa c’era Jared in forma umana, con le mani in alto. Dietro di lui, Paul, Quil e Collin a quattro zampe. Le loro posture non tradivano intenzioni aggressive. Indugiavano alle spalle di Jared, con le orecchie tese, all’erta ma tranquilli.
Però... era strano che Sam avesse mandato Collin e non Embry. Non era ciò che avrei fatto io se avessi spedito una delegazione in territorio nemico. Anziché il moccioso avrei mandato un combattente esperto.
Che sia un modo per sviarci?, pensò Leah.
Sam, Embry e Brady avrebbero agito da soli? Mi sembrava improbabile.
Vuoi che controlli? Posso andare e tornare in due minuti.
Devo avvisare i Cullen?, domandò Seth.
E se fosse un trucco per dividerci?, chiesi. I Cullen sanno che sta succedendo qualcosa. Sono pronti.
Sam non sarebbe tanto stupido, sussurrò Leah, terrorizzata. Immaginava Sam che attaccava i Cullen insieme agli altri due lupi mancanti.
No, certo che no, la rassicurai, benché l’immagine che aveva in testa facesse soffrire anche me.
Nel frattempo, Jared e i tre lupi ci fissavano, in attesa. Era inquietante non sentire cosa si dicevano Quil, Paul e Collin. Le loro espressioni erano vuote e illeggibili.
Jared si schiarì la gola e annuì. «Tregua, Jake. Siamo venuti qui per parlare».
Dici che è vero?, mi chiese Seth.
Sarebbe logico, ma...
Già, concordò Leah. Ma...
Non ci rilassammo.
Jared s’accigliò. «Parlare sarebbe più facile, se potessi sentirvi anch’io».
Lo scrutai. Non avevo intenzione di ritrasformarmi finché non fossi stato più a mio agio. Finché non avessi colto il senso della situazione.
Perché Collin? Era quella la parte che mi dava maggiori preoccupazioni.
«Okay. Mi sa che mi limiterò a parlare, allora», disse Jared. «Jake, vogliamo che torniate con noi».
Quil si lasciò sfuggire un guaito, come a confermare la sua affermazione.
«Avete fatto a pezzi la nostra famiglia. Non doveva andare così».
Non ero del tutto in disaccordo, ma non era quello il punto. Al momento, io e Sam avevamo opinioni troppo distanti e inconciliabili.
«Sappiamo che ti senti coinvolto nella faccenda dei Cullen. Sappiamo che è un problema. Ma la tua reazione è stata esagerata».
Seth ringhiò. Esagerata? E non è altrettanto esagerato attaccare i nostri alleati senza nemmeno avvertirli?
Seth, hai mai sentito parlare di faccia da poker? Piantala.
Scusa.
Gli occhi di Jared guizzarono su Seth e tornarono su di me. «Sam è intenzionato ad andarci piano, Jacob. Si è calmato, ha parlato con gli altri anziani. Hanno deciso che un’azione immediata non è nell’interesse di nessuno, ora come ora».
Traduzione: non possono più contare sull’effetto sorpresa, pensò Leah.
Era curioso come i nostri pensieri collettivi fossero nitidi. Il branco era già il branco di Sam: da una parte "loro", dall’altra noi. Ne eravamo fuori, divisi. In particolare era strano che fosse Leah a pensare a quel modo, che si considerasse parte del "noi".
«Billy e Sue sono d’accordo con te, Jacob. Secondo loro possiamo aspettare che Bella si... separi dal problema. Nessuno di noi è così tranquillo all’idea di ucciderla».
Pure se avevo appena rotto le scatole a Seth per averlo fatto, non potei trattenermi dal ringhiare a mia volta. Quindi non si sentivano esattamente tranquilli all’idea di commettere un omicidio, eh?
Jared sollevò di nuovo le mani. «Calma, Jake. Sai cosa intendo. Il punto è questo: aspetteremo e valuteremo la situazione al momento giusto. Decideremo più in là, se la... cosa sia un problema».
Ah, pensò Leah, ma per piacere!
Non te la bevi?
So cosa pensano, Jake. So cosa pensa Sam. Pensano che Bella morirà comunque. E immaginano che allora sarai così furioso...
Da guidare io stesso l’attacco. Appiattii le orecchie contro il cranio. Il sospetto di Leah mi parve sensato. E verosimile. Quando e se quella cosa avesse ucciso Bella, sarebbe stato semplicissimo dimenticare gli scrupoli che mi creavo nei confronti della famiglia di Carlisle. A quel punto li avrei considerati ancora una volta dei nemici, nient’altro che parassiti succhiasangue.
Ti rinfrescherò io la memoria, mormorò Seth.
Lo so, moccioso. La questione è se io starò a sentirti.
«Jake?», chiese Jared.
Sospirai.
Leah, fai un giro, così per sicurezza. Mi faccio una chiacchierata con lui e voglio essere certo che non succeda nient’altro mentre sono in forma umana.
Piantala, Jacob. Puoi trasformarti davanti a me. Pi ho già visto nudo e non mi fa alcun effetto, perciò non preoccuparti.
Non m’interessa se copri o no i tuoi occhietti innocenti, voglio che tu ci copra le spalle. Sparisci.
Leah sbuffò e si lanciò nella foresta. Sentivo i suoi artigli affondare nel suolo, mentre procedeva rapida.
La nudità era un inconveniente inevitabile della vita di branco. Nessuno di noi se n’era mai preoccupato prima dell’arrivo di Leah. Poi era diventato imbarazzante. Come noi, Leah riusciva a controllare il proprio umore fino a un certo punto. E come noi, quando s’incazzava esplodeva facendo a brandelli i vestiti. Avevamo dato tutti una sbirciatina. Non che non ne fosse valsa la pena; non ne valeva più la pena da quando ci aveva beccato a pensarci.
Jared e gli altri fissavano con aria diffidente il punto fra i cespugli dov’era scomparsa.
«Dove va?», chiese Jared.
Lo ignorai, chiusi gli occhi e tornai padrone di me stesso. Mi sembrava che tutt’intorno l’aria tremasse, scuotendomi a piccole ondate. Mi sedetti sulle zampe posteriori e scelsi il momento alla perfezione, così da ritrovarmi, riprese le sembianze umane, in posizione eretta.
«Oh», fece Jared. «Ciao, Jake».
«Ciao, Jared».
«Grazie per esserti convinto a parlarmi».
«Prego».
«Vogliamo che torniate con noi, fratello».
Quil guaì di nuovo.
«Non so se è così semplice, Jared».
«Torna a casa», disse, teso in avanti. Supplicandomi. «Possiamo sistemare tutto. Questo non è il tuo posto. E fa’ che tornino a casa anche Seth e Leah».
Risi. «Già. Come se non li avessi implorati di farlo sin dal primo momento».
Seth, dietro di me, sbuffò.
Jared incassò il colpo, i suoi occhi tornarono circospetti. «E allora?».
Ci pensai su per un minuto, mentre lui aspettava.
«Non lo so. Ma non sono certo che le cose potrebbero tornare come prima, Jared. Non so come funziona. Non penso di poter accendere e spegnere questa cosa dell’alfa come mi pare e piace. Ho l’impressione che sia permanente».
«Sei ancora dei nostri».
Inarcai le sopracciglia. «Jared, non possono esserci due alfa nello stesso branco. Ricordi che ci è mancato un pelo ieri sera? L’istinto è troppo competitivo».
«Perciò ve la farete con i parassiti per il resto delle vostre vite?», domandò. «Non avete una casa. Siete rimasti pure senza vestiti», rilevò. «Avete intenzione di restare lupi per tutto il tempo? Lo sai che a Leah non piace mangiare quando è trasformata».
«Leah può fare quel che le pare quando ha fame. Ha scelto lei di stare qui. Non dico a nessuno cosa fare, io».
Jared sospirò. «Sam è dispiaciuto per com’è andata».
Annuii. «Non sono più arrabbiato».
«Ma?».
«Ma non torno, non ora. Aspettiamo e vediamo gli sviluppi. Terremo d’occhio i Cullen finché lo reputeremo necessario. Perché, checché tu ne pensi, non riguarda solo Bella. Stiamo proteggendo quelli che vanno protetti. E fra loro ci sono anche i Cullen». Una buona parte di loro, perlomeno.
Seth uggiolò piano, come ad assentire.
Jared corrugò la fronte. «Immagino non ci sia altro da aggiungere».
«Non adesso. Vedremo come si evolvono le cose».
A quel punto, Jared si rivolse a Seth, senza più badare a me. «Sue mi ha chiesto di dirti, no, di implorarti di tornare a casa. Ha il cuore spezzato. È rimasta completamente sola. Non so come tu e Leah possiate farle una cosa del genere. Abbandonarla così, mentre è ancora in lutto per vostro padre...».
Seth frignò.
«Lascialo stare, Jared».
«Deve sapere come stanno le cose».
Sbuffai. «Giusto». Non conoscevo nessuno più tosto di Sue. Era più tosta di mio padre, più di me. Tanto tosta da non farsi scrupolo di usare la sensibilità dei figli per riportarli a casa. Ma non era carino manipolare Seth a quel modo. «Da quante ore Sue è al corrente della situazione? E quante ne ha trascorse con Billy, con il vecchio Quil e con Sam? Già, sono certo che sta morendo di solitudine. Ovviamente sei libero di andare se vuoi, Seth. Lo sai».
Seth tirò su con il naso.
Poi, dopo un secondo, drizzò un orecchio verso nord. Leah doveva essere vicina. Dio, se era veloce. Uno, due, e Leah si fermò di botto nella boscaglia a pochi metri di distanza. Trotterellando, prese posto di fronte a Seth. Se ne stava con il naso all’insù, per non guardare verso di me.
Apprezzai.
«Leah?», chiese Jared.
Incrociò il suo sguardo, ritrasse un po’ il muso scoprendo i denti.
Jared non parve sorpreso della sua ostilità. «Leah, lo sai bene che non vuoi stare qui».
Rispose con un ringhio. Le lanciai un’occhiata di ammonimento che non vide nemmeno. Seth guaì e la sfiorò con la spalla.
«Scusa», fece Jared. «Non dovevo darlo per scontato. Ma tu non hai legami con i succhiasangue».
Leah guardò cauta il fratello e poi me.
«Quindi vuoi tenere d’occhio Seth, l’ho capito», disse Jared. Osservò di sfuggita il mio viso, poi tornò a Leah. Forse, come me, si chiedeva il senso della seconda occhiata di Leah. «Ma Jake non lascerà che gli succeda qualcosa, e lui non ha paura». Jared fece una smorfia. «Comunque sia, Leah, per favore. Vogliamo che torni. Sam vuole che torni».
La coda di Leah prese a muoversi a scatti.
«Sam mi ha detto di implorarti. Mi ha detto di inginocchiarmi, se fosse stato necessario. Vuole che torni, Lee-lee, quella è casa tua».
Vidi Leah trasalire quando Jared usò il suo vecchio nomignolo. E poi, alle ultime tre parole, le si rizzò il pelo e iniziò a ringhiare. Non occorreva essere nella sua testa per sentire le imprecazioni che gli stava lanciando. Si potevano quasi riconoscere parola per parola.
Aspettai che avesse finito. «Azzardo e dico che la casa di Leah è dove lei vuole stare».
Lei ruggì ma, dal modo in cui fissava Jared, lo interpretai come una conferma.
«Ascolta, Jared, siamo ancora una famiglia, okay? Supereremo questa faida, ma fino a quel momento è meglio che rimaniate nel vostro territorio. Tanto per evitare malintesi. Nessuno vuole una rissa in famiglia, no? Neanche Sam, giusto?».
«Certo che no», sbottò Jared. «Rimarremo nel nostro territorio. Ma il tuo qual è, Jacob? Quello dei vampiri?».
«No, Jared. Al momento non ho una casa. Ma non preoccuparti, non durerà per sempre». Dovetti fare un respiro. «Non resta molto tempo, okay? Poi probabilmente i Cullen se ne andranno, e Seth e Leah torneranno a casa».
Leah e Seth guairono assieme, voltandosi in sincrono verso di me.
«E tu, Jacob?».
«Tornerò nella foresta, penso. Non posso stare a La Push. La presenza di due alfa creerebbe troppa tensione. E poi, era la mia idea già prima che scoppiasse questo casino».
«E se avessimo bisogno di parlare?», chiese Jared.
«Ululate, ma non superate i confini, okay? Verremo noi. E comunque non occorre che Sam mandi una delegazione così folta. Non vogliamo uno scontro».
Jared, accigliato, annuì. Non gli andava che fossi io a stabilire le condizioni per Sam. «Ci vediamo, Jake. Oppure no».
Sconsolato, accennò un saluto.
«Aspetta, Jared. Embry sta bene?».
Sul viso gli passò un’espressione sorpresa. «Embry? Certo che sta bene. Perché?».
«Mi chiedevo solo come mai Sam abbia mandato Collin».
Osservai la sua reazione, ancora sospettosa. Nei suoi occhi vidi un lampo di consapevolezza, ma non del tipo che mi sarei aspettato.
«Non sono più affari tuoi, Jake».
«Suppongo di no. Ero solo curioso».
Con la coda dell’occhio notai una contrazione, ma feci finta di niente, perché non volevo tradire Quil. Avevo toccato il tasto giusto.
«Comunicherò a Sam le tue... istruzioni. Ciao, Jacob».
Sospirai. «Sì. Ciao, Jared. Ehi, di’ a mio padre che sto bene, okay? Che mi dispiace e che gli voglio bene».
«Riferirò anche questo».
«Grazie».
«Forza, ragazzi», disse Jared. Si voltò e per trasformarsi si allontanò, perché c’era Leah.
Paul e Collin lo seguirono, ma Quil esitava. Guaiva piano e mi avvicinai a lui.
«Sì, anche tu mi manchi, fratello».
Lui fece qualche passo verso di me a capo chino, come fosse imbronciato. Gli diedi un colpetto sulla spalla.
«Andrà tutto bene».
Uggiolò.
«Di’ a Embry che vi vorrei tanto al mio fianco».
Annuì e poi mi premette il naso sulla fronte. Leah sbuffò. Quil alzò gli occhi ma, anziché lei, guardò indietro, dove erano spariti gli altri.
«Sì, vai a casa», gli dissi.
Quil guaì ancora e poi partì dietro agli altri. La pazienza di Jared, ci avrei scommesso, non era infinita.
Non appena se ne fu andato, lasciai che il calore accumulato al centro del mio corpo si diffondesse fino agli arti. Una vampata e mi ritrovai a quattro zampe.
Ancora un po’ e rischiavate di sbaciucchiarvi, ridacchiò Leah sotto i baffi.
La ignorai.
Tutto bene?, chiesi a entrambi. Mi scocciava parlare a nome loro senza sentire esattamente cosa pensavano. Non volevo dare niente per scontato. Non volevo essere come Jared. Ho detto qualcosa che non volevate? Non ho detto qualcosa che avrei dovuto dire?
Sei andato alla grande, Jake!, m’incitò Seth.
Avresti potuto picchiare Jared, pensò Leah. Non avrei obiettato.
Ho l’impressione di sapere perché Embry non ha avuto il permesso di venire, pensò Seth.
Non capivo. In che senso?
Jake, hai visto Quil? È straziato, no? Scommetto che Embry è ancora più sconvolto. E quel che è peggio, Embry non ha Claire. Non c’è alcun rischio che Quil prenda e se ne vada da La Push. Embry invece potrebbe. Perciò Sam non vuole rischiare che abbandoni la nave alla prima occasione. Non vuole che il nostro branco diventi più numeroso del suo.
Sul serio la pensi così? A Embry non dispiacerebbe fare a pezzi qualcuno dei Cullen.
Ma è tuo amico, Jake. Lui e Quil preferirebbero stare al tuo fianco in battaglia, non si metterebbero mai contro di te.
Be’, allora mi fa piacere che Sam lo abbia trattenuto a casa. Questo branco è già abbastanza numeroso. Sospirai. Okay. Allora, per il momento è tutto a posto. Seth, ti scoccia tenere d’occhio la situazione per un po’? Io e Leah abbiamo bisogno di una bella dormita. Sembravano in buona fede, ma chissà? Magari era solo un modo per sviarci.
Non ero sempre così paranoico, però ricordavo con quale serietà Sam si fosse assunto quell’impegno. Il suo unico obiettivo era distruggere il pericolo che credeva imminente. Avrebbe approfittato del fatto che ora poteva mentirci?
Nessun problema! Seth era sempre smanioso di rendersi utile. Vuoi che spieghi la situazione ai Cullen? Probabilmente sono ancora tesi.
Ci penso io. Devo andare a controllare.
Afferrarono le immagini che mi frullavano nel cervello fuso.
Seth guaì per la sorpresa.
Leah cominciò a scuotere la testa da una parte e dall’altra come se cercasse di scacciare la visione. È la cosa più vomitevole che abbia sentito in vita mia. Che schifo. Se avessi qualcosa nello stomaco sarebbe già tornato su.
Sono vampiri, affermò Seth dopo un minuto, come per bilanciare la reazione di Leah. Insomma, è logico. E se serve a Bella, è positivo, no?
Sia io che Leah lo fissammo.
Cosa?
Da piccolo, mamma lo ha fatto cadere tante volte, mi disse Leah.
Ha picchiato la testa, a quanto pare.
Rosicchiava anche le sbarre del lettino.
E succhiava la vernice?
Così sembra, pensò.
Seth sbuffò. Spiritosi. Perché voi due non chiudete il becco e non vi fate un bel sonno?
Quando tornai a casa Cullen non c’era nessuno ad aspettarmi sulla porta. Che fossero ancora in stato di allerta?
Va tutto alla grande, pensai, sfiancato.
D’un tratto, in quello scenario che ormai mi era diventato familiare, notai un piccolo cambiamento. Sul primo gradino della scalinata, all’ingresso, c’era un cumulo di panni dai colori chiari. Mi avvicinai a grandi passi per indagare. Trattenendo il respiro, perché si trattava di stoffa impregnata del fetore dei vampiri, avvicinai il naso al mucchio variopinto.
Erano vestiti! Quando avevo tagliato la corda, Edward doveva aver percepito la mia irritazione. Be’, era... gentile. E strano.
Con fare circospetto, li afferrai fra i denti e — bleah! — me li trascinai fra gli alberi. Metti caso che fosse uno scherzetto della psicopatica bionda e trovassi solo roba da femmine. Chissà quanto si sarebbe divertita nel vedere la mia espressione mentre me ne stavo nudo, davanti a lei, con in mano un prendisole.
Al riparo della boscaglia lasciai cadere il mucchio puzzolente e ripresi le sembianze umane. Scrollai i vestiti e li sbattei sugli alberi, per cacciare via un po’ di quel fetore. Erano abiti maschili: un paio di pantaloni marroni e una camicia bianca elegante. Forse un po’ troppo corti, ma non era il caso di protestare. Dovevano essere di Emmett. Arrotolai le maniche della camicia, ma non potei fare molto con i pantaloni. Pazienza.
Ammetto che mi sentivo molto meglio con dei vestiti addosso, pure se puzzavano e non mi cadevano a pennello. Era dura non poter semplicemente fare un salto a casa per prendere un paio di vecchi pantaloni da ginnastica. Di nuovo senza dimora, di nuovo senza un posto dove tornare. E senza averi, cosa che al momento non mi creava chissà quali problemi, ma presto, con ogni probabilità, sarebbe stata una bella seccatura.
Esausto, salii i gradini della veranda dei Cullen, con indosso quegli stravaganti abiti usati, ma quando fui davanti alla porta esitai. Avevo bussato? Che scemo, sapevano che ero lì. Chissà perché nessuno mi dava un segno, dicendomi «Entra pure» o «Sparisci». Bah. Feci spallucce e varcai la soglia.
Altri cambiamenti. In soli venti minuti la stanza era tornata alla normalità, o quasi. L’enorme schermo piatto era acceso, pure se a volume basso: passava un film sentimentale che nessuno sembrava guardare. Carlisle ed Esme erano alla vetrata che dava sul retro, nuovamente aperta sul fiume. Alice, Jasper ed Emmett non c’erano, ma li sentivo bisbigliare al piano di sopra. Bella era distesa sul divano, come il giorno prima, ma attaccati a lei c’erano solo un tubo e una flebo che penzolava dietro la spalliera. Era avvolta in un paio di piumini, sembrava un burrito. A quanto pareva mi avevano dato retta. Rosalie era seduta per terra a gambe incrociate, vicino alla testa di Bella. Edward stava all’altro capo del divano, con i piedi di lei in grembo. Quando entrai, alzò lo sguardo e sorrise — insomma, mosse appena le labbra — quasi soddisfatto.
Bella non mi aveva sentito. Come lui alzò gli occhi e sorrise. Il suo volto s’illuminò. Da quanto tempo non era così contenta di vedermi?
Cosa le era successo? Maledizione! Si era sposata, felicemente per giunta, e amava il suo vampiro alla follia. Ciliegina sulla torta, era pure incinta.
E allora perché diavolo tutto quell’entusiasmo nel vedermi? Come se valicando quella porta avessi dato un senso alla sua giornata.
Se solo se ne fosse fregata... O meglio, se non mi avesse voluto nei paraggi. Per me sarebbe stato molto più semplice starle lontano.
Edward sembrava d’accordo: ultimamente eravamo fin troppo spesso sulla stessa lunghezza d’onda. Pazzesco. Corrugò la fronte quando lei mi abbagliò con un sorriso.
«Volevano solo parlare», mormorai a fatica, con voce esausta. «Niente attacchi in vista».
«Sì», rispose Edward. «Ho sentito quasi tutto».
A quelle parole, mi rianimai. Ci eravamo allontanati di qualche chilometro. «Come?».
«Ormai ti sento con più chiarezza: è una questione di familiarità e concentrazione. E poi, quando hai sembianze umane mi è più facile carpire i tuoi pensieri. Perciò ho afferrato quasi tutto quello che è successo là fuori».
«Ah». La cosa un po’ mi scocciava, ma senza una buona ragione, perciò ci passai sopra. «Bene. Odio ripetermi».
«Ti direi di andare a dormire un po’», fece Bella, «ma ho l’impressione che fra non più di sei secondi sverrai qui per terra, quindi non ne vale nemmeno la pena».
Era impressionante come fosse cambiata la sua voce, quanto sembrasse più vigorosa. Avvertii un odore di sangue fresco e vidi che stringeva in mano il bicchiere. Quanto sangue occorreva? Esaurite le scorte, sarebbero andati a chiederne un po’ in prestito ai vicini?
Mi diressi verso la porta, contando i secondi. «Un Mississippi... due Mississippi...».
«Attento a non cadere nel fiume, cagnaccio», borbottò Rosalie.
«Sai come si fa ad annegare una bionda, Rosalie?», le chiesi senza fermarmi né voltarmi a guardarla. «Basta incollare uno specchio sul fondo di una piscina».
Udii Edward ridacchiare quando mi chiusi la porta alle spalle. Il suo umore sembrava migliorare in modo parallelo alla salute di Bella.
«Già sentita», urlò Rosalie.
Mi trascinai giù per gli scalini: il mio unico obiettivo era quello di spingermi fra gli alberi, abbastanza lontano per respirare di nuovo aria pura. Avrei mollato i vestiti da qualche parte, non troppo distante da casa, per usarli al momento debito. Meglio che assicurarmeli alla gamba. E poi, così, non avrei dovuto trascinarmi dietro l’odore. Mentre armeggiavo con la chiusura della camicia, pensai che i bottoni non si addicevano allo stile di un licantropo. Arrancando per il prato, ascoltai le voci.
«Dove vai?», chiese Bella.
«Mi sono dimenticato di dirgli una cosa».
«Lascialo dormire. Quello che devi dirgli può aspettare».
Ecco, per favore, lascia dormire Jacob.
«Ci vorrà un attimo».
Mi voltai lentamente. Edward era già fuori dalla porta. Mi si avvicinò con un’espressione che sembrava chiedere scusa.
«Cavolo, e ora che c’è?».
«Mi dispiace», disse e poi esitò, incerto su come plasmare i pensieri in parole.
Cosa ti passa per la testa, leggipensieri?
«Prima, mentre parlavi con i rappresentanti di Sam», mormorò, «facevo la cronaca minuto per minuto a Carlisle, Esme e gli altri. Erano preoccupati...».
«Ascolta, non abbasseremo la guardia. Noi crediamo a Sam, ma voi non siete costretti a fidarvi. Terremo comunque gli occhi aperti».
«No, no, Jacob. Non è quello. Ci fidiamo del tuo giudizio. Esme è in pena per gli stenti che il tuo branco è costretto a subire. Mi ha chiesto di parlartene in privato».
Mi colse in contropiede. «Stenti?».
«In particolare la faccenda dell’essere senza casa. È turbata per le vostre... privazioni».
Sbuffai. Mamma vampira era una chioccia bizzarra. «Siamo coriacei. Dille di non preoccuparsi».
«Vorrebbe rendersi utile. Se ho ben capito, a Leah non piace mangiare quando assume le sembianze di lupo, vero?».
«E?», domandai.
«Be’, abbiamo cibo normale, per umani, insomma. Sai, è per salvare le apparenze e ovviamente anche per Bella. Leah può servirsene a piacimento. E anche voi».
«Riferirò».
«Leah ci odia».
«Quindi?».
«Quindi, cerca di riferirglielo in modo che almeno prenda in considerazione la proposta, se non ti dispiace».
«Farò il possibile».
«E poi c’è la questione dei vestiti».
Guardai quelli che indossavo. «Ah, sì. Grazie». Non era cortese dirgli quanto puzzavano.
Accennò un sorriso. «Be’, su quel fronte, possiamo provvedere a tutti i vostri bisogni. Alice ci permette raramente di indossare due volte la stessa cosa. Abbiamo pile di vestiti nuovi di zecca destinati alla beneficenza e immagino che Leah abbia più o meno la stessa taglia di Esme».
«Non sono sicuro che le andrebbe a genio l’idea di indossare gli abiti smessi di una succhiasangue. Sai, lei non è pragmatica quanto me».
«Confido che tu possa presentarle la proposta sotto la luce migliore. L’offerta comprende qualsiasi oggetto materiale di cui possiate avere bisogno, mezzi di trasporto, qualsiasi cosa. Incluse le docce, se preferite dormire all’aperto. Per favore, considera che potete beneficiare di tutti gli agi di una casa».
Terminò la frase sommessamente, non perché si sforzasse di mantenere un tono pacato, ma con una specie di sincera emozione nella voce.
Lo guardai per un secondo battendo le palpebre per il sonno. «È, ehm, gentile da parte vostra. Di’ a Esme che le siamo grati per, uhm, il pensiero. Ma il fiume interseca il perimetro che controlliamo e tanto ci basta a mantenerci puliti. Grazie».
«Se comunque avessi voglia di riferirglielo...».
«Certo, certo».
«Grazie».
Non feci in tempo a voltarmi che rimasi impietrito allo scoccare di uno strillo flebile e straziante provenire dalla casa. Quando mi girai di nuovo, era già sparito.
Che altro era successo?
Gli andai dietro, trascinandomi come uno zombie. E usando l’unico neurone rimasto sveglio. Non avevo scelta. C’era qualcosa che non andava. Dovevo controllare cosa. A costo di stare peggio.
Sembrava inevitabile.
Entrai per l’ennesima volta. Bella ansimava, rannicchiata sull’escrescenza che aveva al centro del corpo. Rosalie la teneva ferma mentre Edward, Carlisle ed Esme le stavano assiepati attorno. Un movimento guizzante catturò il mio sguardo: Alice, in cima alle scale, guardava giù premendosi le mani sulle tempie. Era strano, era come se qualcosa le sbarrasse la strada.
«Dammi un secondo, Carlisle», rantolò Bella.
«Bella», disse il dottore, ansioso, «ho sentito il rumore di qualcosa che s’incrinava. Devo dare un’occhiata».
«Quasi sicuramente...», ansimò, «una costola. Ahi. Sì. Qui». Indicò un punto sul suo lato sinistro, badando bene a non toccare.
La cosa le stava spezzando le ossa.
«Devo farti una lastra. Potrebbero esserci dei frammenti. Non vogliamo che ti perfori qualcosa».
Bella fece un respiro profondo. «Okay».
Rosalie la sollevò con cautela. Edward sembrava sul punto di litigare, ma Rosalie digrignò i denti e ringhiò: «L’ho già presa».
Quindi se Bella era più forte, lo era anche la cosa. Se moriva di fame uno, moriva di fame anche l’altra. La guarigione funzionava allo stesso modo. Non c’era modo di vincerla.
La bionda portò Bella in cima alle scale in un baleno. Carlisle ed Edward la seguirono. Nessuno si accorse che me ne stavo sulla soglia, esterrefatto.
E così, oltre a una banca del sangue, avevano pure un apparecchio per le radiografie? Mi sa che il dottore si portava il lavoro a casa.
Ero troppo stanco per seguirli, troppo stanco per muovermi. Mi appoggiai alla parete e scivolai sul pavimento. La porta era ancora aperta. Puntai il naso in quella direzione e resi grazie per l’aria pulita che entrava. Reclinai la testa contro lo stipite, in ascolto.
Sentivo il rumore dell’apparecchio per le radiografie al piano di sopra. O forse lo immaginai soltanto. Poi udii dei passi leggerissimi provenire dalle scale. Non mi voltai per vedere quale vampiro fosse.
«Vuoi un cuscino?», domandò Alice.
«No», bofonchiai. Perché volevano essere ospitali a tutti i costi? Mi mettevano a disagio.
«Non sembri comodo», osservò.
«Infatti».
«E allora perché non ti sposti?».
«Sono stanco. Perché non sei di sopra assieme agli altri?», rilanciai.
«Ho mal di testa», rispose.
Mi voltai a guardarla.
Alice era una cosetta minuscola. Delle dimensioni di un mio braccio, più o meno. Così incurvata sembrava ancora più piccola. Aveva il viso contratto.
«I vampiri hanno mal di testa?».
«Quelli normali no».
Sbuffai. Vampiri normali.
«Com’è che non stai più sempre appiccicata a Bella?», le chiesi. Più che una domanda, formulavo un’accusa. Non ci avevo ancora pensato perché avevo ben altro per la testa, ma trovavo strano che Alice non fosse mai con Bella, almeno da quando bazzicavo nei paraggi. Forse, se al suo fianco ci fosse stata Alice, non ci sarebbe stata Rosalie. «Pensavo foste così», intrecciai due dita.
«Come ti ho già detto», si rannicchiò per terra non lontano da me, prendendosi le ginocchia magrissime fra le braccia magrissime, «ho mal di testa».
«È Bella che te lo fa venire?».
«Sì».
Corrugai la fronte. Ero troppo stanco per gli indovinelli. Mi girai di nuovo verso l’aria fresca e chiusi gli occhi.
«Non è Bella, in verità», si corresse. «È... il feto».
Ah, qualcun altro che la pensava come me. Fu piuttosto semplice stanarla. Aveva pronunciato la parola a denti stretti, proprio come Edward.
«Non riesco a vederlo», si lasciò andare, come se stesse parlando fra sé. Per quanto ne sapeva, potevo già essere bello che andato. «Quando si tratta di lui non vedo niente. Proprio come quando si tratta di te».
Con un fremito, serrai i denti. Non mi piaceva essere paragonato alla creatura.
«Ci va di mezzo anche Bella. È talmente presa da lui che la vedo... annebbiata. Come in una TV sintonizzata male, quando ti sforzi di mettere a fuoco le persone che sfarfallano sullo schermo. Guardarla mi distrugge la testa. E per di più riesco a vedere solo con pochi minuti d’anticipo. Il... feto è una parte troppo importante del suo futuro. Quando ha deciso, quando ha capito di volerlo, si è offuscata. Mi sono spaventata a morte».
Tacque per un secondo e poi aggiunse: «Devo ammettere che è un sollievo averti vicino... anche se puzzi di cane. Non vedo niente. È come avere gli occhi chiusi. Tramortisce il mal di testa».
«Lieto di esserle utile, signora», mormorai.
«Mi domando cos’abbia in comune con te, perché siate uguali, in quel senso».
Un’improvvisa vampata di calore m’invase le ossa. Serrai i pugni per tenere a bada il tremito.
«Non ho niente in comune con quel succhiavita», dissi fra i denti.
«Qualcosa sì».
Non risposi. Il calore stava già evaporando. Ero troppo sfinito per mantenere la rabbia.
«Non ti scoccia se resto seduta accanto a te, vero?», chiese.
«Direi di no. Tanto c’è comunque puzza».
«Grazie», disse. «Credo sia il rimedio migliore, visto che non posso prendere l’aspirina».
«Puoi stare zitta? Stavo cercando di dormire».
Non rispose, di colpo calò il silenzio. Crollai nel giro di pochi secondi.
Sognai che morivo di sete. Di fronte a me c’era un bel bicchiere d’acqua fredda, la condensa colava ai lati. Afferravo il bicchiere e buttavo giù una gran sorsata, solo che immediatamente mi accorgevo che non era acqua, ma candeggina. Sputavo spruzzandola dappertutto, e un po’ mi usciva dal naso. Bruciava. Avevo il naso in fiamme.
Il dolore mi svegliò e ricordai dove mi ero appisolato. La puzza era piuttosto intensa, considerato che non ero dentro casa. E poi quel rumore. Qualcuno rideva troppo forte. Una risata familiare, ma che non s’intonava all’odore.
Con un gemito, aprii gli occhi. Vidi il cielo grigio cupo: era giorno, ma non avevo indizi per intuire che ora fosse. Forse il tramonto: era piuttosto buio.
«Finalmente», mormorò Rosalie, non lontana. «Cominciavo ad averne abbastanza della motosega».
Mi girai su un fianco e mi sedetti.
Nel frattempo, capii da dove veniva l’odore. Qualcuno mi aveva messo un cuscino di piume sotto la faccia. Probabilmente era un tentativo di dimostrare gentilezza. A meno che non fosse stata Rosalie.
Quando mi liberai dalle piume puzzolenti, colsi altri profumi. Pancetta e cannella, mescolati all’odore dei vampiri.
Battei le palpebre entrando nella stanza.
Le cose non erano cambiate di molto, a parte che Bella era seduta al centro del divano e la flebo era sparita. La bionda sedeva ai suoi piedi, la testa poggiata alle sue ginocchia. La naturalezza con cui la toccavano mi dava ancora i brividi, benché, considerato come stavano le cose, la mia fosse una reazione da decerebrato. Edward, accanto a lei, le teneva la mano. Anche Alice era per terra, come Rosalie. La sua espressione non era più contratta. Il perché era semplice: aveva trovato un altro antidolorifico.
«Ehi, Jake è tornato fra noi!», squittì Seth.
Era seduto anche lui accanto a Bella, un braccio disinvolto attorno alla sua spalla e, in grembo, un piatto strabordante di cibo.
Ma che cavolo...?
«Era venuto a cercarti», mi disse Edward mentre mi alzavo. «Ed Esme lo ha convinto a fermarsi per la colazione».
Seth afferrò la mia espressione e si affrettò a spiegare. «Sì, Jake. Volevo solo vedere se era tutto a posto, dato che non ti eri ritrasformato. Leah si stava preoccupando. Le ho detto che probabilmente eri crollato dal sonno mentre eri ancora umano, ma sai com’è fatta. Comunque, avevano tutto questo cibo e, cavolo», si rivolse a Edward, «amico, tu sì che sai cucinare».
«Grazie», mormorò Edward.
Inspirai lentamente, cercando di ammorbidire la tensione della mascella. Non riuscivo a togliere gli occhi dal braccio di Seth.
«Bella aveva freddo», disse piano Edward.
D’accordo. Non erano affari miei. Lei non era mia.
Seth sentì il commento di Edward, mi guardò e di colpo decise che per mangiare gli servivano entrambe le mani. Levò il braccio dalla spalla di Bella e si tuffò sul cibo. Mi avvicinai al divano, cercando di orientarmi.
«Leah è di ronda?», chiesi a Seth. Avevo ancora la voce impastata di sonno.
«Sì», rispose masticando. Anche lui indossava vestiti nuovi. Gli stavano meglio che a me. «È tutto sotto controllo. Tranquillo. Se succede qualcosa, ci avverte ululando. Ci siamo dati il cambio verso mezzanotte. Ho corso per dodici ore». Ne era orgoglioso e il suo tono di voce lo confermava.
«Mezzanotte? Aspetta un attimo... che ora è?».
«L’alba, più o meno». Guardò fuori dalla finestra, per verificare.
Maledizione. Avevo dormito per quel che rimaneva del giorno e per tutta la notte... che pollo. «Merda. Scusami, Seth. Sul serio. Avresti dovuto svegliarmi a calci».
«Nah, avevi bisogno di dormire. Da quand’è che non ti prendevi una pausa? Dall’ultima notte in cui sei stato di ronda per Sam? Tipo quaranta ore? Cinquanta? Non sei una macchina, Jake. E poi non ti sei perso proprio niente».
Proprio niente? Lanciai una rapida occhiata a Bella. Aveva ripreso il suo colorito. Pallido, ma ravvivato da una sfumatura rosea. Anche le labbra erano di nuovo accese. E i capelli, più lucidi, avevano un aspetto migliore. Si accorse che la scrutavo nei minimi particolari e mi sorrise.
«Come va la costola?», le chiesi.
«Fasciata per bene. Neanche la sento».
Alzai gli occhi al cielo. Sentii che Edward digrignava i denti e intuii che il vizio di minimizzare qualsiasi cosa lo mandava in bestia quanto me.
«Cosa c’è per colazione?», chiesi sarcastico. «0 negativo oppure AB positivo?».
Mi fece una linguaccia. Era di nuovo lei. «Omelette», rispose, ma i suoi occhi ebbero un guizzo e vidi il bicchiere di sangue incuneato fra la sua gamba e quella di Edward.
«Va’ a fare colazione, Jake», mi disse Seth. «In cucina c’è di tutto. Devi essere affamato».
Esaminai il cibo che aveva in grembo. Mezza omelette al formaggio e un quarto di un gigantesco tortino alla cannella. Il mio stomaco rumoreggiò, ma lo ignorai.
«Cos’ha avuto Leah per colazione?», chiesi critico a Seth.
«Ehi, le ho portato da mangiare prima di soddisfare la mia pancia», si difese. «Ha detto che avrebbe preferito divorare una carcassa putrida, ma scommetto che ha ceduto. Questo tortino alla cannella...». Sembrava avesse perso le parole.
«Allora vado a caccia con lei».
Quando mi voltai per andarmene, Seth sospirò.
«Puoi aspettare un attimo, Jacob?».
Era Carlisle perciò, quando mi girai di nuovo, la mia espressione non era irriverente come lo sarebbe stata se mi avesse bloccato qualcun altro.
«Sì?».
Carlisle si avvicinò mentre Esme si spostava nell’altra camera. Si fermò a pochi passi da me: una distanza di poco superiore rispetto a quella fra due umani impegnati in una conversazione. Apprezzai che mi lasciasse il mio spazio.
«A proposito di caccia», cominciò con tono cupo. «Per la mia famiglia comincia a diventare un problema. Mi rendo conto che al momento la tregua non è in vigore, perciò volevo il tuo parere. Sam ci darà la caccia fuori dal perimetro che hai creato? Non vogliamo correre il rischio di fare del male a un tuo familiare né di perdere qualcuno dei nostri. Se fossi nei miei panni, come procederesti?».
Mi sorprese il modo in cui mi pose la questione. Che ne sapevo di com’era essere nei panni firmati di un succhiasangue? In effetti, però, conoscevo Sam.
«È un rischio», dissi, cercando di ignorare gli altri occhi puntati su di me e di rivolgermi solo a lui. «Sam ha calmato gli animi, ma sono certo che nella sua testa il patto non vale più. Finché sarà convinto che la tribù, o qualsiasi altro essere umano, è in pericolo, non si farà tanti scrupoli, non so se mi spiego. Però, tutto sommato, la sua priorità resta La Push. E in realtà non sono abbastanza numerosi per vigilare come si deve sulla gente e contemporaneamente organizzare battute di caccia troppo pericolose. Credo che non si allontanerà molto».
Carlisle annuì pensieroso.
«Perciò, se posso dire la mia, uscite tutti assieme, non si sa mai. E magari di giorno, perché noi aspetteremmo il calare della notte. Classiche cose da vampiri. Siete veloci: vi basta superare le montagne e cacciare lontano. È improbabile che mandi qualcuno fin laggiù».
«E Bella resterà da sola? Indifesa?».
Grugnii. «E noi che ci facciamo qui?».
Carlisle rise, ma tornò subito serio. «Jacob, non puoi combattere contro i tuoi fratelli».
Mi rabbuiai. «Non dico che non sarà dura, ma se venissero per ucciderla sarei in grado di fermarli».
Carlisle scosse la testa, ansioso. «No, non intendevo dire che non saresti in grado. Ma sarebbe sbagliato. Non posso avere una cosa simile sulla coscienza».
«Non ce l’avresti tu, dottore. Ce l’avrei io. E potrei sopportarlo».
«No, Jacob. Agiremo in modo che non sia necessario». Aggrottò la fronte, meditabondo. «Andremo tre alla volta», decise dopo un secondo. «Probabilmente è la cosa migliore».
«Non lo so, dottore. Separarsi non è esattamente una strategia vincente».
«Useremo le nostre doti per bilanciare l’inferiorità numerica. Se Edward sarà uno dei tre, potrà garantirci la sicurezza nel raggio di qualche chilometro».
Fissammo entrambi Edward. La sua espressione costrinse Carlisle a rimangiarsi quanto detto.
«Sono certo che ci siano anche altri modi, naturalmente», aggiunse Carlisle. Nessun bisogno fisico era tanto impellente da costringere Edward ad allontanarsi da Bella. «Alice, immagino che tu possa vedere quali percorsi dovremmo evitare».
«Facile», annuì Alice, «quelli che scompaiono».
Edward, che si era irrigidito sentendo il primo piano fatto da Carlisle, si rilassò. Bella lanciò un’occhiata dimessa ad Alice, con la piccola ruga che le si formava fra gli occhi quando era ansiosa.
«Bene, allora», dissi. «È tutto sistemato. Io mi rimetto in marcia. Seth, ti aspetto al crepuscolo, quindi schiaccia un pisolino, okay?».
«Certo, Jake. Mi ritrasformo appena finisco. A meno che...», esitò, guardando Bella. «Hai bisogno di me?».
«Ha le coperte», sbottai.
«Sto bene, Seth, grazie», fu la pronta risposta di Bella.
In quel momento Esme tornò nella stanza con un piatto in mano. Si fermò titubante dietro il gomito di Carlisle, puntandomi in faccia gli occhioni dorati. Mi porse il piatto, avvicinandosi cauta.
«Jacob», disse piano. La sua voce non era penetrante come quella degli altri. «So che per te è poco appetitosa l’idea di mangiare qui, per via dell’odore. Ma mi sentirei meglio se portassi con te un po’ di cibo. So che non puoi tornare a casa e la colpa è nostra. Per favore... allevia il mio rimorso, almeno in parte. Prendi qualcosa da mangiare». Mi porse il cibo, il volto tenero e supplichevole. Pure se non dimostrava più dei suoi venti e rotti anni, e sebbene fosse chiarissima di pelle, di colpo qualcosa nella sua espressione mi ricordò mia madre.
Cavolo.
«Certo, certo», farfugliai. «Mi sa... Forse Leah ha ancora fame».
Allungai una mano per afferrare il cibo, tenendola a distanza. Lo avrei mollato sotto a un albero o chissà che altro. Ma non volevo che ci rimanesse male.
Poi mi ricordai di Edward.
Non dirle niente! Falle credere che l’ho mangiato.
Non lo guardai per accertarmi che fosse d’accordo. Era meglio che lo fosse. Il succhiasangue era in debito con me.
«Grazie, Jacob», disse Esme, sorridendomi. Come potevano esserci delle fossette su un volto di pietra, maledizione?
«Ehm, grazie a te», dissi. Mi sentii avvampare in viso, più del solito.
Ecco cosa succedeva a frequentare i vampiri: ci si abituava a loro. Iniziavano a crearti confusione, a far vacillare la tua maniera di vedere il mondo. Cominciavano a comportarsi da amici.
«Torni più tardi, Jake?», mi chiese Bella mentre cercavo di tagliare la corda.
«Uhm, non lo so».
Strinse le labbra, come per trattenere un sorriso. «Dai... Potrei avere freddo».
Inspirai dal naso e poi mi resi conto, troppo tardi, che non era stata una buona idea. Feci una smorfia. «Forse».
«Jacob?», chiamò Esme. Mentre mi avvicinavo all’uscita lei riprese a parlarmi, seguendomi a qualche passo di distanza. «Ho lasciato una cesta di vestiti in veranda. Sono per Leah. Sono appena lavati, ho cercato di toccarli il meno possibile». Aggrottò le sopracciglia. «Ti dispiace portarglieli?».
«Pure», bofonchiai e poi me la squagliai, prima che qualcun altro chiedesse un favore facendo leva sul mio senso di colpa.
Ehi, Jake, pensavo avessi detto che mi volevi al crepuscolo. Com’è che non mi hai fatto svegliare da Leah prima che crollasse?
Perché non avevo bisogno di te. Sono ancora in forma.
Stava già guadagnando la metà superiore del cerchio. Novità?
No. Niente di niente.
Sei andato in ricognizione?
Era giunto al margine di una delle mie perlustrazioni secondarie. Imboccò il nuovo sentiero.
Sì, ho fatto la spola per alcuni raggi. Sai, tanto per controllare. Se i Cullen dovessero andare a caccia...
Buona idea.
Seth tornò indietro, verso il perimetro principale.
Era più facile correre assieme a lui che con Leah. Per quanto lei si sforzasse, e ce la metteva tutta, c’era sempre una certa tensione nei suoi pensieri. Non voleva stare lì. Non voleva condividere quel mio ammorbidimento nei confronti dei vampiri. Non voleva accettare che Seth si sentisse loro amico intimo e che quel legame si rinsaldasse giorno dopo giorno.
Curioso, perché avrei giurato di essere soltanto io il suo problema più grosso. Finché avevamo fatto parte del branco di Sam, ci eravamo dati sui nervi a vicenda. Ora non mostrava nessuna rivalità nei miei confronti, soltanto verso i Cullen e Bella. Chissà perché. Forse mi era semplicemente grata per il fatto che non l’avessi costretta ad andarsene. Forse perché finalmente capivo le ragioni della sua ostilità. A ogni modo, correre con Leah era meno peggio di quanto mi sarei aspettato.
Certo, non si era poi tanto addolcita. I vestiti che le aveva mandato Esme avevano preso la via del fiume. Il cibo lo aveva rifiutato anche dopo che avevo mangiato la mia razione — non perché avesse un odore irresistibile lontano dai vampiri, ma solo per dare un esempio di sacrificio e tolleranza. La piccola alce che aveva catturato a mezzogiorno non aveva soddisfatto del tutto il suo appetito. Anzi, le aveva peggiorato l’umore. Leah detestava la carne cruda.
E se ci spostassimo un po’ più a est?, suggerì Seth. Inoltriamoci più in profondità, per vedere se ci aspettano.
Ci stavo pensando anch’io. Ma è meglio se siamo tutti svegli. Non dobbiamo abbassare la guardia. Dovremmo agire prima dei Cullen, però. Presto.
Giusto.
Mi trovai a riflettere.
Se i Cullen riuscivano a superare incolumi il territorio che circondava la casa, forse era meglio che non si fermassero più. Anzi, avrebbero dovuto prendere il largo subito dopo il nostro primo avvertimento. I mezzi per trasferirsi altrove li avevano eccome. E su a nord c’erano i loro amici, no? Prendi Bella e scappa. Sembrava la risposta più ovvia ai loro problemi.
Probabilmente avrei dovuto suggerirglielo, ma temevo che mi dessero ascolto. Non volevo che Bella sparisse: non avrei mai saputo se fosse sopravvissuta o no.
No, che sciocchezza. Dovevo suggerire a tutti la fuga. Restare non aveva senso e se Bella se ne fosse andata sarebbe stato meglio per me: non meno doloroso, ma più salutare.
Facile a dirsi ora che Bella non era lì accanto a me, al settimo cielo per la mia presenza ma anche aggrappata alla vita con le unghie e con i denti.
L’ho già chiesto a Edward, pensò Seth.
Cosa?
Gli ho già chiesto perché non avessero ancora tagliato la corda. Perché non fossero andati da Tanya o qualcosa del genere. Un posto in cui Sam non potesse raggiungerli.
Dovevo tener presente che avevo appena deciso di dare ai Cullen quello stesso consiglio. Era la cosa migliore. Perciò non potevo prendermela con Seth se mi aveva sgravato di quel peso. No, non potevo.
E cosa ha risposto? Aspettano il momento giusto?
No. Non se ne andranno.
Non potevo considerarla una buona notizia.
Perché no? È da stupidi.
Non proprio, disse Seth, sulla difensiva. Ci vuole del tempo per installare altrove la strumentazione medica di cui Carlisle dispone qui. Ha tutto quello che gli serve per prendersi cura di Bella e le credenziali per procurarsi altro materiale, se serve. È una delle ragioni per cui hanno deciso di andare a caccia. Secondo Carlisle presto avranno bisogno di altro sangue per Bella. Sta dando fondo a tutte le scorte di 0 negativo che le avevano messo da parte. Non vuole esaurire la riserva. Ne comprerà dell’altro. Lo sapevi che i dottori possono comprare il sangue?
Non ero ancora pronto per essere razionale. Mi sembra comunque una stupidaggine. Potrebbero portarsene appresso un bel po’, no? E poi rubare quello di cui hanno bisogno, dovunque vadano. Chi se ne frega di cosa è legale quando si è non-morti?
Edward non vuole correre rischi facendola muovere.
Ma adesso sta meglio.
Decisamente, concordò Seth. Confrontò i miei ricordi di Bella collegata alle sonde con ciò che aveva visto poco prima di uscire di casa. Lei che sorrideva e lo salutava con la mano. Ma non può andarsene in giro, lo sai. Quella cosa le sta facendo passare le pene dell’inferno.
Deglutii per scacciare l’acido che dallo stomaco mi era salito in gola. Sì, lo so.
Le ha rotto un’altra costola, disse triste.
La mia corsa vacillò, ma dopo aver barcollato per un momento ripresi il ritmo.
Carlisle l’ha fasciata di nuovo. Un’altra incrinatura, ha detto. E poi Rosalie ha blaterato qualcosa sul fatto che anche i bambini umani rompono le costole. Stando all’espressione che ha usato Edward, le avrebbe staccato volentieri la testa.
Peccato che non l’abbia fatto.
Seth ormai aveva inserito la modalità "cronaca dettagliata", sapendo che, sebbene non avessi avuto cuore di chiedergliele, erano informazioni di importanza vitale per me. Bella ha avuto la febbre tutto il giorno. Andava e veniva. Niente di che: sudore e brividi. Carlisle non sa bene come gestirla: insomma, potrebbe semplicemente essere malata. Il suo sistema immunitario non può certamente essere al massimo, ora come ora.
Già, sono sicuro che è una coincidenza.
Però è di buonumore. Chiacchierava con Charlie, rideva...
Charlie! Cosa? Che vuol dire che parlava con Charlie?!
A vacillare adesso fu Seth. La mia ira lo sorprese. Credo chiami tutti i giorni per parlare con lei. A volte telefona anche sua madre. Bella sta meglio adesso, perciò lo ha rassicurato, gli ha detto che è sulla via della guarigione...
Sulla via della guarigione? Cosa diavolo hanno in testa? Vogliono dare qualche speranza a Charlie per annientarlo quando lei morirà? Pensavo che lo stessero preparando! Che ci stessero almeno provando! Perché deve illuderlo così?
Non è detto che muoia, disse piano Seth.
Feci un respiro profondo, nel tentativo di calmarmi. Seth, pure se dovesse uscirne viva, non sarà più umana. Lei lo sa e lo sanno anche gli altri. Se non muore, dovrà calarsi nei panni del cadavere e dovrà anche essere convincente. O quello o sparire. Pensavo che stessero cercando di rendere le cose più semplici a Charlie. Perché?
Credo sia un’idea di Bella. Nessuno commenta ma, dalla faccia di Edward, mi sa che è totalmente in sintonia con te.
Ancora una volta sulla stessa lunghezza d’onda del succhiasangue.
Corremmo in silenzio per alcuni minuti. Cominciai a battere una nuova strada, esplorando verso sud.
Non allontanarti troppo.
Perché?
Bella mi ha detto di chiederti di fare un salto.
Serrai i denti.
Anche Alice. Dice che si è stufata di stare chiusa nell’attico come un pipistrello sul campanile. Seth grugnì una risata. Prima ho dato il cambio a Edward. Per fare in modo che la temperatura di Bella rimanesse stabile. Fredda o calda, a seconda. Se non vuoi farlo tu, torno indietro io...
No. Vado io, sbottai.
Okay. Seth non disse altro. Si concentrò sulla foresta.
Continuai a fare rotta verso sud, alla ricerca di qualcosa di nuovo. Quando m’imbattei nelle prime abitazioni, feci dietrofront. Non ero ancora in prossimità della città, ma non volevo che si diffondessero di nuovo le voci sulla nostra presenza. Da un bel pezzo, ci comportavamo da bravi lupi invisibili.
Attraversai il perimetro nella direzione opposta, verso la casa. Sapevo che era una stupidaggine, ma non riuscivo a fermarmi. Dovevo essere una specie di masochista.
Non c’è niente di sbagliato in te, Jake. Ma questa non è una situazione normale.
Per favore, Seth, sta’ zitto.
Muto.
Stavolta non esitai ed entrai come fossi il padrone. Speravo di far incavolare Rosalie, ma fu fatica sprecata. Né lei né Bella erano in vista. Mi guardai attorno in preda all’ansia, nella speranza di non averle notate. Sentivo il cuore premere contro la gabbia toracica in modo strano, sgradevole.
«Sta bene», sussurrò Edward. «O meglio, sempre uguale».
Edward era sul divano. Si teneva il volto fra le mani. Mi aveva parlato senza alzare lo sguardo. Esme gli era accanto con un braccio intorno alle sue spalle.
«Ciao, Jacob», disse. «Sono contenta che tu sia tornato».
«Anch’io», aggiunse Alice precipitandosi dalle scale con una smorfia, come se fossi in ritardo per un appuntamento.
«Ah, ciao», dissi. Era innaturale sforzarmi di essere educato.
«Dov’è Bella?».
«In bagno», mi rispose Alice. «Sai com’è, dieta a base di liquidi. E poi è uno degli effetti collaterali della gravidanza, ho sentito dire».
«Ah».
Mi sentivo goffo, dondolavo sui talloni.
«Meraviglioso», borbottò Rosalie. Mi voltai e la vidi sbucare da un corridoio mezzo nascosto dalla scala. Teneva Bella fra le braccia e mi rivolse un ghigno beffardo. «Mi pareva di aver sentito un cattivo odore».
E com’era già successo prima, il viso di Bella s’illuminò come quello di un bambino la mattina di Natale. Come se le avessi portato il più bel regalo della sua vita.
Non era giusto.
«Jacob», ansimò. «Sei venuto».
«Ciao, Bells».
Esme ed Edward si alzarono. Vidi con quanta delicatezza Rosalie aiutava Bella a stendersi sul divano. Vidi anche Bella impallidire e trattenere il respiro: quasi fosse intenzionata a non emettere alcun suono, malgrado la fatica e il dolore.
Edward le passò la mano sulla fronte, poi sul collo. Finse di scostarle i capelli, ma aveva tutta l’aria di un controllo medico.
«Hai freddo?», mormorò.
«Sto bene».
«Bella, hai sentito cos’ha detto Carlisle», disse Rosalie. «Non devi minimizzare. Non ci aiuta a prenderci cura di voi».
«Okay. Ho un po’ freddo. Edward, mi passeresti quella coperta?».
Alzai gli occhi al cielo. «Sbaglio o è il motivo per cui sono qui?».
«Sei appena arrivato», disse Bella, «dopo aver corso per tutto il giorno, immagino. Perciò riposati un attimo. Probabilmente mi scalderò nel giro di niente».
Mentre ignoravo le sue istruzioni, mi stesi per terra, accanto al divano. A quel punto, però, mi chiedevo come avrei fatto. Sembrava piuttosto fragile e avevo paura di spostarla, anche solo di stringerla. Perciò mi avvicinai con cautela, stendendo il braccio accanto al suo e tenendole la mano. Poi le posai l’altra mano sul viso. Non era facile dire se fosse più fredda del solito.
«Grazie, Jake», disse e la sentii rabbrividire.
«Già», risposi.
Edward era seduto sul bracciolo del divano accanto ai piedi di Bella. Non le toglieva gli occhi di dosso.
Sarebbe stato troppo sperare, considerato il superudito di quasi tutti i presenti, che nessuno si accorgesse del mio brontolio di stomaco.
«Rosalie, perché non vai in cucina a prendere qualcosa per Jacob?», suggerì Alice. Non la vedevo perché era seduta dietro la spalliera del divano.
Rosalie lanciò un’occhiataccia verso il punto dal quale era giunta la voce di Alice, incredula.
«Grazie, Alice, ma non credo di voler mangiare qualcosa in cui ha sputato la bionda. Scommetto che il mio organismo non reagirebbe tanto bene al veleno», risposi io.
«Rosalie non metterebbe mai Esme in imbarazzo, dando prova di una tale mancanza di ospitalità».
«Certo che no», disse la bionda, con una voce melensa di cui diffidai all’istante. Si alzò e si fiondò fuori dalla stanza.
Edward sospirò.
«Se lo avvelena me lo dici, vero?», gli chiesi.
«Sì», mi promise.
E per chissà quale ragione gli credetti.
Dalla cucina giunse un gran fracasso, un rumore strano di metallo che protestava come se qualcuno lo maltrattasse. Edward sospirò di nuovo, ma abbozzò anche un sorriso. Poi, prima che potessi ripensarci, Rosalie fu di ritorno. Con un ghigno compiaciuto, mise una ciotola d’argento sul pavimento, proprio accanto a me.
«Buon appetito, bastardo».
Un tempo doveva essere stata una grossa insalatiera, ma lei l’aveva lavorata in modo che somigliasse a una vera scodella per cani. Restai impressionato dal tanta rapidità e maestria. E dalla cura per i dettagli. Aveva inciso di lato la parola «Fido», in splendida calligrafia.
Visto che il cibo sembrava davvero buono — bistecca nientemeno e una grossa patata al cartoccio per contorno — le dissi: «Grazie, bionda».
Sbuffò.
«Ehi, sai come si chiama una bionda con il cervello?», le chiesi e poi continuai difilato: «Golden retriever».
«Ho già sentito anche questa», disse, ma non rideva più.
«Ci riproverò», promisi e mi avventai sul cibo.
Con un’espressione disgustata, alzò gli occhi al cielo. Poi si sedette in poltrona e iniziò a cambiare i canali della TV troppo alla svelta per essere davvero alla ricerca di qualcosa da guardare.
Il cibo non era male, nonostante il puzzo dei vampiri impregnasse l’aria. Cominciavo ad abituarmici. Non che fosse esattamente nei miei programmi.
Quando ebbi finito, benché valutassi l’ipotesi di leccare la ciotola tanto per dare a Rosalie un pretesto per lamentarsi, sentii le dita fredde di Bella infilarsi fra i miei capelli e scendere in una carezza lungo la nuca.
«È ora di tagliarli?».
«Ti sta crescendo il pelo», disse. «Forse...».
«Fammi indovinare. Qui c’è qualcuno che tagliava i capelli in un salone parigino?».
Ridacchiò. «Probabile».
«No, grazie», dissi anticipandola. «Sono a posto ancora per qualche settimana».
Il che mi portò a chiedermi per quanto tempo ancora sarebbe stata a posto lei. Cercai di trovare un modo cortese per chiederglielo.
«Allora... uhm... qual è la, ehm, data? Cioè, la data prevista per il mostriciattolo».
Mi colpì alla nuca con la forza di una piuma, ma non rispose.
«Dico sul serio», continuai. «Voglio sapere per quanto dovrò restare qui». Per quanto tu resterai qui, aggiunsi mentalmente. Poi mi voltai a guardarla. Era pensierosa e fra le sue sopracciglia era comparsa di nuovo quella ruga causata dall’ansia.
«Non lo so», farfugliò. «Non con precisione. Ovviamente, non segue il corso dei nove mesi e, senza ecografie, Carlisle deve calcolare a occhio, in base a quanto mi allargo. Le donne normali di solito raggiungono i quaranta centimetri», e s’indicò il centro del pancione, «quando il bambino ha completato la crescita. Un centimetro a settimana. Stamattina ero a trenta, e prendo più o meno un paio di centimetri al giorno, a volte anche di più...».
Due settimane al giorno, così volava il tempo. La sua vita procedeva in un "avanti" accelerato. Quanti giorni le restavano, prima dei quaranta centimetri? Quattro? Ci misi un po’ a mandar giù la pillola amara.
«Tutto bene?», domandò.
Annuii, non sapevo come mi sarebbe uscita la voce.
Edward distolse il viso da noi perché aveva ascoltato i miei pensieri, ma ne vedevo il riflesso sulla vetrata. Riecco l’uomo divorato dalle fiamme.
Avere una scadenza rendeva ancora più difficile pensare di andarmene o di convincere lei ad andarsene. Ero contento che Seth avesse sollevato la questione, almeno sapevo che sarebbero rimasti. L’idea che fossero sul punto di fuggire, che mi togliessero uno, due o addirittura tre di quei quattro giorni — i miei quattro giorni — sarebbe stata intollerabile.
Ed era curioso come, malgrado fossimo quasi agli sgoccioli, l’ascendente che aveva su di me fosse ancora più difficile da ignorare. Neanche fosse collegato alla sua pancia in espansione... e con l’ingrossarsi di quella, aumentasse la sua forza gravitazionale.
Per un attimo cercai di guardarla da lontano, per liberarmi dall’attrazione. Il mio bisogno di lei era più forte che mai, non me lo stavo inventando. Perché? Perché stava morendo? Oppure perché sapevo che, anche se fosse sopravvissuta, persino nella migliore delle ipotesi, si sarebbe trasformata in qualcosa che non avrei mai potuto conoscere, che non avrei mai potuto capire?
Mi passò un dito sullo zigomo, proprio dove la mia pelle era umida.
«Andrà tutto bene», cantilenò. Poco importava che quelle parole non significassero niente. Le pronunciò come fa la gente quando canta filastrocche senza senso ai bambini. Fai la ninna, fai la nanna.
«Sì», mormorai.
Si rannicchiò contro il mio braccio e abbandonò la testa sulla mia spalla. «Non pensavo che saresti venuto. Seth diceva di sì, e pure Edward, ma io non ci credevo».
«Perché no?», chiesi, arcigno.
«Qui non sei felice. Ma sei venuto ugualmente».
«Mi volevi».
«Lo so. Ma non eri obbligato. Non è giusto che io ti voglia qui. Avrei capito».
Seguì un attimo di silenzio. Edward si ricompose. Guardava la TV mentre Rosalie continuava a fare zapping. Era al seicentesimo canale. Mi chiesi quanto ci avrebbe messo a ricominciare da capo.
«Grazie per essere venuto», sussurrò Bella.
«Mi dici soltanto una cosa?», le domandai.
«Certo».
Edward sembrava ignorare la conversazione, ma era inutile che cercasse di fregarmi: sapeva benissimo cosa stavo per chiedere.
«Perché mi vuoi qui? Seth potrebbe riscaldarti e forse sarebbe meno in imbarazzo, il mocciosetto. Ma quando da quella porta entro io, sorridi come se io fossi la persona a cui vuoi più bene al mondo».
«Sei una di quelle persone».
«È una grande fregatura, lo sai».
«Sì», sospirò. «Mi dispiace».
«Ma perché? Non hai risposto alla domanda».
Edward finse di nuovo di guardare fuori dalla finestra. Riflessa nel vetro vidi la sua espressione vacua.
«Mi sento completa quando ci sei, Jacob. Come se tutta la mia famiglia fosse riunita. Cioè, credo. Non ho mai avuto una famiglia numerosa prima d’ora. È bello». Sorrise per mezzo secondo. «Ma se tu non ci sei, manca qualcosa».
«Non farò mai parte della tua famiglia, Bella».
Avrei potuto. E me la sarei cavata alla grande. Ma quel futuro tanto remoto era morto molto prima di avere anche una sola possibilità di esistere.
«Hai sempre fatto parte della mia famiglia».
I miei denti stridettero. «Che cazzo di risposta».
«E qual è la risposta giusta?».
«Per esempio: "Jacob, adoro vederti soffrire"».
La sentii trasalire.
«L’avresti preferita?», biascicò.
«Sarebbe più facile. Mi sforzerei di farmene una ragione. Potrei provare ad accettarlo».
Guardai di nuovo il suo viso così vicino al mio. Aveva gli occhi chiusi, le sopracciglia aggrottate. «Abbiamo perso la direzione, Jake. E l’equilibrio. Tu fai parte della mia famiglia: io lo so, e lo sai anche tu». Fece una breve pausa senza aprire gli occhi, come se aspettasse una mia reazione. Io non risposi e lei continuò: «Ma non così. Abbiamo commesso un errore. No, sono stata io. L’ho commesso io l’errore, e abbiamo perso la direzione...».
Le mancò la voce e il cipiglio si affievolì fino a diventare una piccola increspatura all’angolo delle labbra. Aspettavo che gettasse altro succo di limone sulle mie ferite, ma di colpo la sentii russare.
«È sfinita», mormorò Edward. «È stata una giornata lunga. E faticosa. Pensavo che si sarebbe addormentata prima, ma ti aspettava».
Non lo guardai.
«Seth ha detto che ha un’altra costola rotta».
«Sì. Fatica a respirare».
«Grandioso».
«Appena diventa di nuovo calda, dimmelo».
«Sì».
Sul braccio che non era a contatto con il mio aveva già la pelle d’oca. Non feci in tempo ad alzare la testa per cercare una coperta che Edward ne afferrò una che penzolava dal bracciolo del divano e gliela mise addosso.
Di tanto in tanto, la sua capacità di leggere nel pensiero faceva risparmiare tempo. Per esempio, potevo risparmiarmi di fare troppe scene accusandolo di come stavano trattando Charlie. Che casino. Edward ascoltava la mia rabbia, tutta...
«Sì», concordò. «Non è una buona idea».
«Allora perché?». Perché Bella raccontava a suo padre di essere in via di guarigione con l’unico risultato di renderlo ancora più infelice?
«Non sopporta che sia così ansioso».
«Quindi è meglio...».
«No. Non è meglio. Ma non la costringerò a fare niente che non voglia fare, ora come ora. Comportandosi così, si sente meglio. Di tutto il resto mi occuperò dopo».
Non mi quadrava. Bella non avrebbe mai lasciato che qualcun altro si occupasse della sofferenza di Charlie, ignorandola fino a chissà quando. Anche se stava morendo. Non era da lei. Se la conoscevo, doveva avere altri piani.
«È sicura di poter sopravvivere», disse Edward.
«Non da umana», protestai.
«No, non da umana. Comunque spera di rivedere Charlie».
Ah, di bene in meglio.
«Vedere. Charlie». Lo guardai con gli occhi fuori dalle orbite. «Dopo. Vedrà Charlie quando sarà bianchissima e avrà gli occhi rossi? Non sono un succhiasangue, quindi forse mi sfugge qualcosa, ma mi pare che scegliere Charlie come primo pasto sia piuttosto strano».
Edward sospirò. «Sa che non gli si potrà avvicinare per almeno un anno. Pensa di riuscire a temporeggiare. Dirà a Charlie che deve andare in un ospedale speciale all’altro capo del mondo. Si terranno in contatto telefonico...».
«È assurdo».
«Già».
«Charlie non è stupido. Anche se non lo uccide, lui si accorgerà della differenza».
«In un certo senso Bella ci conta».
Continuavo a fissarlo, in attesa che mi spiegasse.
«Ovviamente lei non invecchierebbe, perciò, qualunque giustificazione si beva Charlie, dovremo darci un limite temporale». Abbozzò un sorriso. «Ricordi quando hai cercato di dirle della tua trasformazione? Come l’hai aiutata a indovinare?».
Strinsi la mano libera in un pugno. «Te l’ha raccontato lei?».
«Sì. Mi ha spiegato la sua... idea. Vedi, non può dire a Charlie la verità, lo metterebbe in pericolo. Ma lui è un uomo sveglio, pragmatico. Bella è convinta che si fabbricherà una spiegazione a suo uso e consumo. E presume anche che sarà la spiegazione sbagliata». Edward ridacchiò. «Dopotutto, come vampiri siamo tutt’altro che ortodossi. Farà delle supposizioni sbagliate su di noi, proprio come ha fatto Bella all’inizio, e noi ci adegueremo. Crede che potrà anche andare a trovarlo... di tanto in tanto».
«Assurdo», ripetei.
«Sì», concordò ancora una volta.
Il fatto che Edward le concedesse di fare di testa propria soltanto per non turbarla era un segno di debolezza. Non poteva finire bene.
Tutto sommato, forse non si aspettava che Bella vivesse tanto a lungo da mettere in atto quel piano folle. La teneva buona soltanto perché fosse felice ancora per un po’.
Per altri quattro giorni, magari.
«La prenderò come viene», sussurrò e si girò per non mostrare neanche il riflesso del suo volto. «Per ora non voglio caricarla di altra sofferenza».
«Quattro giorni?», chiesi.
Non sollevò lo sguardo. «Più o meno».
«E poi?».
«In che senso?».
Pensai alle parole di Bella. Pensai a quella cosa avviluppata da una membrana forte come la pelle dei vampiri. Come sarebbe andata? Come l’avrebbero tirato fuori?
«Stando alle poche ricerche che siamo riusciti a fare, pare che le creature usino i denti per uscire dall’utero», mormorò.
Mi concessi un attimo di silenzio per ingoiare la bile.
«Ricerche?», abbozzai.
«È per questo che non vedi in giro Jasper ed Emmett. È ciò di cui si sta occupando anche Carlisle. Tenta di decifrare vecchie storie e antichi miti, per quanto sia possibile con il poco che abbiamo a disposizione, in cerca di qualsiasi informazione possa aiutarci a prevedere il comportamento della creatura».
Storie? Se esistevano dei miti, allora...
«Allora non è la prima volta che succede una cosa del genere?», chiese Edward, anticipando la mia domanda. «Forse. È tutto molto approssimativo. I miti potrebbero essere semplicemente frutto della paura e dell’immaginazione. Anche se», esitò, «i vostri miti sono veri, no? Forse lo sono anche questi. Sembra siano circoscritti, collegati...».
«Come avete scoperto...?».
«Abbiamo incontrato una donna in Sudamerica. Era stata allevata secondo le tradizioni del suo popolo. Aveva sentito qualcosa riguardo a queste creature: avvertimenti, vecchie storie tramandate di generazione in generazione».
«Che genere di avvertimenti?».
«Che le creature devono essere uccise immediatamente. Prima che possano diventare troppo forti».
Proprio come pensava Sam. Che avesse ragione?
«Ovviamente quelle stesse leggende dicono altrettanto di noi. Che dobbiamo essere distrutti. Che siamo assassini senz’anima».
Due su due.
Edward si lasciò sfuggire una risata secca.
«E cosa dicevano quelle storie sulle madri?».
Il tormento gli straziò il volto e, nell’attimo stesso in cui mi ritrassi per sfuggire al suo dolore, capii che non ci sarebbe stata risposta. Forse non aveva più neanche la forza di parlare.
Fu Rosalie, rimasta talmente tranquilla e silenziosa che quasi mi ero dimenticato di lei, a fornirmela. La sua gola emise un suono beffardo. «Niente superstiti, ovviamente», disse. Niente superstiti: brusca e insensibile. «Partorire nel bel mezzo di una palude malsana con uno stregone che ti unge il viso di saliva di bradipo per scacciare gli spiriti maligni non è mai stato il metodo migliore. La metà delle volte non andavano a buon fine neanche i parti normali. Nessuno di loro aveva ciò che ha questo bambino. Qualcuno che lo assiste sapendo di cosa ha bisogno e fa di tutto per soddisfare quel bisogno. Un medico con una conoscenza assoluta della natura dei vampiri. Un piano per far nascere il bambino nel modo più sicuro possibile. E il veleno che, se qualcosa andasse storto, sistemerebbe tutto. Il piccolo starà bene. Anche quelle madri sarebbero sopravvissute se avessero avuto tutto questo. E se fossero esistite, prima di tutto. Cosa di cui non sono convinta». Sbuffò, sprezzante.
Il bambino, il piccolo. Come se non importasse altro. Per lei, la vita di Bella era un dettaglio minimo, robetta che si poteva trascurare.
Il volto di Edward divenne bianco come la neve. Incurvò le mani a mo’ di artigli. Assolutamente egoista e indifferente, Rosalie si rannicchiò in poltrona voltandogli le spalle. Lui si chinò in avanti, acquattato e pronto a scattare.
Lascia fare a me, suggerii.
Si fermò, inarcando un sopracciglio.
In silenzio, sollevai da terra la mia ciotola. Poi, con un rapido movimento del polso, la scagliai contro la nuca della bionda così forte che, con un rumore assordante, si accartocciò prima di rimbalzare per la stanza e far saltare il pomello della colonnina ai piedi della scala.
Bella si contorse, ma non si svegliò.
«Stupida bionda», brontolai.
Rosalie girò piano la testa, i suoi occhi fiammeggiavano.
«Mi. Hai. Gettato. Cibo. Nei. Capelli».
Eh già.
Scattai in piedi. Mi allontanai da Bella per non scuoterla e mi sbellicai tanto da lacrimare. Da dietro il divano arrivò la risata squillante di Alice.
Mi chiesi come mai Rosalie non reagisse. In un certo senso era ciò che mi aspettavo. Ma poi mi resi conto che la mia risata aveva svegliato Bella, che aveva continuato a dormire in mezzo al frastuono vero.
«Che c’è di tanto divertente?», farfugliò.
«Le ho gettato del cibo nei capelli», risposi e ricominciai a sghignazzare.
«Non me ne dimenticherò, cane», sibilò Rosalie.
«Non ci vuole tanto a cancellare la memoria di una bionda», ribattei. «Basta soffiarle in un orecchio».
«Aggiorna il repertorio», sbottò.
«Dai, Jake. Lascia in pace Ro...». Bella interruppe la frase a metà e si sforzò di prendere aria. Nel medesimo istante, Edward si era chinato per togliere di mezzo la coperta. Bella sembrava in preda alle convulsioni, la schiena arcuata.
«È lui. Si sta solo... distendendo», ansimò.
Aveva le labbra bianche e i denti serrati come se tentasse di trattenere un urlo.
Edward le prese il volto fra le mani.
«Carlisle?», chiamò con voce bassa, tesa.
«Sono qui», disse il dottore. Non lo avevo sentito entrare.
«Okay», fece Bella, il respiro ancora agitato. «Credo sia finita. Povero piccolo, non ha abbastanza spazio, tutto qui. Sta diventando così grande».
Quel tono adorante che usava per descrivere la cosa che la stava facendo a pezzi era intollerabile. Specie dopo il cinismo di Rosalie. Mi venne voglia di tirare qualcosa anche a Bella.
Non fece caso al mio umore. «Sai, Jacob, mi ricorda te», disse in tono affettuoso, mentre ancora boccheggiava.
«Non paragonarmi a quella cosa», sputai fra i denti.
«Mi riferivo al tuo sviluppo velocissimo», disse, e l’espressione che le si dipinse sul volto mi fece capire che avevo ferito i suoi sentimenti. Bene. «Sei cresciuto a vista d’occhio. Ti vedevo diventare più alto un minuto dopo l’altro. Anche lui è così. Cresce in fretta».
Per non dire ciò che avrei voluto, mi morsi la lingua tanto forte che sentii in bocca il sapore del sangue. Certo, si sarebbe rimarginata ancora prima che potessi deglutire. Ecco ciò di cui aveva bisogno Bella. Di essere forte come me, di guarire...
Respirò con meno fatica e si rilassò sul divano.
«Mmm», mormorò Carlisle. Alzai lo sguardo, mi puntava gli occhi addosso.
«Cosa?», chiesi.
Edward chinò la testa, riflettendo su ciò che aveva in mente Carlisle.
«Sai che ero curioso di conoscere la composizione genetica del feto, Jacob. Il numero delle coppie di cromosomi».
«Quindi?».
«Be’, tenendo in considerazione le vostre analogie...».
«Analogie?», ringhiai, non avendo apprezzato il plurale.
«La crescita rapida e il fatto che Alice non riesce a vedere nessuno dei due».
Sbiancai. Avevo dimenticato quel tratto in comune.
«Insomma, mi chiedo se non significhi che abbiamo trovato una risposta. Magari le analogie hanno radici genetiche».
«Ventiquattro coppie», biascicò Edward a mezza voce.
«Non puoi saperlo».
«No, ma fare congetture è interessante», disse Carlisle con voce vellutata.
«Sì, proprio affascinante».
Bella riprese a russare piano, degno sottofondo al mio sarcasmo.
Si lanciarono in una discussione sulla genetica di un livello tale che afferravo solo gli articoli, le congiunzioni e ovviamente il mio nome. A loro si unì anche Alice, che aggiunse qualche commento con la sua voce argentina.
Parlavano di me ma non capivo che conclusioni stavano traendo. Avevo altro per la testa, una serie di fatti che cercavo di mettere assieme.
Primo: Bella aveva detto che la creatura era protetta da qualcosa di forte quanto la pelle dei vampiri, che le ecografie e gli aghi non potevano penetrare. Secondo: Rosalie affermava che avevano un piano per far nascere la creatura in maniera sicura. Terzo: secondo Edward, e secondo le leggende, quei neonati uscivano dall’utero aprendosi un varco a forza di morsi.
Rabbrividii.
E mi venne la nausea quando valutai il quarto fatto: non erano molte le cose capaci di penetrare la pelle dura dei vampiri. Secondo il mito, soltanto i denti delle creature miste erano abbastanza forti. Come i miei.
Come quelli dei vampiri.
Non era semplice sfuggire all’ovvio, ma in quel momento non avrei desiderato altro. Perché mi ero fatto un’idea abbastanza precisa del piano di Rosalie per estrarre quella cosa in maniera "sicura".
Mi scrollai dal sonno presto, molto prima dell’alba. Avevo dormito poco e male, sdraiato sul fianco del divano. Edward mi svegliò non appena vide che il volto di Bella si arrossava e prese il mio posto perché la temperatura si abbassasse. Mi stiracchiai e decisi che avevo riposato quanto bastava per rimettermi all’opera.
«Grazie», disse Edward a bassa voce quando ascoltò i miei piani. «Se c’è via libera, partiranno oggi».
«Ti farò sapere».
Ero contento di tornare alla mia natura animale. Mi sentivo indolenzito per essere rimasto seduto e fermo troppo a lungo. Allungai il passo per togliermi il torpore di dosso.
Buongiorno, Jacob, mi salutò Leah.
Bene, sei sveglia. Da quanto dorme Seth?
Ancora non dormo, pensò Seth insonnolito, ma ci manca poco. Che ti serve?
Pensi di farcela per un’altra ora?
Sicuro. Nessun problema. Seth si rialzò in piedi, scrollando il pelo.
Andiamo in perlustrazione, dissi a Leah. Seth, tu tieni d’occhio il perimetro.
Agli ordini. Seth prese a trotterellare.
E via, verso un altro incarico per conto dei vampiri, grugnì Leah.
È un problema?
Ovviamente no. Mi piace tanto coccolare quelle care sanguisughe.
Bene. Vediamo chi è più veloce.
Okay, per questo altroché se sono pronta!
Leah si trovava all’estremità più occidentale del perimetro. Invece di tagliare passando vicino alla casa dei Cullen, restò incollata al cerchio, percorrendo un arco per raggiungermi. Io partii a razzo verso est, conscio che, nonostante il vantaggio, mi avrebbe sorpassato subito se me la fossi presa comoda anche un solo secondo.
Naso a terra, Leah. Non è una gara: è una missione esplorativa.
Posso fare tutte e due le cose e contemporaneamente farti nero.
Glielo concessi. Lo so.
Rise.
Imboccammo un sentiero tortuoso fra le montagne a est. Era una strada familiare. Avevamo battuto quei monti quando i vampiri se n’erano andati, l’anno precedente, includendoli nell’area delle ronde per proteggere meglio la popolazione. Poi, al ritorno dei Cullen, avevamo di nuovo arretrato il confine. Quella era la loro terra, secondo il patto.
Ma probabilmente per Sam tutto ciò non significava più niente. Il patto era lettera morta. Ormai la questione si riduceva a chiarirsi su quanta forza dispiegare. Avrebbe atteso che i Cullen sconfinassero per cacciarli nel loro territorio o no? Jared aveva detto la verità o approfittava del silenzio fra branchi?
Ci addentrammo sempre più fra le montagne, senza trovare traccia del branco. Dappertutto c’erano tracce evanescenti di vampiro, che ormai mi erano note. Ne avevo respirato l’odore per giorni.
Ne individuai una concentrazione densa e piuttosto recente lungo un sentiero in particolare; l’avevano percorso tutti, eccetto Edward. Si erano riuniti per chissà quale ragione, ma dovevano essersene dimenticati quando Edward aveva riportato a casa la moglie incinta e in fin di vita. Digrignai i denti. Di qualunque cosa si trattasse, non aveva niente a che fare con me.
Leah non si sforzò di superarmi, anche se avrebbe potuto. Prestavo più attenzione agli odori che non alla gara di velocità. Restò alla mia destra e correva con me, più che contro di me.
Ci stiamo spingendo un bel po’ in là, commentò.
Sì. A questo punto, se Sam fosse stato a caccia di vampiri isolati avremmo già trovato la sua scia.
Per lui ora ha molto più senso rifugiarsi a La Push, pensò Leah. Sa che stiamo fornendo ai succhiasangue tre paia di occhi e sei di zampe in più. Non può coglierli di sorpresa.
È solo una precauzione, davvero.
Non vogliamo che i nostri cari parassiti corrano rischi inutili.
Nah, commentai ignorando il suo sarcasmo.
Sei cambiato tanto, Jacob. Una vera inversione di rotta.
Anche tu non sei proprio la Leah che conosco e a cui voglio bene da sempre.
È vero. Ora sono meno irritante di Paul, vero?
Non l’avrei mai detto, ma... sì.
Che soddisfazione.
Complimenti.
Proseguimmo la corsa in silenzio. Forse era già ora di tornare indietro, ma nessuno dei due lo voleva. Era bello correre così. Avevamo percorso fin troppo a lungo lo stesso cerchio ristretto. Fu piacevole sgranchirsi i muscoli su terre più selvagge. Non avevamo fretta, perciò pensai che forse avremmo potuto cacciare sulla via del ritorno. Leah aveva fame.
Chissà che buono, pensò acida.
È una questione di testa, le dissi. Noi lupi mangiamo così. È naturale. E ha un buon sapore. Se non lo vedi dal punto di vista di un umano...
Lascia perdere i discorsetti, Jacob. Caccerò. Ma non mi deve piacere per forza.
Certo, certo, commentai. Se proprio ci teneva a complicarsi la vita, non era affar mio.
Per qualche minuto non aprì bocca. Io iniziai a pensare al ritorno.
Grazie, disse Leah all’improvviso, in un tono del tutto diverso da prima.
Per cosa?
Per avermi permesso di esserci. Di rimanere. Sei stato più carino di quanto avessi diritto di aspettarmi, Jacob.
Ehm... figurati. Dico sul serio. Averti qui mi dispiace meno di quanto avrei pensato.
Sbuffò, ma fu un suono scherzoso. Che sviolinata!
Non montarti la testa.
Okay, ma neanche tu. Fece una breve pausa. Penso che tu sia un buon alfa. In maniera diversa da Sam, con un modo tutto tuo. Vale la pena seguirti, Jacob.
La sorpresa mi annebbiò la mente. Mi ci volle un secondo per riprendermi quel tanto da replicare.
Ehm... grazie. Non sono proprio sicuro che riuscirò a non montarmi la testa. Come ti è venuto?
Non rispose subito; seguii la direzione muta delle sue riflessioni. Stava pensando al futuro, alla mia conversazione con Jared il mattino precedente. Al fatto che presto il tempo sarebbe scaduto e io avrei ripreso la via della foresta. Alla mia promessa che lei e Seth sarebbero tornati nel branco una volta che i Cullen se ne fossero andati...
Voglio restare con te, mi disse.
La sorpresa mi gelò le zampe e mi bloccò le giunture. Leah mi sorpassò e frenò. Lentamente, tornò dov’ero io, impietrito.
Non ti romperò le scatole, lo giuro. Non ti seguirò dappertutto. Tu puoi andare dove vuoi, e io dove voglio. Dovrai soltanto sopportarmi quando saremo entrambi lupi. Si muoveva su e giù davanti a me, scuotendo nervosa la lunga coda grigia. E siccome sto pensando di smetterla non appena ci riesco... non credo che accadrà troppo spesso.
Restai senza parole.
Erano secoli che non mi sentivo così felice come ora che faccio parte del tuo branco.
Anch’io voglio restare, pensò Seth piano. Non mi ero accorto che mentre percorreva il perimetro ci stava ascoltando attentamente. Questo branco mi piace.
Ehi, un momento! Seth, questo non rimarrà un branco molto a lungo. Provai a riordinare i pensieri per convincerlo. Ora abbiamo uno scopo, ma quando... quando sarà finita, tornerò a essere un semplice lupo. Seth, tu hai bisogno di uno scopo. Sei un bravo ragazzo. Sei il genere di persona che ha sempre una crociata da combattere. E non esiste che te ne vada da La Push. Ti diplomerai e farai qualcosa per te. Ti prenderai cura di Sue. Non posso permettere che i miei problemi incasinino il tuo futuro.
Ma...
Jacob ha ragione, confermò Leah.
Sei d’accordo con me?
Certo. Però il discorso non ha niente a che vedere con me. Avevo già deciso di andarmene. Mi troverò un lavoro da qualche parte, lontano da La Push. Magari m’iscriverò a qualche corso al college del posto. Farò yoga e meditazione per ammorbidire il mio carattere... e resterò in questo branco, per il mio benessere mentale. Jacob, capisci anche tu che è logico così, vero? Io non darò fastidio a te, tu non ne darai a me... e saremo felici.
Mi voltai e iniziai a correre lentamente, a lunghi passi, verso ovest.
Non è così semplice, Leah. Fammici pensare, okay?
Certo. Prenditi tutto il tempo che ti serve.
Il ritorno fu più lungo dell’andata. Non m’importava della velocità. M’importava concentrarmi per non andare a sbattere contro qualche albero. Seth brontolava in un angolo della mia mente, ma riuscivo a non badargli. Sapeva che avevo ragione. Non poteva abbandonare sua madre. Sarebbe tornato a La Push a proteggere la tribù, com’era suo dovere.
Ma Leah, non ce la vedevo a fare la stessa cosa. E questo mi terrorizzava.
Un branco di noi due soli? Non era la distanza fisica il problema, non riuscivo a immaginare... l’intimità di quella situazione. Chissà se ci aveva pensato davvero, o se tutto dipendeva dal suo desiderio disperato di essere libera.
Leah non disse niente mentre ci rimuginavo su. Come a dimostrarmi quanto sarebbe stato semplice per noi rimanere insieme.
Ci imbattemmo in un branco di cervi dalla coda nera proprio mentre spuntava il sole, che illuminò appena le nuvole dietro di noi. Leah sospirò fra sé, ma non ebbe esitazioni. Il suo affondo fu pulito ed efficace; elegante, anche. Abbatté il più grande, il maschio, prima che l’animale, sorpreso, potesse rendersi conto del pericolo.
Per non essere da meno piombai sul secondo cervo più grande, spezzandogli subito il collo con un morso, per risparmiargli un dolore inutile. Percepivo il disgusto di Leah, che combatteva contro la sua stessa fame, e provai a semplificarle le cose lasciandomi dominare dalla mia natura animale. Avevo vissuto da lupo abbastanza a lungo da sapermi immedesimare in quel comportamento e in quel modo di pensare e vedere. Lasciai che gli istinti più urgenti prendessero il sopravvento e feci in modo che anche lei lo sentisse. Esitò per un secondo, ma poi tentò di avvicinare la sua mente alla mia e di vedere con i miei occhi. Fu molto strano: le nostre menti erano più legate che mai, perché stavamo provando a pensare insieme.
Strano, ma le fu d’aiuto. I suoi denti affondarono oltre il pelo e la pelle della spalla della vittima e strapparono un grosso pezzo di carne sanguinante. Invece di ritrarsi, come i suoi pensieri umani la inducevano a fare, lasciò che il lupo che era in lei reagisse d’istinto. Fu avvolta da una sorta di annebbiamento senza pensieri che le permise di mangiare in pace.
Per me fu semplice fare la stessa cosa. Ed ero contento di non essermene dimenticato. Presto la mia vita sarebbe stata di nuovo quella.
Leah ne avrebbe fatto parte? Una settimana prima l’idea mi sarebbe sembrata orripilante. Davvero insopportabile. Ma adesso la conoscevo meglio. Sollevata dalla sua sofferenza perenne, non era la lupa che conoscevo. Non era la ragazza che conoscevo.
Mangiammo insieme fino a saziarci.
Grazie, mi disse dopo, mentre si puliva il muso e le zampe nella sabbia bagnata. A me non importava: aveva appena iniziato a piovigginare e dovevamo riattraversare il fiume a nuoto per tornare indietro. Più che sufficiente per pulirsi. Non è stato male, pensare come te.
Mi fa piacere.
Quando toccammo il perimetro, Seth stava ciondolando. Gli dissi di riposarsi un po’: io e Leah avremmo pensato al pattugliamento. La mente di Seth scivolò nell’incoscienza pochi secondi dopo.
Stai puntando verso i succhiasangue?, chiese Leah.
Forse.
È difficile per te restare lì, ed è difficile starle lontano. So come ci si sente.
Ascolta, Leah, è meglio se pensi un po’ al tuo futuro, a ciò che vuoi fare davvero. La mia mente non sarà il luogo più felice della Terra. Ti toccherà soffrire con me.
Rifletté un po’ prima di rispondermi. Be’, detto così suona male, ma, in tutta onestà, sarà più semplice affrontare i tuoi dolori che i miei.
Anche questo è vero.
So che non sarà facile per te, Jacob. Lo capisco più di quanto tu non creda. Lei non mi piace, ma... è la tua Sam. È tutto ciò che vuoi, tutto ciò che non puoi avere.
Restai senza parole.
So che per te è peggio. Almeno Sam è felice. Almeno è vivo, sta bene. Lo amo quanto basta per volere che sia così. Voglio che abbia ciò che è meglio per lui. Sospirò. Solo non voglio ronzargli attorno tenendolo d’occhio.
Dobbiamo parlarne per forza?
Secondo me sì. Voglio che tu sappia che non ti renderò la vita difficile. E che cavolo, potrei persino esserti d’aiuto. Non sono sempre stata una brontolona senza pietà. Una volta ero anche abbastanza simpatica, sai.
I miei ricordi non arrivano così lontano.
Ridemmo entrambi, all’unisono.
Mi dispiace, Jacob. Mi dispiace che tu stia soffrendo. Mi dispiace che le cose per te stiano andando peggio e non meglio.
Grazie, Leah.
Pensò alle cose che andavano peggio, alle immagini nere nella mia mente, mentre cercavo di escluderla dai miei pensieri senza troppo successo. Era capace di distaccarsene, di metterli in prospettiva, e mio malgrado era un aiuto. Potevo immaginare che anch’io, forse, sarei stato capace di vedere le cose in quel modo nel giro di qualche anno.
Vedeva il lato divertente dei fastidi quotidiani dovuti al fatto che passavo il tempo con i vampiri. Le piaceva come sbeffeggiavo Rosalie, tanto che rise fra sé e passò in rassegna qualche battuta sulle bionde che potevo riciclare. Ma poi i suoi pensieri si fecero seri e si attardò sul viso di Rosalie tanto da confondermi.
Sai cos’è assurdo?, mi chiese.
Ora come ora, quasi tutto. In che senso?
La vampira bionda che odi così tanto... riesco a mettermi perfettamente nei suoi panni.
Per un secondo pensai che mi stesse facendo uno scherzo di pessimo gusto. Poi, quando mi accorsi che diceva sul serio, una furia difficile da controllare s’impadronì di me. Fortunatamente ci eravamo distanziati per la ricognizione. Se fosse stata a portata di morso...
Calmati! Fammi spiegare!
Non ti voglio ascoltare. Mi hai stufato.
Aspetta! Aspetta!, mi pregò mentre provavo a calmarmi e a ritrasformarmi. Dai, Jake!
Leah, questo non è il modo migliore per convincermi a trascorrere più tempo con te in futuro.
Dai! Esagerato! Non sai nemmeno di cosa stavo parlando.
Allora, dimmi tu di cosa stavi parlando.
E all’improvviso riapparve la vecchia Leah indurita dalla sofferenza. Mi riferivo all’essere un vicolo cieco genetico, Jacob.
Il tono violento delle sue parole mi confuse. Non mi aspettavo che sopraffacesse la mia rabbia.
Non capisco.
Invece capiresti, se non fossi esattamente come tutti gli altri. Se di fronte a certe mie "faccende da femmine", pronunciò queste parole con sarcasmo pesante, non fossi andato a nasconderti come un qualsiasi maschietto stupido, avresti prestato un po’ di attenzione al loro significato.
Oh.
Sì, a nessuno di noi piaceva pensare a certe cose insieme a lei. Chi l’avrebbe fatto? Ovviamente ricordavo il panico di Leah, il primo mese che si era unita al branco, e ricordavo di essermene disinteressato come chiunque altro. Non poteva essere incinta, a meno che non si verificasse qualche assurda cazzata religiosa del genere "immacolato". Non era stata con nessun altro dopo Sam. Ma a un certo punto, mentre le settimane si trascinavano e non succedeva niente di niente, si era resa conto che il suo corpo non seguiva più gli schemi normali. Che orrore: cosa era diventata? Il suo corpo era cambiato perché si era trasformata in licantropo? O si era trasformata in licantropo perché nel suo corpo c’era qualcosa di sbagliato? L’unico licantropo donna nella storia del mondo. Era accaduto perché lei non era abbastanza donna?
Nessuno di noi aveva voluto avere a che fare con quel dramma. Ovviamente era difficile provare empatia per una situazione del genere.
Sai perché, secondo Sam, abbiamo l’imprinting, pensò lei, più tranquilla.
Sì. Per portare avanti la discendenza.
Giusto. Per fare tanti piccoli e nuovi licantropi. Sopravvivenza della specie, dominanza genetica. Sei attratto dalla persona che ti dà le maggiori possibilità di trasmettere il gene dei lupi.
Aspettai per capire dove voleva arrivare.
Se io fossi adatta allo scopo, Sam sarebbe stato attratto da me.
Il suo dolore era tanto forte da indurmi a rallentare.
Invece non lo sono. In me c’è qualcosa di sbagliato. Non ho le doti per poter trasmettere il gene, a quanto pare, nonostante la mia discendenza nobile. E sono diventata un mostro — la ragazza-lupo — che non serve a nient’altro. Sono un vicolo cieco genetico e lo sappiamo tutti e due.
Invece no, replicai. Questa è la teoria di Sam. L’imprinting è una cosa che succede, ma non sappiamo perché. Secondo Billy, il motivo è un altro.
Lo so, lo so. Secondo lui l’imprinting serve per dare la vita a lupi più forti. Tu e Sam siete due colossi, più grossi dei vostri padri. Ma se anche fosse, continuo a non essere una candidata. Io... sono in menopausa. Ho vent’anni e sono in menopausa.
Oh. Proprio il tipo di discorso che non volevo fare. Non puoi saperlo, Leah. Magari è solo quella storia del tempo congelato. Quando ti sarai liberata del tuo lupo e ricomincerai a invecchiare, sono sicuro che le cose, ehm, torneranno a posto.
Vorrei poterci credere. Ma non c’è nessuno che avrà l’imprinting con me, nonostante il mio pedigree impressionante. Sai, aggiunse pensierosa, se non ci fossi tu, probabilmente il candidato più serio al ruolo di alfa sarebbe Seth, quanto meno per ragioni di sangue. Ovviamente, nessuno prenderebbe mai in considerazione me...
Tu sei sicura di volere davvero l’imprinting, o che qualcuno lo abbia nei tuoi confronti, o cosa?, le domandai. Che c’è di male a frequentarsi e innamorarsi come persone normali, Leah? L’imprinting è solo un modo fra i tanti che ti impedisce di scegliere.
Sam, Jared, Paul, Quil... non mi pare che per loro sia una tragedia.
Non hanno la testa per capirlo.
Tu non vorresti avere l’imprinting?
Diavolo, no!
È solo perché sei già innamorato di lei. Dimenticheresti tutto, con l’imprinting. Non soffriresti più a causa sua.
A te piacerebbe dimenticare ciò che provi per Sam?
Ci pensò per un attimo. Credo di sì.
Sospirai. Era molto più sana di me.
Ma, per tornare all’inizio del discorso, Jacob, capisco perché la tua vampira bionda sia così fredda... in senso figurato. È concentrata sul suo obiettivo. Ha gli occhi puntati sulla preda, giusto? Perché tutti vogliamo sempre ciò che non potremo mai e poi mai avere.
Tu agiresti come Rosalie? Ammazzeresti qualcuno — perché è questo che sta facendo: si sta assicurando che nessuno interferisca con la morte di Bella — pur di avere un bambino? Da quando ti interessano i figli?
Voglio solo la possibilità che non ho, Jacob. Forse, se non fossi così sbagliata, non ci avrei mai pensato.
E saresti disposta a uccidere?, domandai, impedendole di cambiare discorso.
Non è questo che sta facendo. A me sembra che stia vivendo la gravidanza per delega. E se Bella chiedesse a me di aiutarla... Rifletté in silenzio. Anche se non ho una grande opinione di lei, probabilmente agirei come la succhiasangue.
Dai miei denti irruppe un ringhio rumoroso.
Perché, se la situazione fosse ribaltata, vorrei che Bella lo facesse per me. E così vorrebbe Rosalie. Agiremmo entrambe come lei.
Puah! Sei crudele come loro!
Questo è l’assurdo nel non poter avere una cosa. La disperazione.
E questo è il mio limite. Punto. Fine della conversazione.
Va bene.
Il suo assenso non mi bastava. Avrei voluto chiudere in modo più brutale.
Ero soltanto a un paio di chilometri da dove avevo lasciato i vestiti, perciò tornai umano e li percorsi a piedi. Non ripensai alla conversazione. Non perché non ci fosse niente su cui soffermarsi, ma perché non ce la facevo. Mi rifiutavo di vederla così, ma era difficile evitarlo dopo che Leah mi aveva messo in testa quei pensieri e quelle emozioni.
No, non avrei corso con lei, dopo. Poteva tornarsene a La Push, triste quanto voleva. Un piccolo ordine alfa, prima di andarmene per sempre, non avrebbe ucciso nessuno.
Raggiunsi la casa che era ancora molto presto. Probabilmente Bella stava dormendo. Pensavo di fare capolino, vedere la situazione, dare il via libera per la caccia e cercarmi un pezzetto d’erba soffice su cui dormire da umano. Fintanto che Leah era sveglia, non intendevo trasformarmi.
Ma c’era un mormorio intenso dentro casa: forse Bella non stava dormendo. Poi, di nuovo, udii il suono dell’apparecchiatura al piano di sopra. Radiografie? Fantastico. Sembrava proprio che il quarto giorno del conto alla rovescia fosse iniziato col botto.
Alice mi aprì la porta prima che entrassi.
Salutò con un cenno. «Ehi, lupo».
«Ehi, nana. Che succede su?».
Il salone era vuoto, tutti i rumori provenivano dal secondo piano.
Scrollò le spalle strette e aguzze. «Altra rottura, temo». Provò a dirlo con disinvoltura, ma vedevo le fiamme sul fondo dei suoi occhi. Io ed Edward non eravamo gli unici sulla graticola per questa storia. Anche Alice voleva bene a Bella.
«Un’altra costola?», chiesi rauco.
«No. Stavolta il bacino».
Strano quanto la cosa continuasse a colpirmi, come se ogni novità fosse una sorpresa. Avrei mai smesso di stupirmi? Col senno di poi, ogni nuovo disastro sembrava quasi ovvio.
Alice fissava le mie mani, che vedeva tremare.
Poi sentimmo la voce di Rosalie dal piano di sopra.
«Ehi, ti ho detto che non ho sentito nessuno schiocco. Meglio che tu ti faccia controllare le orecchie, Edward».
Non seguì nessuna risposta.
Alice cambiò espressione. «Edward finirà per ridurre Rose in briciole, credo. Mi fa specie che lei non se ne accorga. Forse è convinta che Emmett riuscirà a dissuaderlo».
«Di Emmett posso occuparmi io», mi offrii. «Tu puoi aiutare Edward a sbriciolarla».
Alice abbozzò un sorriso.
Lungo le scale comparve la processione e stavolta era Edward a portare Bella. Lei stringeva fra le mani il bicchiere di sangue, pallida in volto. Nonostante l’attenzione che lui poneva in ogni suo minimo movimento per evitare di scuoterla, vedevo chiaramente che lei soffriva.
«Jake», sussurrò, e sorrise nonostante il dolore.
La fissai senza dire niente.
Con delicatezza Edward la fece distendere sul divano e si sedette sul pavimento, vicino alla sua testa. Per un istante mi domandai perché non l’avessero lasciata di sopra, ma capii subito che doveva essere stata un’idea di Bella. Voleva fingere che tutto fosse normale, evitare i macchinari da ospedale. E lui la stava accontentando. Ovviamente.
Carlisle scese con calma, per ultimo, il volto preoccupato. Una volta tanto, sembrava abbastanza vecchio da passare davvero per dottore.
«Carlisle», dissi, «siamo arrivati a metà strada per Seattle. Non c’è traccia del branco. Potete andare».
«Grazie, Jacob. È il momento buono. Ne abbiamo davvero bisogno». I suoi occhi neri guizzarono sulla tazza che Bella teneva stretta.
«Secondo me, potete partire tranquilli e andare in più di tre alla volta. Sam si sta concentrando su La Push, ci scommetto».
Carlisle annuì. Mi sorprese la prontezza con cui accettò il mio consiglio. «Se ne sei convinto tu, va bene. Alice, Esme, Jasper e io andremo ora. Poi Alice tornerà a prendere Emmett e Rose...».
«Neanche per sogno», sibilò Rosalie. «Emmett viene con voi adesso».
«Dovresti andare a caccia», le disse Carlisle con gentilezza.
Il suo tono non addolcì quello di lei. «Andrò a caccia quando ci andrà lui», ringhiò, voltandosi di scatto verso Edward e scrollando i capelli con un gesto secco.
Carlisle sospirò.
Jasper ed Emmett furono in un lampo ai piedi delle scale e nello stesso istante Alice si unì a loro dalla porta a vetri sul retro. Esme corse accanto ad Alice.
Carlisle posò la mano sul mio braccio. Il suo tocco ghiacciato non era piacevole, ma non mi tirai indietro. Restai immobile, un po’ per la sorpresa, un po’ perché non volevo offenderlo.
«Grazie», disse ancora e poi balzò fuori dalla porta con gli altri quattro. Li seguii con lo sguardo mentre volavano sul prato e in un baleno erano già spariti. Dovevano averne più bisogno di quanto immaginassi.
Per un minuto scese il silenzio. Avvertii uno sguardo truce alle mie spalle e sapevo di chi fosse. Avevo progettato di andarmene e farmi un pisolino, ma l’occasione di rovinare la giornata a Rosalie era troppo ghiotta per lasciarmela scappare.
Così m’incamminai verso la poltrona accanto alla sua e mi ci accomodai, allungandomi in modo da tenere il viso inclinato verso Bella e il piede sinistro vicino al volto di Rosalie.
«Bleah. Qualcuno porti fuori il cane», mormorò lei, arricciando il naso.
«La sai questa, Psycho? Sai come muoiono i neuroni delle bionde?».
Non rispose.
«Allora?», chiesi. «L’hai già sentita o no?».
Lei guardò fissa verso la TV e mi ignorò.
«L’ha già sentita?», chiesi a Edward.
Non c’era un’ombra di allegria sul suo volto teso; non distolse gli occhi da Bella. Ma disse: «No».
«Magnifico. Allora ti piacerà, succhiasangue. I neuroni delle bionde muoiono soli».
Rosalie continuava a non guardarmi. «Ho ucciso centinaia di volte più di te, bestia schifosa. Non te lo scordare».
«Un giorno, Miss Universo, ti stancherai di minacciarmi a vuoto. Non vedo l’ora che arrivi, quel giorno».
«Basta, Jacob», disse Bella.
Guardai verso di lei, che mi osservava cupa. Il buonumore del giorno precedente sembrava già svanito da un pezzo.
Be’, non era certo lei che volevo infastidire. «Vuoi che me ne vada?».
Prima che potessi sperare, o temere, che si fosse finalmente stancata di me, batté le ciglia e distese la fronte. Sembrava totalmente sorpresa che fossi giunto a quella conclusione. «No! Certo che no».
Sospirai e udii anche Edward sospirare pianissimo. Chissà quanto desiderava che Bella mi dicesse di andare. Purtroppo non le avrebbe mai chiesto di fare qualcosa che la rendesse infelice.
«Sembri stanco», commentò lei.
«Morto», ammisi.
«Se vuoi morire davvero fammi un fischio», bofonchiò Rosalie, troppo piano perché Bella la udisse.
Mi ero appena lasciato sprofondare nella sedia, per stare più comodo. Il mio piede nudo penzolò più vicino a Rosalie, che s’irrigidì. Dopo qualche minuto Bella le chiese di riempirle il bicchiere. Sentii il vento sollevato dalla vampira mentre saliva in tutta fretta a prendere un altro po’ di sangue. Era tutto molto tranquillo. Forse potevo anche concedermi un riposino.
A quel punto Edward, perplesso, chiese: «Hai detto qualcosa?». Strano. Nessuno aveva aperto bocca e l’udito di Edward era fine quanto il mio, lo sapeva bene.
Fissava Bella, e lei lo ricambiava. Sembravano confusi.
«Io?», chiese lei dopo un secondo. «Io non ho detto niente».
Lui si mise sulle ginocchia, chino su di lei, con l’espressione carica di un’intensità così nuova e diversa. I suoi occhi neri erano concentrati sul viso di Bella.
«Che stai pensando ora?».
Lei lo guardò inespressiva. «A niente. Che succede?».
«A cos’hai pensato un minuto fa?», le chiese.
«Solo... all’Isola Esme. E alle piume».
Risposta incomprensibile, ma quando vidi Bella arrossire capii che era meglio per me non sapere.
«Di’ qualcos’altro», mormorò.
«Ma cosa? Edward, che succede?».
La sua espressione cambiò di nuovo e fece una cosa che mi lasciò a bocca aperta. Udii un rantolo alle mie spalle e capii che Rosalie era tornata ed era rimasta interdetta quanto me.
Edward, con gran delicatezza, posò entrambe le mani sul pancione rotondo di Bella.
«Il fe...». Deglutì. «Al... al bambino piace il suono della tua voce».
Ci fu un breve attimo di silenzio assoluto. Non riuscivo a muovere mezzo muscolo, neanche per battere le palpebre. Poi...
«Santo cielo, riesci a sentirlo!», gridò Bella. Un secondo dopo, trasalì.
La mano di Edward si spostò in cima alla pancia e la accarezzò delicatamente nel punto in cui il bambino aveva scalciato.
«Sssh», mormorò. «Hai spaventato il... lui».
Gli occhi di lei si spalancarono inondandosi di meraviglia. Tamburellò di lato sulla pancia. «Scusa, piccolo».
Edward ascoltava concentrato, la testa inclinata verso il gonfiore.
«Cosa pensa ora?», domandò lei impaziente.
«La cosa... lui, o lei è...». S’interruppe e la fissò negli occhi. Traboccavano del suo stesso stupore, solo un po’ meno attenti e circospetti. «Felice», disse Edward con voce incredula.
Il respiro di lei si fermò, era impossibile non notare il luccichio fanatico nei suoi occhi. L’adorazione e la devozione. Lacrime grosse e pesanti le gonfiarono gli occhi e le scesero silenziose lungo il viso, sulle labbra sorridenti.
Mentre la guardava, il viso di Edward non era spaventato, incollerito, arso, né aveva alcuna delle espressioni che gli avevo visto da quando erano tornati. Era incantato assieme a lei.
«Certo che sei felice, bel bambino, certo che lo sei», canticchiò Bella, massaggiandosi la pancia mentre le lacrime le rigavano le guance. «Come potresti non esserlo, così al sicuro, così al caldo, così amato? Ti amo tanto, piccolo EJ, certo che sei felice».
«Come lo hai chiamato?», chiese Edward curioso.
Lei arrossì di nuovo. «Gli ho dato una specie di nome. Non pensavo che volessi... be’, ecco».
«EJ?».
«Anche tuo padre si chiamava Edward, no?».
«Sì. Ma cosa...?», fece una pausa, poi abbozzò una risata.
«Che c’è?».
«Gli piace anche la mia voce».
«Certo che gli piace». Il tono di lei era quasi gongolante. «Hai la voce più bella dell’universo. A chi non piacerebbe?».
«Avete un piano di riserva?», chiese poi Rosalie, appoggiandosi alla spalliera del divano con la stessa aria meravigliata ed esultante di Bella. «Che si fa se è una lei?».
Bella si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Qualche idea mi è venuta. Pensavo a un misto fra i nomi di Renée ed Esme...».
«Resmé?».
«Ma no: Renesmee. Troppo strano?».
«No, mi piace», le assicurò Rosalie. Le loro teste erano vicine, oro e mogano insieme. «È bellissimo. E unico, quindi perfetto».
«Comunque, sono convinta che sia un Edward».
Edward fissava il vuoto, pallido in volto, mentre ascoltava.
«Che c’è?», chiese Bella trasognata. «Cosa pensa?».
All’inizio non rispose, poi — lasciandoci tutti di stucco, in tre sussulti distinti e separati — pose l’orecchio delicatamente sulla pancia di lei.
«Ti vuole bene», mormorò Edward, sbalordito. «Ti adora indiscutibilmente».
In quel momento capii che ero solo. Completamente solo.
Avrei voluto prendermi a calci, quando mi resi conto di aver confidato troppo in quel vampiro schifoso. Che stupido. Come se ci si potesse mai fidare di una sanguisuga! Era scritto che alla fine mi avrebbe tradito.
Avevo sperato che fosse dalla mia parte. Avevo sperato che soffrisse più di quanto avevo sofferto io. E, soprattutto, avevo confidato che odiasse quella cosa rivoltante che stava ammazzando Bella più di quanto non la odiassi io.
Gli avevo dato la mia fiducia.
Eppure ora erano insieme, loro due, chini su quell’invisibile mostro in erba, gli occhi luccicanti come una famiglia felice.
Mentre io me ne rimanevo da solo con il mio astio e un dolore talmente forte da somigliare a una tortura. Come se mi trascinassero lentamente sopra un letto di lamette. Un dolore tanto forte che accoglieresti la morte con un sorriso, pur di liberartene.
Il calore sciolse i miei muscoli bloccati e mi alzai in piedi.
Di colpo le loro tre teste si sollevarono e vidi il mio dolore propagarsi attraverso il volto di Edward mentre ancora una volta s’insinuava nella mia mente.
«Ah», ansimò.
Non sapevo che fare; restai lì, tremante, pronto a prendere la prima via di fuga a disposizione.
Come un serpente all’attacco, Edward balzò fino a un tavolino e strappò qualcosa dal cassetto. Me lo lanciò; lo presi al volo.
«Vai, Jacob. Vai via da qui». Non lo disse con durezza, anzi, mi gettò le parole quasi come un salvagente. Mi stava aiutando a trovare la via di fuga che cercavo disperatamente.
L’oggetto nella mia mano erano le chiavi di un’auto.
Corsi al garage dei Cullen mentre nella testa mi ronzava una specie di piano. La seconda parte consisteva nel ridurre in un rottame la macchina dei succhiasangue, al ritorno.
Rimasi un po’ perplesso quando schiacciai il pulsante del telecomando e non vidi lampeggiare la Volvo, ma un’altra auto: uno schianto persino in confronto alla lunga serie di veicoli di famiglia, tutti da bava alla bocca. Voleva davvero darmi le chiavi di una Aston Martin Vanquish, o si era sbagliato?
Decisi che era meglio non ragionarci troppo, altrimenti rischiavo di cambiare la seconda parte del piano. Mi buttai sul sedile di pelle liscia come seta e misi in moto, le ginocchia schiacciate sotto il volante. Normalmente mi sarei messo a piangere sentendo le fusa di quel motore, ma al momento cercavo solo di concentrarmi per inserire la marcia.
Trovai la sicura del sedile e lo spinsi tutto indietro mentre il piede affondava sull’acceleratore. L’auto si lanciò in avanti neanche fosse un aereo.
Ci vollero pochi secondi per sfrecciare lungo il vialetto tortuoso. L’auto rispondeva come se la guidassi con il pensiero e non manualmente. Quando sbucai dal tunnel verde e imboccai l’autostrada, ebbi una fugace visione del muso grigio di Leah, che scrutava inquieta fra le felci.
Per mezzo secondo mi chiesi a cosa pensasse, poi mi resi conto che non m’interessava.
Svoltai verso sud; non ero disposto a sopportare traghetti, traffico o una qualsiasi cosa che mi costringesse a togliere il piede dall’acceleratore.
Visto da una prospettiva malata, era il mio giorno fortunato. Se "fortuna" significa prendere a trecento all’ora un’autostrada trafficata senza vedere neanche uno sbirro, nemmeno nelle città con il limite a cinquanta. Che delusione. Un bell’inseguimento ci sarebbe stato bene, senza contare che la targa avrebbe fatto passare qualche guaio alla sanguisuga. Certo, alla fine l’avrebbe trovato, il modo per cavarsela, ma almeno sarebbe stato un piccolo inconveniente.
L’unico segnale di controllo in cui m’imbattei fu una chiazza di pelo marrone scuro che baluginava nel bosco e correva parallela a me per qualche chilometro lungo il confine meridionale di Forks. Sembrava Quil. Doveva avermi visto, perché scomparve dopo un minuto senza dare allarmi. Di nuovo, mi chiesi cosa pensasse di me, prima di ricordarmi che non m’importava.
Corsi per la lunga autostrada a forma di U, diretto verso la città più grande che potevo trovare. Questa era la prima parte del piano.
Il viaggio sembrò durare una vita, forse perché strisciavo ancora sulle lamette, ma in realtà dopo meno di due ore ero già più a nord, nel cuore della zona urbana indefinita che era un po’ Tacoma e un po’ Seattle. A quel punto rallentai: non avevo intenzione di uccidere un passante innocente.
Era un piano stupido. Non avrebbe funzionato. Ma, mentre mi spremevo la testa in tutti i modi per cercare di scacciare il dolore, erano rispuntate le parole di Leah.
Dimenticheresti tutto, con l’imprinting. Non soffriresti più a causa sua.
Forse privarsi della possibilità di scelta non era la cosa peggiore del mondo. Forse la vera cosa peggiore del mondo era sentirsi così come mi sentivo io.
Ma avevo già visto tutte le ragazze da La Push alla riserva di Makah e pure a Forks. Avevo bisogno di allargare il raggio d’azione.
Come si individua un’anima gemella a caso nella folla? Be’, prima di tutto avevo bisogno di una folla. Perciò mi guardai attorno in cerca di un posto adatto. Intravidi un paio di centri commerciali, forse i luoghi più appropriati per imbattermi nelle mie coetanee, ma non riuscii a fermarmi. Davvero volevo l’imprinting con una ragazza che passa tutto il giorno in un centro commerciale?
Proseguii verso nord e la popolazione aumentava sempre più. Alla fine trovai un grande parco popolato di bambini e famiglie, skateboard e biciclette, aquiloni e picnic e tutto il resto. Fino a quel momento non l’avevo notato, ma era una bella giornata. Con il sole eccetera. La gente era uscita a godersi il cielo azzurro.
Parcheggiai in mezzo a due posti per disabili — non chiedevo altro che una multa — e mi unii alla folla.
Camminai per ore, o almeno così mi sembrò. Abbastanza perché il sole si spostasse da un lato all’altro del cielo. Guardai fisso ogni ragazza che mi passava accanto, concentrato, notando chi era carina, chi aveva gli occhi blu, chi stava bene con l’apparecchio e chi si era truccata troppo. M’impegnai a trovare qualcosa d’interessante in ciascun volto, per essere davvero certo di averci provato. Cose del tipo: questa ha il naso bello dritto; quest’altra dovrebbe togliersi i capelli dagli occhi; questa potrebbe fare la pubblicità dei rossetti, se solo avesse il viso bello come le labbra...
A volte anche loro mi guardavano. Altre sembravano spaventate come se pensassero: Chi è questo enorme pazzoide che mi fissa? Talvolta parevano attratte da me, ma forse era solo il mio ego che andava a briglia sciolta.
In ogni caso, niente. Neanche quando incrociai gli occhi della ragazza più sexy — non c’era proprio storia — di tutto il parco, e forse della città, e lei contraccambiò con uno sguardo curioso che sembrava interessato, non sentii niente. A parte l’impulso disperato di trovare un modo per non soffrire più.
Più passava il tempo, più iniziai a notare tutto ciò che non dovevo. E che aveva a che fare con Bella. Questa ha i capelli del suo stesso colore. Gli occhi di questa hanno la stessa forma. Gli zigomi di quest’altra le tagliano il viso nello stesso modo. Questa ha la stessa piccola increspatura fra gli occhi, dettaglio che mi fece pensare al motivo della sua preoccupazione.
In quel momento lasciai perdere. Era molto peggio che stupido pensare di aver scelto esattamente il posto e il momento giusto per imbattermi nell’anima gemella soltanto perché ne avevo un bisogno disperato.
E poi non era logico che la trovassi là. Se la teoria di Sam era giusta, il luogo migliore per incappare nella mia metà genetica era La Push. Ma ovviamente nessuna, laggiù, rispondeva ai requisiti. Chissà, forse aveva ragione Billy. Cosa occorreva per creare un lupo più forte?
Mi trascinai verso l’auto e mi appoggiai al cofano giochicchiando con le chiavi.
Forse ero ciò che anche Leah pensava di essere. Una specie di vicolo cieco che non poteva e non doveva procreare. O forse la mia vita era semplicemente una lunga e crudele barzelletta, di cui qualcuno, prima o poi, avrebbe pronunciato la battuta conclusiva.
«Ehi, tu, tutto bene? Ehi? Tu, con la macchina rubata».
Mi ci volle qualche secondo per rendermi conto che quella voce era rivolta a me e un altro secondo per decidermi ad alzare la testa.
Una ragazza dall’aspetto familiare mi guardava con un’espressione un po’ ansiosa. Capii subito perché mi sembrava di riconoscerla: l’avevo già catalogata. Capelli lisci biondo rossiccio, pelle chiara con qualche lentiggine dorata sparsa fra le guance e il naso e occhi color cannella.
«Se ti senti così in colpa per aver rubato la macchina», disse, e assieme al sorriso le spuntò una fossetta sul mento, «puoi sempre confessare».
«È in prestito, non l’ho rubata», scattai. La mia voce suonò orribile, come se avessi pianto o qualcosa del genere. Imbarazzante.
«Come no! Ti crederanno tutti in tribunale».
La guardai torvo. «Ti serve qualcosa, scusa?».
«Veramente no. Dai, scherzavo sulla macchina. È solo che... hai un’aria davvero sconvolta. A proposito, ciao, mi chiamo Lizzie». Mi porse la mano.
La guardai finché non l’abbassò.
«Comunque...», disse lei a disagio, «mi chiedevo se posso aiutarti. Prima sembrava che stessi cercando qualcuno». Indicò il parco con un gesto e scrollò le spalle.
«Già».
Lei attese.
Sospirai. «Non mi serve aiuto. Lei non c’è».
«Ah. Mi dispiace».
«Anche a me», borbottai.
La guardai di nuovo. Lizzie. Era bella. Tanto gentile da offrire aiuto a uno scorbutico forestiero che doveva sembrarle fuori di testa. Perché non poteva essere lei? Perché tutto doveva essere così follemente complicato? Una ragazza simpatica, carina, e anche divertente. Perché no?
«Gran bella macchina», disse. «È davvero un peccato che non ne facciano più. Voglio dire, anche la linea della Vantage è meravigliosa, ma la Vanquish ha un non so che...».
Una bella ragazza che conosceva le auto. Wow. La fissai più intensamente, nella speranza di far scattare il meccanismo. Dai, Jake, fatti venire quest’imprinting, adesso.
«Com’è guidarla?», chiese.
«Non lo immagini neanche», risposi.
Fece di nuovo quel sorriso a una fossetta. Si vedeva che era contenta di avermi strappato l’ombra di una risposta civile e io ricambiai, riluttante. Ma la fossetta non poté niente contro le lame affilate che strisciavano sul mio corpo. Per quanto lo desiderassi, la mia vita non era destinata a risolversi così.
Il riparo verso cui correva Leah non faceva per me. Non ero in grado di innamorarmi come una persona normale. Non mentre il mio cuore sanguinava ancora per un’altra. Forse se fossero già passati dieci anni, con il cuore di Bella fermo da un pezzo, e io avessi attraversato il lutto uscendone tutto intero, forse in quel caso avrei potuto offrire a Lizzie un giro sulla mia auto veloce, parlare di marche e modelli, scoprire qualcosa di lei e capire se magari mi piaceva come persona. Ma niente di tutto ciò poteva accadere in quel momento.
Nessuna magia mi avrebbe salvato. Dovevo sopportare la tortura da uomo. Zitto e soffri.
Lizzie se ne restava lì, in attesa che le offrissi un giro, forse. O forse no.
«Meglio che la riporti al tizio che me l’ha prestata», mugugnai.
Sorrise di nuovo. «Bravo, hai deciso di comportarti bene».
«Sì, mi hai convinto».
Mi guardò entrare in macchina, ancora un po’ preoccupata. Probabilmente le sembravo pronto a buttarmi da una scogliera. Cosa che avrei anche fatto, se solo avesse funzionato per un licantropo. Accennò un saluto con la mano mentre seguiva con gli occhi la scia che lasciavo.
All’inizio guidai in modo più tranquillo che all’andata. Non avevo fretta. Non volevo andare dove stavo andando. Tornare in quella casa, in quella foresta. Tornare alla sofferenza da cui ero scappato. Tornare a sentirmi assolutamente solo con quel dolore.
Okay, così era un po’ melodrammatico. Non sarei stato del tutto solo, ma la situazione era comunque negativa. A Leah e Seth toccava soffrire con me. Per fortuna Seth non avrebbe dovuto soffrire a lungo. Il moccioso non meritava di vedersi rovinare la tranquillità. Leah nemmeno, ma almeno lei avrebbe capito. Il dolore non era una novità, per Leah.
Feci un grosso sospiro pensando a ciò che Leah voleva da me, perché ora sapevo che l’avrebbe ottenuto. Ero ancora incazzato con lei, ma anche cosciente che potevo semplificarle la vita. E adesso che ci conoscevamo meglio, ero certo che lei avrebbe fatto altrettanto per me, a parti invertite.
A conti fatti sarebbe stato interessante e decisamente strano ritrovarsi Leah come compagna, nel senso di amica. Avremmo dovuto imparare a metterci nei panni l’uno dell’altra, poco ma sicuro. Non mi avrebbe permesso di crogiolarmi nel dolore, il che mi andava più che bene. Mi serviva qualcuno che mi desse un bel calcio nel sedere di tanto in tanto. E in fondo, lei era davvero l’unica amica che avesse la possibilità di capire cosa stavo passando.
Pensai alla caccia della mattina e a quanto le nostre menti si fossero per un attimo avvicinate. Non era stato male. Diverso, sì. Un po’ spinoso e imbarazzante. Ma anche carino in un modo assurdo.
Non ero costretto a rimanere solo.
E sapevo che Leah era abbastanza forte da affrontare con me i mesi che ci aspettavano. Mesi e anni. Il solo pensiero mi stancava. Mi sentivo come di fronte a un oceano che dovevo percorrere a nuoto da costa a costa, prima di potermi riposare.
Così tanto tempo e così poco, prima che tutto ciò avesse inizio. Prima di scaraventarmi in quell’oceano. Ancora tre giorni e mezzo e io lì, a sprecare il poco tempo che avevo.
Tornai a pestare sull’acceleratore.
Mentre correvo verso Forks vidi Sam e Jared, ciascuno su un lato della strada, a mo’ di sentinelle. Erano ben nascosti dietro ai rami robusti, ma me li aspettavo e sapevo cosa cercare. Li salutai con un cenno quando passai davanti ai due, fregandomene di chiedermi che ne pensassero della mia gita.
Salutai anche Leah e Seth mentre imboccavo lo sterrato di casa Cullen. Iniziava a farsi buio e, nonostante le dense nuvole su quel lato dello stretto, vidi i loro occhi scintillare al bagliore dei fanali. Avrei spiegato tutto dopo. Tempo ce n’era, altroché.
Mi sorprese trovare Edward che mi aspettava in garage. Da giorni non lo vedevo lontano da Bella. La sua espressione mi disse che non le era accaduto niente di brutto. In effetti sembrava più tranquillo. Quando mi ricordai da dove veniva quella pace mi si chiuse lo stomaco.
Purtroppo, in tutto il mio rimuginare mi ero dimenticato di fracassargli la macchina. Amen. Tutto sommato non so se avrei sopportato di danneggiare quell’auto. Forse ci contava anche lui, ecco perché me l’aveva prestata.
«Una cosa, Jacob», disse non appena spensi il motore.
Feci un respiro profondo e trattenuto. Poi, lentamente, scesi dall’auto e gli lanciai le chiavi.
«Grazie per avermela prestata», dissi acido. A quanto pareva, dovevo restituirgli il favore. «Adesso cosa vuoi?».
«Prima di tutto... so quanto ti pesa imporre la tua autorità al branco, ma...».
Strabuzzai gli occhi, sorpreso che azzardasse un discorso del genere. «Che?».
«Se tu non puoi o non vuoi controllare Leah, io...».
«Leah?», lo interruppi, a denti stretti. «Cos’è successo?».
L’espressione di Edward era dura. «È venuta a controllare perché te ne fossi andato così di punto in bianco. Ho provato a spiegarglielo. Credo di non esserci riuscito molto bene».
«Cosa ha fatto?».
«È tornata umana e...».
«Sul serio?», lo interruppi di nuovo, questa volta scioccato. Non riuscivo a spiegarmelo. Leah che abbassava la guardia nella tana del nemico?
«Voleva... parlare con Bella».
«Con Bella?».
Edward ora sibilava. «Non permetterò che qualcuno la disturbi ancora in questo modo. Non m’interessa se Leah si sente in diritto di farlo! Non l’ho toccata, ovviamente, ma se succede di nuovo la butto fuori. La lancio dall’altra parte del fiume».
«Datti una calmata. Cos’ha detto?». Non ci stavo capendo niente.
Edward respirò a fondo e si placò. «Leah è stata brutale, senza motivo. Non fingerò di aver capito perché Bella non sia capace di lasciarti andare, ma sono certo che non si comporta così per farti del male. Sapere quanto dolore infligge a te e a me, chiedendoti di starle accanto è per lei una sofferenza enorme. E non c’era bisogno che Leah si esprimesse in quel modo. Bella ha pianto a lungo».
«Alt. Leah stava sgridando Bella per me?».
Annuì bruscamente. «Sei stato chiamato in causa con una certa veemenza».
Oddio. «Non le ho chiesto io di farlo».
«Lo so».
Alzai gli occhi al cielo. Certo che lo sapeva. Sapeva tutto, lui.
Ma Leah era stata davvero sorprendente. Chi lo avrebbe mai creduto? Leah che entra, in forma umana, in casa dei succhiasangue per lamentarsi di come vengo trattato io.
«Non posso garantirti che terrò Leah sotto controllo», gli dissi, «perché non lo farò. Ma le parlerò, okay? E non credo che la cosa si ripeterà. Leah non è una che si trattiene: probabilmente si è tolta il peso ed è finita lì».
«Lo spero proprio».
«A ogni modo, voglio parlarne anche con Bella. Non deve starci male. Questa cosa riguarda solo me».
«Gliel’ho già detto io».
«Era ovvio. Sta bene?».
«Dorme. C’è Rose con lei».
Così la psicopatica adesso era diventata "Rose". Ecco, si era definitivamente consegnato al lato oscuro.
Ignorò il mio pensiero e rispose per quanto possibile alla mia domanda: «Bella sta meglio, in un certo senso. A parte la scenata di Leah e il senso di colpa che ha scatenato».
Stava meglio. Perché Edward aveva sentito il mostro e ora lì era tutto un cuore-amore. Che meraviglia.
«Non è solo questo», mormorò lui. «Ora che posso sentire i pensieri del bambino, mi è chiaro che anche lui, o lei, ha sviluppato capacità mentali straordinarie. Riesce a capirci, in qualche modo».
Restai a bocca aperta. «Dici sul serio?».
«Sì. Ora sembra avere una vaga percezione di che cosa fa del male a Bella. Sta cercando di evitarlo, per quanto possibile. Lui... le vuole già bene».
Fissai Edward con gli occhi pronti a schizzare fuori dalle orbite. Incredulità a parte, riconoscevo il fattore decisivo che aveva cambiato Edward: il mostro l’aveva convinto del suo amore. E lui non poteva odiare una cosa che provava amore per Bella. Per lo stesso motivo, probabilmente, non riusciva a odiare neanche me. Ma c’era una grossa differenza. Io non la stavo uccidendo.
Edward proseguì, fingendo di non avermi sentito. «Temo che stia crescendo ancora più in fretta di ogni nostra previsione. Non appena Carlisle rientra...».
«Non sono ancora tornati?», lo interruppi. Pensai a Sam e Jared che sorvegliavano la strada. Si sarebbero incuriositi di tutto quel viavai?
«Alice e Jasper sì. Carlisle ci ha mandato tutto il sangue che ha potuto trovare, ma non era tanto quanto sperava. A Bella basterà per un giorno solo, visto come le aumenta l’appetito. Carlisle è rimasto fuori a cercare un altro fornitore. Forse non sarà necessario, ma vuole essere coperto per ogni evenienza».
«In che senso non sarà necessario? Hai detto che gliene serve di più».
Rispose cauto, i sensi concentrati sulla mia reazione. «Sto cercando di convincere Carlisle a far nascere il bambino appena torna».
«Cosa?».
«Sembra che il bambino stia cercando di evitare i movimenti bruschi, ma è difficile, grosso com’è. Aspettare sarebbe una follia, è evidentemente cresciuto più di quanto Carlisle si aspettasse e Bella è troppo debole perché si possa rimandare».
Ricevevo un colpo basso dopo l’altro. All’inizio avevo contato sull’odio che anche Edward nutriva per quella cosa. Poi avevo sperato di poter far tesoro di quei quattro giorni.
L’oceano infinito di dolore che mi aspettava s’allargò davanti a me.
Provai a respirare di nuovo.
Edward aspettò. Fissai il suo viso mentre mi riprendevo e vi riconobbi un altro cambiamento.
«Sei sicuro che ce la farà», mormorai.
«Sì. Questa era l’altra cosa di cui volevo parlarti».
Non riuscii più a dire niente. Dopo un minuto, proseguì.
«Sì», ripeté. «Aspettare, come abbiamo fatto, che il bambino fosse pronto è stato folle e pericoloso. Ogni momento avrebbe potuto esserle fatale. Ma se prendiamo l’iniziativa, se agiamo in fretta, non vedo perché non dovrebbe andare tutto bene. Poter leggere nella mente del bambino ci è di grande aiuto. Per fortuna Bella e Rose sono d’accordo con me. Ora che le ho convinte che procedere è la scelta più sicura per il piccolo, non c’è niente che non possa funzionare».
«Quando rientra Carlisle?», chiesi con un filo di voce. Il mio respiro non era ancora normale.
«Domani a mezzogiorno».
Le ginocchia mi cedettero. Per reggermi in piedi dovetti aggrapparmi all’auto. Edward si sporse come per aiutarmi, poi ci ripensò e abbassò le mani.
«Mi dispiace», sussurrò. «Mi dispiace davvero per il dolore che tutto questo ti causa, Jacob. Anche se mi odi, devo ammettere che io non provo la stessa cosa per te. Ormai sei quasi... un fratello, sotto molti aspetti. Come minimo, un compagno d’armi. Non puoi capire quanto mi rincresce che tu soffra. Ma Bella sopravviverà», la sua voce si fece intensa, persino violenta, «e so che è questo che t’interessa più di ogni altra cosa».
Probabilmente aveva ragione. Difficile capirlo. Mi girava la testa.
«Detesto chiedertelo proprio ora che hai già tante cose a cui pensare, ma ormai siamo agli sgoccioli. Devo chiederti una cosa, in ginocchio se necessario».
«Non mi è rimasto più niente», dissi con voce strozzata.
Tese di nuovo la mano, quasi a posarla sulla mia spalla, poi come prima la mise giù e sospirò.
«So quanto hai già dato», disse con calma, «ma c’è una cosa che tu, e soltanto tu, puoi fare. Te lo chiedo in qualità di vero alfa, Jacob. Te lo chiedo in qualità di erede di Ephraim».
Così come stavo, era impossibile rispondere.
«Voglio che tu conceda una deroga al patto che avevamo stretto con Ephraim. Ti chiedo di tollerare un’eccezione: dammi il permesso di salvarle la vita. Sai che lo farei comunque, ma non vorrei infrangere il patto finché esiste un modo per evitarlo. Non ci era mai passato per la mente di tornare sui nostri passi e non lo faremo a cuor leggero. Chiedo la tua comprensione, Jacob, perché tu conosci le nostre ragioni alla perfezione. Voglio che l’alleanza fra le nostre famiglie sopravviva anche quando tutto questo sarà finito».
Provai a deglutire. Sam, pensai. È di Sam che hai bisogno.
«No. L’autorità di Sam è fittizia. Appartiene a te. Non gliela porterai mai via, ma nessuno ha più diritto di te a esprimere il consenso a ciò che sto chiedendo».
La decisione non spetta a me.
«Invece sì, Jacob, lo sai. La tua parola e la tua volontà possono condannarci o assolverci. Solo tu puoi concedermelo».
Non riesco a pensarci. Non lo so.
«Non abbiamo molto tempo». Guardò verso la casa.
No, non c’era tempo. I miei pochi giorni erano diventati poche ore.
Non so. Fammici pensare. Dammi un minuto, okay?
«Sì».
Mi avvicinai alla casa e lui mi seguì. Incredibile quanto fosse facile camminare nel buio con un vampiro accanto. In realtà, non mi sentivo né in pericolo né a disagio. Era come camminare accanto a chiunque altro. Be’, a parte la puzza.
Ci fu un movimento fra la vegetazione al limitare del grande prato e poi un basso mugolio. Seth spuntò dalle felci e corse a lunghi passi verso di noi.
«Ehi, moccioso», mugugnai.
Abbassò la testa e gli diedi un colpetto sulla spalla.
«Tutto tranquillo», mentii, «ti dirò dopo. Scusa per essermene andato così».
Sorrise.
«Ehi, di’ a tua sorella di non impicciarsi più, okay? Ha già dato».
Seth annuì.
Gli diedi una spintarella. «Torna al lavoro. Un minuto e ti spiego».
Seth restituì la spinta e partì al galoppo fra gli alberi.
«Ha una delle menti più pure, sincere, gentili che abbia mai percepito», mormorò Edward quando fu scomparso. «Sei fortunato a poter condividere i suoi pensieri».
«Lo so», grugnii.
Tornammo verso casa e le nostre teste scattarono entrambe appena sentimmo il rumore di qualcuno che beveva da una cannuccia. Edward accelerò il passo. Guizzò sui gradini del portico e sparì.
«Bella, amore, pensavo che stessi dormendo», gli sentii dire. «Scusa, non avrei dovuto lasciarti».
«Non preoccuparti. Mi era solo venuta una gran sete... che mi ha svegliata. Meno male che Carlisle ne sta portando altro. Questo bambino ne avrà bisogno quando uscirà da qui».
«Sì, è vero».
«Mi chiedo se non vorrà nient’altro», rifletté.
«Immagino che lo scopriremo».
Entrai anch’io.
Alice disse: «Finalmente», e gli occhi di Bella s’illuminarono nel vedermi. Quel sorriso esasperante, irresistibile, irruppe per un secondo sul suo viso. Poi svanì e il suo volto si spense. Increspò le labbra come se cercasse di non piangere.
Avrei voluto prendere a pugni Leah e la sua stupida bocca.
«Ehi, Bells», dissi svelto. «Come va?».
«Bene», disse.
«Gran giorno oggi, eh? Un sacco di novità».
«Non sei costretto, Jacob».
«Non so di cosa stai parlando», dissi e andai a sedermi sul divano accanto alla sua testa. Edward era già lì seduto per terra.
Mi lanciò uno sguardo di rimprovero. «Mi dis...».
Le chiusi le labbra fra il pollice e l’indice.
«Jake», mormorò cercando di allontanare la mia mano. Il tentativo fu debolissimo, difficile credere che ci stesse provando davvero.
Scossi la testa. «Potrai parlare quando non dirai più stupidaggini».
«Va bene, non lo dico», mugolò.
Tolsi la mano.
«Mi dispiace!», finì d’un fiato e poi sorrise.
Alzai gli occhi al cielo e ricambiai il sorriso. E quando incrociai il suo sguardo, vidi tutto ciò che avevo cercato nel parco.
Mancava un giorno, prima che diventasse un’altra. Ma, se tutto andava bene, sarebbe rimasta viva, ed era questo ciò che contava, giusto? Mi avrebbe guardato con quegli stessi occhi, più o meno. E sorriso con quelle stesse labbra, o quasi. Avrebbe continuato a conoscermi meglio di chiunque altro non avesse pieno accesso ai miei pensieri.
Leah avrebbe potuto essere una compagna interessante, forse anche una vera amica, qualcuno che mi avrebbe difeso. Ma non la mia migliore amica come lo era Bella. Oltre all’amore impossibile che provavo per lei, c’era anche un vincolo che nasceva dal profondo.
Un solo giorno e sarebbe diventata mia nemica. Oppure mia alleata. E, a quanto pareva, la decisione spettava a me.
Sospirai.
Va bene!, pensai, dando l’ultima cosa che avevo da dare. Mi sentii svuotato. Fate pure. Salvatela. Come erede di Ephraim ti do il mio permesso, la mia parola, che questo non violerà il nostro patto. Gli altri dovranno prendersela con me. Hai ragione: non possono negare che ho tutto il diritto di acconsentire.
«Ti ringrazio». Il sussurro di Edward fu così basso che Bella non poté sentirlo. Ma le parole erano talmente ardenti che, con la coda dell’occhio, vidi gli altri vampiri girarsi meravigliati.
«Allora?», chiese Bella ostentando disinvoltura. «Com’è stata la giornata?».
«Piacevole. Ho fatto un giro in macchina. Ho passato un po’ di tempo al parco».
«Ah, bello».
«Certo, certo».
Improvvisamente cambiò espressione. «Rose».
Sentii la bionda soffocare una risata. «Ancora?».
«Credo di aver bevuto sette litri in un’ora», spiegò Bella.
Edward e io ci spostammo mentre Rosalie venne a sollevare Bella dal divano per portarla in bagno.
«Posso camminare?», disse Bella. «Sento le gambe indolenzite».
«Sei sicura?», chiese Edward.
«Rose mi prenderà se inciampo. Cosa molto probabile, dato che neanche riesco a vedermi i piedi».
Rosalie mise Bella in piedi con grande attenzione, sorreggendola dalle spalle. Bella stirò le braccia di fronte a sé, facendo una piccola smorfia.
«Ah, ora sto meglio», sospirò. «Mamma mia, sono enorme».
Davvero. La sua pancia era un continente.
«Ancora un giorno», disse tamburellando sul pancione.
Non riuscii a trattenere l’ondata di dolore che mi colpì in un attimo, come una coltellata, ma cercai di non darlo a vedere. Potevo nasconderlo per un altro giorno ancora, giusto?
«Tutto bene, allora. Ops... oh, no!».
Il bicchiere che Bella aveva lasciato sul divano cadde e il sangue rosso scuro si riversò sul tessuto chiaro.
Automaticamente, nonostante altre tre mani l’avessero preceduta, Bella si chinò cercando di prenderlo.
Dal centro del suo corpo venne un rumore inaudito, come uno strappo smorzato.
«Ah!», sussultò.
Poi perse del tutto le forze e crollò, ma in quel momento Rosalie l’afferrò. Anche Edward le fu subito accanto, a mani tese, senza neanche badare al caos sul divano.
«Bella?», chiese, poi sgranò gli occhi e sul suo viso spuntò il panico.
Mezzo secondo dopo, Bella urlò.
Non fu soltanto un urlo, ma un grido di agonia da gelare il sangue. L’orribile suono terminò con un gorgoglio e le si rivoltarono gli occhi. Il suo corpo si contrasse, inarcato fra le braccia di Rosalie; poi Bella vomitò una fontana di sangue.
Il corpo di Bella, grondante di sangue, cominciò a contorcersi e sussultare fra le braccia di Rosalie come se stesse subendo un elettroshock. Il suo volto era livido e inanimato. Si muoveva perché qualcosa al centro del suo corpo si dimenava in modo sfrenato. E, in quelle convulsioni, schianti e schiocchi nitidi tenevano il tempo degli spasmi.
Rosalie ed Edward rimasero impietriti per pochi istanti, poi scattarono. Rosalie sollevò il corpo di Bella fra le braccia e, con un grido così veloce da non poterne distinguere le parole, balzò assieme a Edward sulle scale, diretta al piano superiore.
Io schizzai dietro di loro.
«La morfina!», gridò Edward a Rosalie.
«Alice! Chiama Carlisle!», strillò lei.
La camera in cui li seguii sembrava un pronto soccorso piazzato nel mezzo di una biblioteca. La luce era forte e bianca. Bella era su un tavolo, pallida come un fantasma in quel fulgore. Il suo corpo si dibatteva come un pesce sulla sabbia. Rosalie la immobilizzò strappandole i vestiti di dosso, mentre Edward le affondava una siringa nel braccio.
Quante volte me l’ero immaginata nuda? Adesso non riuscivo a guardarla. Avevo paura che quei ricordi mi si stampassero nella mente.
«Che succede, Edward?».
«Il bambino sta soffocando!».
«La placenta deve essersi staccata!».
A un certo punto, in tutto questo, Bella si rianimò. Rispose alle loro parole con un grido che mi dilaniò i timpani.
«Fatelo uscire!», urlò. «NON RESPIRA! Fatelo uscire SUBITO!».
Le vidi negli occhi le macchie rosse dei capillari esplosi per l’urlo.
«La morfina...», grugnì Edward.
«NO, ADESSO!», un altro fiotto di sangue smorzò il suo grido. Lui le tenne la testa alzata, cercando disperatamente di pulirle la bocca per farla respirare.
Alice si lanciò nella stanza e attaccò un piccolo auricolare blu sotto i capelli di Rosalie. Poi tornò indietro, con gli occhi dorati spalancati e ardenti, mentre Rosalie sibilava frenetica al telefono.
In quella luce chiara, la carnagione di Bella appariva più violacea e nera che bianca. Un’ombra rosso scuro era comparsa sotto la pelle dell’enorme, sussultante protuberanza della pancia. Rosalie afferrò un bisturi.
«Aspetta che entri in circolo la morfina!», le gridò Edward.
«Non c’è tempo», sibilò Rosalie. «Il bambino sta morendo!».
Posò una mano sulla pancia di Bella e un rosso vivido sgorgò da dove aveva perforato la pelle. Era un secchio rovesciato, un rubinetto completamente aperto. Bella sobbalzò, senza gridare. Stava ancora rantolando.
Poi Rosalie perse la concentrazione. Vidi l’espressione del suo viso cambiare, le labbra scoprire i denti e gli occhi neri scintillare di sete.
«No, Rose!», ruggì Edward, ma le sue mani erano intrappolate nel tentativo di tenere Bella dritta per farla respirare.
Senza neanche trasformarmi mi lanciai verso Rosalie, superando il tavolo con un salto. Quando colpii il suo corpo di pietra, scaraventandolo verso la porta, sentii il bisturi conficcarsi a fondo nel mio braccio sinistro. Il mio palmo destro si abbatté contro il suo viso, chiudendole la mascella e bloccandole le vie respiratorie.
Sfruttai la presa per girarla e assestarle un calcione sul ventre: fu come prendere a calci il cemento. Volò oltre la porta e ne piegò uno stipite. L’auricolare che portava sull’orecchio andò in pezzi. Poi arrivò Alice, la strattonò per il collo e la trascinò giù in salone. Dovevo ammetterlo, la bionda non aveva nemmeno provato a combattere. Voleva che vincessimo noi. Si era lasciata pestare, pur di salvare Bella. Cioè, la creatura.
Mi strappai la lama dal braccio.
«Alice, portala fuori di qui!», gridò Edward. «Portala da Jasper e tienila lì! Jacob, ho bisogno di te!».
Non guardai Alice che finiva il lavoro. Tornai di scatto al tavolo operatorio, dove Bella stava per perdere conoscenza, gli occhi fissi e spalancati.
«Respirazione artificiale?», grugnì Edward, rapido ed esigente.
«Sì!».
Diedi una rapida occhiata al suo viso, nel timore che potesse reagire come Rosalie. Non vidi altro che una feroce determinazione.
«Falla respirare! Devo tirarlo fuori prima che...».
Un altro schianto tremendo dentro il suo corpo, il più rumoroso, tanto che rimanemmo entrambi impietriti, aspettandoci da Bella un urlo di reazione. Niente. Le gambe, che nell’agonia si erano piegate, ora si erano afflosciate, aperte in modo innaturale.
«La spina dorsale», ansimò Edward in preda all’orrore.
«Tiralo fuori!», ringhiai, scaraventandogli il bisturi addosso. «Ormai non sente niente!».
Poi mi chinai sulla testa di Bella. Posai le labbra sulle sue, e soffiai una boccata d’aria. Sentii il suo busto contratto espandersi; non c’era niente che le bloccava la gola.
Le labbra sapevano di sangue.
Il battito del suo cuore era irregolare. Avanti, le dissi furibondo col pensiero, mentre le soffiavo altra aria in corpo. L’hai promesso. Continua a far battere il tuo cuore.
Sentivo il rumore umido e leggero del bisturi lungo la sua pancia. Altro sangue colò sul pavimento.
Allora un altro suono mi fece sobbalzare, inaspettato, terrificante. Come metallo ridotto a pezzi. Un suono che mi riportò alla mente lo scontro nella radura di tanti mesi prima, lo stridere dei neonati squarciati. Lanciai un’occhiata al viso di Edward premuto contro il rigonfiamento. Denti di vampiro: lo strumento infallibile per tagliare la pelle di vampiro.
Tremai, mentre soffiavo altra aria dentro Bella.
Lei tossì e strizzò gli occhi che roteavano alla cieca.
«Resta con me, Bella!», le gridai. «Mi senti? Resta qui! Non voglio che mi lasci. Fai battere il tuo cuore!».
I suoi occhi rotearono, cercando me, o lui, senza vedere niente.
Continuai a fissarli comunque, senza distogliere lo sguardo.
Poi, all’improvviso, sentii il suo corpo divenire immobile sotto le mie mani, nonostante continuasse a respirare convulsamente e il suo cuore battesse. Mi resi conto che quell’immobilità significava che era finita. La lotta interna era finita. Doveva essere uscito.
Infatti.
Edward sussurrò: «Renesmee».
Dunque Bella si era sbagliata. Non era il bambino che aveva immaginato. Nessuna sorpresa. C’era forse qualcosa su cui non si fosse mai sbagliata?
Non staccai lo sguardo dai suoi occhi iniettati di sangue, ma sentii le sue mani scivolare deboli.
«Fammi...», gracidò in un sussurro spezzato. «Dammela».
Ero abituato a vederlo obbedire a ogni sua richiesta, non importa quanto stupida. Ma non immaginavo che l’avrebbe esaudita anche adesso. Perciò non pensai a fermarlo.
Qualcosa di caldo mi toccò il braccio. Avrei dovuto farci caso, in quel momento. Non c’era mai niente che mi sembrasse caldo.
Ma non riuscivo a distogliere gli occhi da Bella. Batté le ciglia e alla fine riuscì a vedere. Mugolò un gemito strano, debole.
«Renes...mee. Sei... bellissima».
E poi singhiozzò. Singhiozzò di dolore.
Quando mi voltai era già troppo tardi. Edward aveva strappato quella cosa calda e sanguinante dalle sue braccia esanimi. I miei occhi guizzarono sulla sua pelle. Era rossa di sangue; quello che le era sgorgato dalla bocca, quello che aveva impiastricciato la creatura e altro sangue che zampillava da un piccolo morso a forma di mezzaluna, proprio sopra il seno sinistro.
«No, Renesmee», mormorò Edward, come se volesse insegnare le buone maniere al mostro.
Non guardai né lui né la cosa. Fissavo solo Bella, i suoi occhi rovesciati.
Con un ultimo tonfo sordo il suo cuore vacillò e tacque.
Perse circa mezzo battito, poi le mie mani scattarono subito a comprimere il petto. Contai a mente, cercando di tenere un ritmo costante. Uno. Due. Tre. Quattro.
Mi staccai per un secondo e soffiai un’altra boccata d’aria dentro di lei.
Non ci vedevo più. I miei occhi erano umidi e sfocati. Ma ero estremamente consapevole dei rumori nella stanza. Il gorgoglio forzato del suo cuore sotto le mie mani impazienti, il rimbombo del mio e di un altro. Un palpitare troppo veloce, troppo leggero che non riuscivo a localizzare.
Le spinsi altra aria in gola.
«Cosa aspetti?», gridai senza fiato, senza smettere di pompare. Uno. Due. Tre. Quattro.
«Prendi la bambina», disse Edward impaziente.
«Buttala dalla finestra». Uno. Due. Tre. Quattro.
«Datela a me», una voce bassa risuonò dalla porta. Edward e io ringhiammo all’unisono.
Uno. Due. Tre. Quattro.
«È tutto sotto controllo», promise Rosalie. «Dammi la bambina, Edward. Me ne prendo cura io finché Bella...».
Feci un’altra respirazione a Bella, mentre avveniva lo scambio. La pulsazione accelerata si dissolse in lontananza.
«Togli le mani, Jacob».
Alzai lo sguardo dagli occhi bianchi di Bella, mentre continuavo a pompare sul suo cuore. Edward stringeva in mano una siringa argentata, forse d’acciaio.
«Cos’è?».
La sua mano rocciosa spinse via le mie. Ci fu un leggero scrocchio: con un colpo mi aveva rotto il mignolo. Nello stesso istante, conficcò l’ago dritto nel cuore di Bella.
«Il mio veleno», rispose mentre abbassava lo stantuffo.
Udii il sussulto del cuore di lei, come avesse usato un defibrillatore.
«Non lasciare che si fermi», ordinò. La sua voce glaciale era di un morto, ostile e meccanica come quella di un automa.
Ignorai il dolore al dito, che già stava passando, e ricominciai a premere sul cuore di Bella. Era più duro, come se le si stesse congelando il sangue; scorreva più denso, lento. Mentre le spingevo il sangue viscoso lungo le arterie, diedi un’occhiata a Edward.
Sembrava che la stesse baciando: strofinò le labbra contro la sua gola, i polsi, la piega all’interno del gomito. Ma sentivo la pelle strapparsi mentre i denti di lui la mordevano senza sosta e inoculavano veleno nel suo organismo in quanti più punti possibile. Vidi la sua lingua esangue muoversi rapidamente lungo le ferite vive ma, prima che ciò potesse farmi infuriare o star male, capii la sua intenzione. Dove la sua lingua aveva lavato il veleno, le ferite si erano chiuse. Trattenendo il siero e il sangue dentro il corpo.
Le soffiai altra aria in bocca, ma non c’era più niente. Unica reazione, il gonfiarsi inerte del suo petto. Continuai a premere sul cuore, contando, mentre Edward, come un forsennato, si dava da fare per rimetterla in sesto. Ma era peggio di Humpty Dumpty caduto dal muro...
Non c’era più niente; solo io, solo lui.
Ad accanirci su un cadavere.
Tutto ciò che rimaneva della ragazza che avevamo amato. Quel cadavere spezzato, dissanguato, martoriato. Non potevamo ricomporre Bella.
Sapevo che era troppo tardi. Sapevo che era morta. Ne ero sicuro perché la sua attrazione era sparita. Non sentivo più alcuna ragione per rimanere lì accanto a lei. Lei non c’era più. Per me quel corpo non esercitava alcuna attrazione. Il bisogno irragionevole di esserle accanto era svanito.
O meglio, si era spostato. Come se l’attrazione venisse dalla parte opposta. Dalla porta, oltre le scale. La brama di scappare e non tornare più, mai più, in quel posto.
«E allora vattene», sbottò Edward spingendo di nuovo via la mia mano, questa volta per prendere il mio posto.
Tre dita rotte, almeno. Me le raddrizzai inebetito, senza pensare al sussulto provocato dal dolore.
Premette sul suo cuore morto ancora più veloce di me.
«Non è morta», ringhiò. «Si riprenderà».
Non ero sicuro che stesse parlando a me, ormai.
Voltai le spalle, lo lasciai con la sua morta e mi diressi lentamente verso l’uscita. Più che lentamente. Quasi non riuscivo a muovere i piedi.
Eccolo arrivato, l’oceano di dolore. L’altra riva così lontana, oltre quella massa d’acqua ribollente, che non potevo neanche immaginarla, ancor meno vederla.
Ancora una volta, smarrito il mio obiettivo mi sentivo vuoto. Salvare Bella era stata la mia battaglia per tanto tempo. E avevo fallito. Aveva deciso di sacrificarsi e di lasciarsi fare a pezzi dalla figlia del mostro. La battaglia era persa. Era tutto finito.
Rabbrividii al suono che mi lasciavo alle spalle, mentre arrancavo lungo le scale. Il suono di un cuore morto costretto a pulsare.
Magari avessi potuto riempirmi la testa di candeggina e friggermi il cervello. Bruciare le immagini degli ultimi minuti di Bella. Mi sarei tenuto un danno cerebrale pur di liberarmene: le urla, il sangue, lo schiocco insopportabile mentre il mostro neonato la faceva a pezzi dall’interno...
Volevo correre via, scendere gli scalini dieci alla volta e volare fuori dalla porta, ma i miei piedi erano pesanti come il ferro e il mio corpo più stanco che mai. Mi trascinai lungo le scale come un vecchio storpio.
Mi fermai sull’ultimo gradino, cercando di raccogliere le forze per uscire di lì.
Rosalie era seduta sulla parte pulita del divano, di spalle, e mormorava smancerie alla cosa fra le sue braccia, avvolta in una copertina. Doveva avermi sentito, ma m’ignorò, presa da quel momento di maternità rubata. Forse era finalmente felice. Aveva ciò che voleva e Bella non sarebbe mai tornata a riprendersi la creatura. Chissà se per tutto quel tempo la perfida bionda non ci aveva sperato.
Teneva qualcosa di scuro fra le mani e udii un succhiare ghiotto provenire dalla minuscola assassina fra le sue braccia.
Il profumo del sangue era nell’aria. Sangue umano. Rosalie le stava dando da mangiare. Ovviamente la creatura aveva bisogno di sangue. Di cos’altro poteva nutrirsi una specie di mostro che aveva brutalmente mutilato la sua stessa madre? Avrebbe bevuto persino il sangue di Bella. Forse lo stava già bevendo.
Le forze mi tornarono mentre ascoltavo il suono del piccolo boia che mangiava.
La forza, l’odio e il calore... calore rosso che divampava nella mia testa, infiammava tutto senza cancellare niente. Le immagini nella mia mente erano come combustibile: scatenavano l’inferno ma non volevano consumarsi. Sentii un tremore scuotermi dalla testa ai piedi e non provai a bloccarlo.
Totalmente assorbita dalla creatura, Rosalie non mi prestava la minima attenzione. Distratta com’era, non poteva fare in tempo a fermarmi.
Sam aveva ragione. La creatura era un’aberrazione, un’esistenza contronatura. Un demone nero, senz’anima. Qualcosa che non aveva il diritto di vivere.
Qualcosa che andava distrutto.
A quanto pareva, l’attrazione non veniva dall’esterno. La sentivo ancora e m’incoraggiava a farmi avanti. Mi spingeva a farla finita, a purificare il mondo da quell’abominio.
Rosalie avrebbe provato a uccidermi se la creatura fosse morta, ma mi sarei difeso. Non ero sicuro di finirla prima che arrivassero gli altri. Forse sì, forse no. Ma non m’importava.
Non m’importava se i lupi, l’uno o l’altro branco, avrebbero preso posizione, vendicando me o approvando la giustizia dei Cullen. Non m’interessava niente di tutto ciò. L’unica cosa che m’interessava era la mia giustizia. La mia vendetta. La creatura che aveva ucciso Bella non sarebbe vissuta un minuto di più.
Se Bella fosse sopravvissuta, mi avrebbe odiato a morte. Avrebbe desiderato uccidermi con le sue mani.
Ma non m’importava. Come a lei non importava ciò che aveva fatto a me, lasciandosi trucidare come un animale. Perché mai avrei dovuto prendere in considerazione i suoi sentimenti?
E poi c’era Edward. In quel momento doveva essere troppo occupato, troppo rapito dal suo insano proposito, cercare di rianimare un cadavere, per ascoltare i miei piani.
Perciò non potevo mantenere la promessa che gli avevo fatto, a meno che, ma non ci avrei scommesso, non avessi vinto contro Rosalie, Jasper e Alice, in uno scontro tre a uno. Però, se anche avessi vinto, non so se me la sarei sentita di uccidere Edward.
Non provavo abbastanza compassione per farlo. Perché mai permettergli di liberarsi la coscienza da ciò che aveva fatto? Non sarebbe stato più giusto, più appagante, lasciarlo vivere senza niente, senza più niente?
Immaginarlo mi fece persino sorridere, pieno d’odio com’ero. Senza Bella. Senza la figlia assassina. E senza i membri della famiglia che sarei riuscito a far fuori. Non avrei perso tempo a bruciarli, perciò poteva rimetterli assieme. A differenza di Bella, che non sarebbe mai più tornata intera.
Chissà se anche la creatura era capace di ricomporsi. Ne dubitavo. In parte era come Bella e doveva aver ereditato qualcosa della sua vulnerabilità. Lo capivo dal piccolo, martellante battito del suo cuore.
Il cuore della cosa batteva. Quello di Bella non più.
Avevo impiegato un solo secondo per prendere queste semplici decisioni.
Il tremore si faceva più intenso e veloce. Mi rannicchiai, pronto a lanciarmi sulla vampira bionda e a strapparle di mano con i denti l’assassina.
Rosalie fece un risolino alla creatura, mise da parte quella specie di bottiglia metallica vuota e sollevò il mostro in aria per accarezzarle la guancia con il viso.
Perfetta. Quella posizione era perfetta per il mio attacco. Mi sporsi in avanti e sentii il calore che iniziava a trasformarmi mentre il richiamo verso l’assassina cresceva. Era più forte di quanto avessi mai sentito, così forte che mi ricordò un ordine alfa, qualcosa che mi avrebbe annullato se non avessi obbedito.
Ma stavolta volevo obbedire.
L’assassina mi osservò da dietro la spalla di Rosalie, con lo sguardo più concentrato che una creatura appena nata avesse mai avuto.
Occhi caldi e marroni, il colore del cioccolato al latte. Esattamente lo stesso degli occhi di Bella.
Il mio tremore si fermò all’improvviso e fui invaso da un calore più intenso, nuovo. Che non bruciava.
Splendeva.
Tutto si sciolse dentro di me e rimasi immobile davanti al visetto di porcellana della bambina, metà vampira, metà umana. Tutti i lacci che mi stringevano alla vita si spezzarono in un attimo, come lo spago di un grappolo di palloncini. Tutto ciò che mi rendeva ciò che ero — l’amore per la ragazza morta al piano di sopra, l’amore per mio padre, la fedeltà al mio nuovo branco, l’affetto per gli altri miei fratelli, l’odio per i miei nemici, per la mia casa, per il mio nome, per me stesso — si staccò da me in quell’istante — zac, zac, zac — e fluttuò nello spazio.
Ma non andai alla deriva. Un nuovo laccio mi tratteneva dov’ero.
Non uno: un milione. Non di corda, ma d’acciaio. Un milione di cavi d’acciaio che mi legavano a una cosa sola; al centro esatto dell’universo.
Finalmente capii che l’universo ruotava attorno a quel punto. Non avevo mai colto la simmetria dell’universo, che adesso mi era chiara.
Ora non era più la forza di gravità a imbrigliarmi.
Era la bambina fra le braccia della vampira bionda.
Renesmee.
Dal piano di sopra, un rumore nuovo. L’unico che potesse toccarmi in quell’istante infinito.
Un palpitare frenetico, un battito accelerato... Un cuore in trasformazione.