tempo?"

Sorride annuendo. "Sì, ma come si fa?"

"È facile. Ogni minuto e mezzo gridi 'Stop!'."

"Ho capito." Guarda l'orologio aspettando di dare il via. Intanto

saltello sul posto. E scaldo le braccia. Mi viene in mente una

cosa. Antonella, quella bassa, alla fine di ogni minuto e mezzo

potrebbe

entrare con un cartello con scritto il numero di round e

sculettare

intorno alla sala dell'aerobica come nei migliori film americani.

Ma qui non siamo in America. E neanche in un film. Siamo

in palestra. Anche il Negro comincia a saltellare, dà di continuo

dei

colpetti tra i suoi guantoni, fissandomi. Alice alza il viso

dall'orologio.

Incrocia il mio sguardo. È leggermente preoccupata. In qualche

modo si sente responsabile. Ma poi decide che non può più

aspettare. E quasi lo urla quel: "Via!".

Il Negro mi viene subito incontro. Sorrido fra me. L'unica cosa

che non ho mai smesso di fare in America in questi due anni è

stata proprio andare in palestra. Per essere precisi, fare boxe.

Solo

che lì sono dei veri uomini di colore e sono tutti veloci e

potenti.

È stato duro tenergli testa. Durissimo. Ma l'avevo presa a cuore.

E non è andata troppo male. Ma che sto facendo? Mi sto

distraendo...

Appena in tempo. Il Negro mi sferra due pugni potenti

al viso. Schivo destro e sinistro. E mi abbasso al suo tentativo

di

gancio. Poi respiro e saltello allontanandomi. Schivo altri due

colpi

e comincio a saltellargli intorno. Il Negro fa una bella finta di

corpo e mi colpisce basso in pieno stomaco. Ho un sussulto, mi

piego in due. Cazzo, mi manca l'aria. Faccio una specie di rantolo

e vedo girare intorno a me la stanza. Sì, mi ha preso proprio

bene.

Faccio appena in tempo ad alzarmi che vedo calare da destra il suo

guantone. Lo schivo d'istinto. Ma mi colpisce di striscio

spaccandomi

il labbro inferiore. Cazzo. Cazzo. Non ci voleva. Che figlio di

mignotta. Lo guardo. Mi sorride.

"Allora, come va, mitico Step?"

Fa sul serio lo stronzo. Mi metto a saltellare: "Ora meglio,

grazie".

Sto recuperando. Tutto torna lucido. Gli giro intorno. Alla

finestra

della sala si è accalcata un po' di gente. Riconosco Alice e la

sua amica Antonella, Alessio, il Velista e qualcun altro. Smetto

di

guardare e torno concentrato su di lui. Ora tocca a me. Mi fermo.

Il Negro saltella e viene in avanti, affonda con un sinistro e

carica

il destro. Lo lascio passare schivando a destra e poi colpisco

forte

con il sinistro proprio sopra il sopracciglio. Rientro e con tutta

la

mia forza lo colpisco con il destro in pieno viso. Sento il naso

scricchiolare

sotto il guantone. Non fa in tempo a indietreggiare che lo

colpisco due volte all'occhio sinistro, il primo lo para bene, poi

abbassa

la guardia e il secondo gli arriva dritto come un bolide.

Indietreggia

e scuote la testa. Riapre gli occhi giusto in tempo per vedere

il mio gancio che arriva. Gli spacco il sopracciglio destro. Il

sangue gli cola giù subito sulla guancia come se piangesse lacrime

rossastre. Prova a coprirsi con i guantoni. Gli do un uppercut in

pieno stomaco. Si piega in due e lascia andare giù i guantoni.

Errore.

Vedi... Errore. L'ho visto fare in America una volta e mi viene

istintivo rifarlo. "Ehi, Negro e a te, eh, ora come va?" Non

aspetto

la sua risposta. La so già. Carico il destro e lo faccio

esplodere.

Dal basso verso l'alto, sul suo mento, da sotto. Il Negro salta

quasi

all'indietro, preso in pieno dal colpo. Vola via che è una

meraviglia.

Finisce sopra gli step rosa e lilla e li rovescia per terra. Poi

si

accascia con la faccia sullo specchio e scivola lento lasciando

una

leggera scia. Alla fine arriva a terra, sul linoleum beige, che

subito

si copre di sangue.

Guardo Alice: "Allora, quanto manca?".

Alice guarda l'orologio. Mancano pochi secondi.

"Stop. È finito adesso."

"Hai visto, che ti avevo detto? Non durava molto."

Esco dalla sala di aerobica. Il Velista si precipita dentro per

vedere

come sta il Negro.

"Non ti preoccupare. Ho già guardato, respira."

Il Velista si tranquillizza: "Mazza Step, l'hai sfonnato".

"Lui ci teneva tanto a fare un incontro serio... e l'ha fatto."

Vado davanti allo specchio. Mi guardo il labbro. È spaccato e

già gonfio. Il sopracciglio invece è a posto. Alice mi si

avvicina.

"Se fosse stato un vero incontro di boxe e avessi puntato tutti

i miei soldi avrei perso. "

"Che c'entra, in quel caso ci mettevamo d'accordo e io mi buttavo

giù alla prima ripresa."

Alessio mi si avvicina: "Io invece i miei soldi li avrei vinti

tutti.

Aho, non so perché, ma me lo sentivo che vincevi tu".

"Come non so perché." Lo vedo di nuovo in difficoltà, vorrebbe

dire qualcosa ma non sa bene cosa. Lo aiuto.

"Dai, toglimi i guanti, va'..."

"Tieni. Ti ho preso un po' di ghiaccio per il labbro."

È Alice. Mi si avvicina con un fazzoletto di carta con dentro

alcuni

cubetti.

"Grazie, di' alla tua amica di prendere un po' d'acqua fredda

da mettere sulla faccia del Negro, gli farà bene."

"Lo sta già facendo."

Alice mi guarda con un sorriso strano. Mi affaccio. Antonella

è nella sala dell'aerobica che aiuta il Velista a mettere impacchi

sulla

faccia del Negro. Trucco o miracoli, se tutto va bene la ragazza

la spunta. Il Velista o il Negro. Non so con chi capita peggio.

Uno

magari non paga, l'altro invece la violenta. Ma non sono affari

miei.

Allora mi siedo sulla panca. Mi metto il fazzoletto sul labbro.

Vedo

Alice che mi guarda. Vorrebbe dire qualcosa anche lei. E anche

lei non sa bene cosa. Non gliene do il tempo. Non ne ho voglia.

Non adesso almeno. "Scusa, ma vado a fare la doccia." E così

sparisco

di scena. Li lascio soli. Immagino per un attimo una cena tra

Alessio e Alice, i loro tentativi di fare un po' di conversazione.

La

Fede ci rimarrà male. Ma anche questi non sono affari miei. Poi,

senza pensieri, mi infilo sotto la doccia.

Capitolo 16.

Chi non ha visto Vanni, non può capire. Forse anche chi l'ha

visto. Fermo la moto lì davanti e scendo. È una specie di casba di

persone colorate. Una donna dalle labbra pronunciate, quasi quanto

il suo seno, parla con uno stempiato dal riporto totale. Ha una

gonna corta, la donna, e due gambe perfette che si spengono più

in su tra le sue bocce, anch'esse rifatte. Naturalmente ride al

racconto

del "riportato", poi risponde a un telefonino dove sicuramente

mentirà. Il riportato si finge distratto, si infila tutte e due le

mani nelle tasche di una giacca di un gessato scolorito. Trova una

sigaretta e l'accende. Dà un tiro fingendosi soddisfatto, ma i

suoi

occhi fissano in continuazione il seno della donna. Lei gli

sorride.

Chissà, magari riuscirà a fumarsi pure lei. Poco più in là il

caos.

Tutti parlano, qualcuno chiede un frozen yogurt, ragazzi seduti

sul

motorino preparano la serata. Qualche Maserati passa lì davanti

cercando posto. Una Mercedes opta per la doppia fila. Tutti si

salutano,

tutti si conoscono. C'è Gepy seduto su un SH 50, capelli

cortissimi, bracciale tatuato al braccio, stile maori, e il segno

sbiadito

di un altro, fatto tanto tempo prima sulle nocche della mano


destra. Si legge ancora la parola. "Male." Forse spera che così i

cazzotti

che tira siano più efficaci. Sorriso inesistente come sempre. Si

guarda intorno senza cercare niente di preciso. Ha una felpa

sdrucita,

tagliata alta per mettere più in risalto un 48,50 al massimo, di

un braccio male allenato, troppo poco definito. Mi guarda

distratto

e non mi riconosce. Meglio così. Io devo incontrare il potere e

lui non fa parte di questo giro. Il potere poi. Almeno questo mi

immagino

dalla descrizione che ne ha fatto mio padre. Ha parlato di

un uomo coltissimo, alto, elegante, magro, sempre perfettamente

vestito, con i capelli lunghi, gli occhi scuri, una cravatta

Regimental

e almeno una punta del colletto slacciata. Mio padre ha insistito

su questo punto. "Il colletto slacciato ha un vero significato,

Step,

ma mai nessuno è riuscito a capirlo."

Immagino che nessuno glielo abbia neanche mai chiesto. Mi

guardo intorno. Non c'è nessuno che corrisponde al "potere".

Guardando

meglio non c'è proprio neanche nessuno di magro. Gepy.

Be', in effetti Gepy un po' magro lo è. E che gli manca tutto il

resto.

È sempre lì, seduto sull'SH 50. Passa una zingara grassa sui

cinquanta.

Gepy è distratto, la zingara gli strappa di dosso la sua mano

e gliela prende tra le sue.

"1 euro per il tuo futuro. Ti porterà bene."

"Aho, ma che voi? Ma chi ti ha chiesto niente. Ma che, sei

scema?"

"Fidati di me, fatti leggere la mano, signore."

La zingara comincia a toccare la mano di Gepy con il dito come

per leggerla. "Allora, ecco vedo la sorte positiva..."

Gepy si spaventa e fa per ritrarla.

"Ma vaffanculo! Non lo voglio sapere il mio futuro."

Ma la zingara insiste e la trattiene.

"Fammi vedere bene, solo 1 euro te l'ho detto."

"Aho, ma hai finito o no? Mi stai rompendo i coglioni e molla! "

Ma la zingara insiste. Ci tiene a parlargli del suo futuro. Mica

per niente, per soldi! Diventa quasi una lotta ridicola. Poi Gepy

prende e le sputa in faccia e comincia a ridere. La zingara alza

un

pezzo della gonna mostrando dei gambaletti marroni e si pulisce il

viso. Una striatura più chiara compare sulla sua guancia mentre le

labbra scure cominciano a vomitare disgrazie. "Maledetto! Vedrai

che cosa..."

"Cosa? Che vuoi dire, eh? Cosa? Sentiamo cosa, mo' ti do un

calcio..." Gepy scende veloce dall'SH 50 per darle un calcio, ma

la

zingara si allontana. Qualcuno guarda la scena. Poi tutti fanno di

nuovo finta di niente e ricominciano a parlare tra loro. Quello è

stato solo un aneddoto divertente da raccontare a qualche cena o

da usare per chissà quale altro motivo. Una cosa è sicura. Gepy

non

è certo l'uomo che cerco. Poi lo vedo. Eccolo là. Sembra quasi

estraneo

a quello che accade lì intorno. Seduto da solo a un tavolino

sorseggia

qualcosa di chiaro, lì dove galleggia un'oliva. Ha i capelli

lunghi come da descrizione, il vestito di lino blu scuro, una

camicia

bianca, dalla stiratura impeccabile. Una cravatta leggera a

strisce

blu e nere scivola morbida lungo il petto fino ad adagiarsi oltre

la cinta, lì tra le gambe incrociate. Poco più in giù dal risvolto

dei pantaloni spuntano delle Top-Sider, né troppo nuove, né troppo

vecchie, consumate quanto basta per essere in linea con la cinta

dei pantaloni. Se ancora mi fosse rimasto qualche leggero dubbio,

quel colletto di camicia, solo da una parte slacciato, li cancella

tutti. È lui. "Salve."

Si alza in piedi. Sembra felice di vedermi: "Oh, buongiorno, lei

è Stefano?". Ci diamo la mano.

"Suo padre mi ha parlato benissimo di lei."

"Che altro poteva fare."

Ride. "Mi scusi." Gli suona il telefonino: "Ciao. Certo non ti

preoccupare. Ho già detto tutto. Ho già fatto tutto. È tutto a

posto.

Vedrai che firmano".

Uomo di potere, ama la parola "tutto".

"Ora scusami che sono in riunione. Sì, ciao. Ma certo. Ma certo

mi fa piacere, te l'ho detto..."

Chiude il telefonino. "Un rompicoglioni." Sorride.

"Mi scusi, eh? Allora mi diceva?"

Riprendo a parlare e racconto del corso che ho fatto a New

York.

"Quindi grafica in 3D."

"Sì."

"Perfetto." Annuisce compiaciuto. Sembra conoscere perfettamente

la materia. Risquilla il telefonino. "Mi scusi, ma oggi è proprio

una giornataccia."

Annuisco, fingendo di capirlo. Immagino che per lui sia sempre

così. Mi ricordo che anch'io ho un telefonino. Stupidamente

quasi arrossisco. Lo tiro fuori dal giubbotto e lo spengo. Se ne

accorge.

O forse no.

Finisce la telefonata: "Bene, lo spengo anch'io, così possiamo

chiacchierare tranquilli".

Se n'era accorto.

"Allora, farai da assistente al grafico di ruolo. Si chiama

Marcantonio

Mazzocca. È bravissimo. Lo conoscerai tra poco, sta venendo

qui, era lui poco fa al telefonino."

Spero non fosse quello della prima telefonata, ha chiuso il

telefono

chiamandolo "rompicoglioni".

"Pensa che è un nobile, ha sconfinate colline di vigneti su al

Nord. A Verona, cioè, il padre ce l'ha. Poi ha iniziato a

dipingere,

a fare quadri. È venuto giù a Roma e ha cominciato a girare per

locali

e a fare, sai, i biglietti di invito per le varie feste e altri

lavoretti

del genere? Poi pian piano si è specializzato nella computer

grafie

e alla fine l'ho preso io." Lo ascolto. Certo, per citare, un

grande

film, Nella morsa del ragno, "Uno fa ciò che è". Ma decido di

non dirlo. Prima voglio conoscerlo, questo Mazzocca. Beve un sorso

di aperitivo. Saluta qualcuno che si trova a passare di là. Poi si

asciuga con un tovagliolo di carta. Sorride. È fiero del suo

potere,

delle sue decisioni, di avere preso un nobile semplicemente per

fare

il grafico nelle sue produzioni televisive.

"Allora, spero che ti troverai bene con lui. Certo è un po'

rompicoglioni..."

Era quello della prima telefonata.

"...Ma è precisissimo nel suo lavoro e poi..."

Non fa in tempo a finire la frase. "Step, ma sei tu?" Alzo lo

sguardo. Questa non ci voleva. Gepy è di fronte a me con la faccia

da ebete, sorridente, le braccia aperte sollevate in alto. Sembra

un

predicatore un po' idiota se non fosse per i pelacci che gli

escono

fuori da quella felpa tagliata male e i suoi capelli corti.

"Non ci posso credere, sei tu! " Sbatte il palmo delle mani uno

contro l'altro con forza eccessiva. "Sei proprio te. Ma dove cazzo

eri finito?"

"Ciao Gepy, come stai?"

"Sto benissimo e non sai come sono felice di vederti. Ma che

ci fai qui tutto agghindato. Aho, non riesco a crederci. Step è di

nuovo su piazza!"

Vorrebbe urlarlo a qualcuno, si guarda in giro, ma non capisce

che il suo show non è destinato proprio a nessuno. Se non a

me. Il signor Romani poi... Non credo proprio che appartenga al

suo target.

"Scusami Gepy, ma stiamo parlando." Guardo il signor Romani

cercando, non so perché, il suo appoggio. Mi sorride divertito e

fa

una faccia come a dire non ti preoccupare, sono cose che

succedono,

non sai quanti me ne capitano a me di coglioni come questo.

Almeno questo è quello che mi fa piacere leggere.

"Aho Step, ancora mi ricordo quando hai sfondato il Mancino.

Eravamo su da Giovanni, il gelataio, ti ricordi, eh? Quello stava

lì che faceva il capo, poi sei arrivato tu. Non hai fatto in tempo

a scendere dalla moto, oh, manco l'hai visto, che quello ti è

partito.

Hai preso una sveglia, mamma santa. Il Mancino credeva che

eri finito, invece..."

Gepy ride sguaiato.

"Bum, l'hai preso con un calcio in pancia e non gli hai dato

tempo. Bum, bum, bum, che serie impressionante al viso."

Gepy saltella lì davanti tirando cazzotti nell'aria. "Bum, bum,

bum, me lo ricordo come fosse ieri. Una carneficina, l'hai

sdraiato.

E quella volta al benzinaio di corso Francia, da Beppe. Quando

sono arrivati quei due bori sulla Renault 4, che poi mi hanno

detto pure che erano amici del Mancino, che t'hanno circondato..."

"Gepy, scusa, te lo ripeto, stavo parlando con il signore."

"Ma no, non ti preoccupare."

Romani sorseggia l'aperitivo, sembra sinceramente interessato.

"Lascialo parlare."

Gepy mi guarda interrogativo, poi senza aspettare neanche un

minimo cenno riparte tranquillo: "C'avevano pure una catena. Aho,

niente, eh?... ja detto male... Sembra che non sono neanche più

rimasti

amici con il Mancino! Ahhhhh!".

Riprende a ridere ancora più sguaiato di prima.

"Che mito! So' finiti quei tempi, so' passati. Adesso tutti

tranquilli,

tutti a bivaccare come pecore, senza nome, senza regole, senza

onore... Pensa che adesso se ci provi con la donna di uno, quello

non si incazza neanche. Non c'è più religione. "

Quest'ultima specie di discorso tra il nostalgico e l'amaro mi

convince a darci un taglio.

"Senti, magari ci vediamo una di queste sere, eh?! "

"Come no. Tieni, ti lascio il mio numero." Tira fuori un

bigliettino

dalla tasca posteriore dei jeans. Quasi mi rifiuto di guardarlo.

C'è il numero del suo cellulare e dietro la foto di Gepy

perfettamente

stampata in bianco e nero con lui a torso nudo, in finta

posa da culturista o qualcosa del genere. "Forte, no? Me ne so'

fatti fa' duemila," poi serio, "mi servono pure per lavorare, eh!

"

Poi si allontana all'indietro, mettendosi in posa classica.

Pollice,

mignolo, orecchio, bocca.

"Chiamami, Step, che ci facciamo 'sta pizza. Ci conto!"

Annuisco abbozzando un sorriso.

Gepy scuote la testa e si allontana saltellando.

"Mi sembra un tipo simpatico. " Romani mi guarda incerto. Non

è del tutto convinto della sua affermazione.

"Be', a modo suo... È tanto che non lo vedo. A quei tempi era

molto divertente."

"A quei tempi? Sembra che sia passata un'era. Si tratterà di

qualche anno."

La sua domanda rimane nel vuoto. Un'era in fondo è passata.

Romani finisce di bere il suo aperitivo. "Eccolo. Sta arrivando. È

Marcantonio. "

Uno strano incrocio tra Jack Nicholson e John Malkovich cammina

sorridendo verso di noi fumandosi una sigaretta. Stempiato,

con i capelli corti sopra l'orecchio e le basette lunghe che gli

accarezzano

la guancia chiudendosi a virgola. Un bel sorriso, uno sguardo

furbo. Con una schicchera lancia lontano la sigaretta, poi quasi

piroetta su se stesso e si siede sulla sedia libera vicino a noi:

"Allora,

come va? Sono stato un po' rompicoglioni al telefono, eh?".

Non permette a Romani di rispondere.

"Ma è la mia dote principale. Sfinire, lentamente ma sfinire.

La goccia cinese, tac, tac, fino a corrodere anche il metallo più

duro.

È questione di tempo, basta non avere fretta e io non ne ho."

Tira fuori un pacchetto di Chesterfield light azzurre e le poggia

sul tavolino sotto un Bic nero. "Marcantonio Mazzocca, nobile

decaduto

ma in netta ripresa." Gli do la mano: "Stefano Mancini,

credo il tuo assistente".

"Assistente, che termine ignobile hanno coniato per darci dei

ruoli." Romani lo interrompe: "Può essere ignobile quanto ti pare,

ma lui sarà il tuo assistente. Be', ora vi lascio. Spiegagli tutto

e

bene. Perché da lunedì si comincia. Andiamo in onda fra tre

settimane.

E tutto deve essere perfetto!".

"E sarà perfetto, boss! Ho portato un logo per il titolo, se

gentilmente

può controllarlo..." gli allunga una piccola cartellina comparsa

come per miracolo da una tasca interna della sua giacca leggera.

Romani la apre.

Marcantonio lo guarda tranquillo, sicuro del suo lavoro.


Romani è compiaciuto, poi se ne accorge: "Ehm, un po' più

chiaro il logo e poi... Via tutti questi ghirigori, queste frecce

qui...

Tutto più leggero! ".

Romani si allontana con la cartellina sotto il braccio.

"Vuole sempre dire la sua, lo fa sentire più sicuro. E noi stiamo

al gioco."

Si accende un'altra sigaretta. Poi si rilassa, si lascia andare

sulla

sedia e tira fuori dalla tasca un'altra cartellina. La apre. "Et

voilà. "

C'è lo stesso disegno col logo più chiaro e senza le frecce

proprio

come aveva chiesto Romani.

"Hai visto? Già fatto! "

Poi si stira guardandosi in giro. "È fantastico qui, non trovi,

assistente?

Guarda i colori, le donne... guarda quella!"

Indica una bionda dai capelli corti, corpo muscoloso e sicuro.

Sedere alto che si perde sotto una gonna stretta, il naso un po'

troppo

grande a confronto di due labbra che raccontano il peggio

ipotizzandone un piacevole impiego.

"L'ho conosciuta in maniera profonda. Fa parte del giro, sai..."

"Cioè?"

"Il giro... quello del nostro lavoro, donne di immagine" tira una

boccata ridendo. "Hai visto le labbra? Mi ha prosciugato!"

Ne conferma il piacevole impiego. "Cioè? Vuoi dire che sono

tutte così?"

"Non sono tutte così. Sono di più, sono bellissime. Le vedrai,

le vedrai. Sono vere. Sono donne fantastiche, nascoste tra vestiti

colorati, ballerine, vallette, comparse. Ridono, si accendono come

niente, come piccole bombette dalla miccia corta. E dietro quei

seni,

stretti da corpetti impossibili, quei sederi sodi, strozzati da

costumi

minuscoli, ci sono le loro storie. Tristi, allegre, assurde. Sono

ragazze che ancora studiano, che hanno già un figlio e non più

un marito, che non hanno mai studiato, che stanno per sposarsi o

separarsi, che non si sposeranno mai o che ancora sognano di

farlo.

Tutte lì raccolte con un'unica cosa in comune: apparire nella

magica scatola. Apparire..."

"Be', ti piacciono eccome se riesci a raccontarle così. Sembri

un poeta."

"Io sono Marcantonio e vengo dal Nord, oltre Milano, dal Veneto


più ricco. E non ho più un soldo. Mi è rimasto il sangue nobile

e la voglia di amarle tutte, in questo sarò sempre ricco. Le devi

vedere... E le vedrai, giusto?"

"Penso di sì."

"No, è sì. Sei il mio assistente o no? E allora ti divertirai un

mondo!"

Mi dà una pacca sulla spalla alzandosi. "Be', ti saluto."

Prende sigarette e accendino e se li mette in tasca. Poi sorride

e alza il sopracciglio. Va verso la ragazza dai capelli corti

biondi e

le gira intorno. Rimango per un po' a guardarlo. Fa un altro giro

intorno alla ragazza, poi si ferma e si pianta di fronte a lei con

le

mani nelle tasche della giacca. Comincia a parlare, tranquillo,

sicuro,

sorridente. Lei lo ascolta incuriosita, poi comincia a ridere.

Lei scuote la testa. Lui le fa un cenno, lei ci pensa un attimo,

poi

sembra optare per il sì e si incammina per entrare da Vanni.

Marcantonio

mi guarda, sorride e mi fa l'occhiolino. Poi la raggiunge.

Le mette una mano dietro la schiena per "aiutarla" a entrare nel

bar. Lei si lascia guidare e scompaiono dalla mia vista.

Capitolo 17.

Volume al massimo. "What if there was no light, nothing wrong,

nothing right, what if there was no time..." La voce di Chris

Martin dei Coldplay riempie la stanza. Forse per coprire un altro

suono. Quello cupo e continuo che ora sta sentendo dentro come

un pungolo, un richiamo che non smette di tormentarla man mano

che passano le ore.

"Daniela, che sei sorda? Vuoi abbassare per favore? O lo fai

perché anche Fiore dal cancello impari la canzone?"

Per un attimo l'immagine di Fiore che canta in inglese-romanesco

mentre pota le piante la distrae e la fa sorridere. Per un attimo.

Perché poi quel dubbio, il suo dubbio, torna a parlare, a

chiamarla.

Sì, mamma, magari fossi sorda, magari non sentissi più quella

voce che continua a dirmi l'unica verità che non voglio sentire.

Anzi, è meglio alzare un altro po', è meglio cantare con Chris

quelle

parole che ora sembrano così vere, così adatte... Daniela inizia a

tradurle mentalmente. Cosa accadrebbe se non ci fosse luce, niente

di sbagliato, niente di giusto, cosa accadrebbe se non ci fosse

tempo... Già. Se non ci fosse tempo. Se non ce ne fosse più.

Basta.

Bisogna fare qualcosa, bisogna chiarire una volta per tutte.

"Pronto, Giuli? Ti disturbo? Che fai?"

"Ciao! No tranquilla, anzi ti pensavo!"

"Pensavi a me? Be', credevo fossi messa meglio! "

"Brava eh, vedo che la simpatia dilaga. Vuoi sapere perché?"

"Dimmi."

"Stavo scaricando dal telefonino sul computer le foto che ho

scattato alla festa. Sono fichissime! Sono venute bene anche se

non

c'era tanta luce. Ci sei anche tu mentre balli e fai la scema! "

"Davvero?! Non mi sono accorta che mi fotografavi."

"E ti credo, eri completamente fuori! Ci sei tu con Brandelli,

poi tu con due pazzi scatenati che ti saltavano intorno, poi

ancora

tu che gridi non so cosa a chi... poi basta perché a un certo

punto

sei sparita! Non ti ho vista più! Ma dove cavolo eri, eh? Ora mi

devi

raccontare tutto quello che non ho potuto fotografare!..."

"Già! E stata una festa forte, vero? Mi sono divertita un sacco!

E finalmente ce l'ho fatta! Visto? Chicco è stato proprio carino,

e

tu che ne parli sempre male... Ma a che ora sono sparita di là con

lui?" Giuli non ci fa caso. Perché dovrebbe? La voce di Daniela

sta

tremando un po' mentre lo chiede, nel tentativo di sembrare il più

sicura e naturale possibile. "Sì, insomma, quanto sono stata di là

con lui? Tu eri lucida, c'avrai fatto caso, no?! Dopo quanto tempo

sono tornata da te e siamo andate via?"

"Cavolo, ma davvero non ti ricordi proprio nulla?! L'ecstasy a

te fa proprio uno strano effetto! Con lui non lo so, perché

sinceramente

Brandelli l'ho visto seduto su un divanetto che parlava con

delle tizie, ma tu non c'eri già più. Forse siete spariti prima

insieme.

Da me sei tornata almeno dopo un paio d'ore. Quindi penso

che vi siate divertiti! Dai, mi racconti? Com'era lui? Com'è

stato?

Ti è piaciuto?"

"È stato diverso da come credevo, ma in fondo come fai a

immaginare

per filo e per segno una cosa che non hai mai provato?

Finché non ti ci ritrovi... dai, ti racconto tutto la prossima

volta che

ci vediamo. Tutto... quel poco che mi ricordo! Come faccio ora al

telefono? Lo sai che qui mi sentono. Se passa mamma è la fine.

Anche

se tengo lo stereo alto, quella c'ha le orecchie di un indiano.

Dai, vengo a trovarti presto. Ora devo andare."

"Va bene, scappi sempre sul più bello. Ti aspetto, donna navigata!

Mandami un sms prima, così mi faccio trovare in casa. E chi

se lo perde il racconto della prima volta della piccola Gervasi?!

"

Magari, Giuli, magari fossi scappata sul più bello. Almeno ora

dentro sentirei solo i Coldplay, invece di questo dubbio che non

mi lascia in pace.

"Ok, ciao."

Niente. Il dubbio è ancora lì. Sottile come un velo che nasconde

la verità. Pesante come un macigno che schiaccia la serenità.

"You don't have to be alone, you don't have to be on your

own..." Le tracce scorrono. "A message"... "Non devi essere sola,

non devi startene per conto tuo..." Già, Chris, perché non vieni

qui

tu, a darmi il messaggio che aspetto, la notizia che non so? Il

volume

è sempre alto. Raffaella si è arresa. E Fiore, forse, sta

imparando

l'inglese. Le parole che escono dal lettore continuano a colpire

nel segno. Ma non c'è da stupirsi: l'anima sa sempre scegliersi la

colonna sonora migliore. E le canzoni non arrivano mai a caso.

Come

la verità, del resto.

"Pronto, Chicco? Disturbo?"

"Ciao piccolina, come stai? Forte l'altra sera, eh? Che festa!

Stasera? Vengo a prenderti, ci beviamo un caffè?"

"Be', vediamo, dai! Sì, davvero bella la serata, mi sono divertita

da matti, non credevo! E tu sei stato carinissimo! Davvero

dolce..."

"Ho visto, ti sei sballata di brutto! Carino, dolce, dici? Ma non

ho fatto nulla! Anzi, avrei potuto anche esserlo di più se non

sparivi

come hai fatto! Ti ho persa quasi subito e non ti ho più rivista.

Ma dove sei finita? C'era un bel lento, E... di Vasco. Lo volevo

ballare

con te. Dov'eri? Poi volevo riaccompagnarti a casa, ma a quel


punto tu e Giuli non c'eravate già più! Perché?"

Non è per il lento mancato. E nemmeno per il passaggio perso

a casa che il suo stomaco si chiude e il cuore inizia a battere

più

veloce del normale. È perché Daniela cerca risposte. E invece

arrivano

solo domande.

"Sì, infatti, scusa, volevo dirtelo, Giuli ha chiamato suo

fratello

che ci ha riaccompagnate perché non ti trovavamo più e non

rispondevi

al cellulare! Forse avevi la batteria scarica. Scusa se sono

sparita... ho fatto mille giri, ho ballato, ho riso e così ho

perso la

cognizione del tempo! Va be', dai, ci sentiamo dopo, così

decidiamo

se prenderci quel caffè. "

"D'accordo, piccolina, a dopo allora!"

Piccolina. Magari... Essere ancora come allora, quando giocavo

qui in camera con Babi. Quando non mi dovevo preoccupare

di nulla. Quando trovavo tutte le risposte, perché le domande

erano

più semplici. Mica come questa. Questa è difficile. E pure

assurda.

Così tanto che nemmeno Giuli o Chicco hanno risolto il dubbio.

E loro erano lì. Sì. Lì. Ma non con me, non in quella stanza.

Solo il tempo, ora, mi può aiutare. Dovrò solo aspettare qualche

giorno... solo... pare facile.

Daniela apre l'armadio e si guarda allo specchio. Prova a scorgere

sul suo viso un cenno, un cambiamento, qualcosa che l'aiuti a

capire, che le dia almeno una piccola certezza cui aggrapparsi.

Nulla.

Solo un piccolo brufolo nascosto dalla frangetta, apparso chissà

quando, forse di notte. Troppo poco per essere il segnale di una

verità profonda che viene a galla. Sarà la cioccolata che ho

mangiato

ieri. E poi una sensazione diffusa, che non sa definire, qualcosa

che l'avvolge dal basso.

Ultima traccia del ed. "How do you see the world?" Un'altra

domanda. E neppure a questa è facile rispondere.

Capitolo 18.

"Com'è andato l'incontro?"

Non faccio in tempo a entrare che Paolo mi assale con la sua

curiosità.

"Credo bene."

"Che vuol dire, credo bene?"

"Vuol dire che penso che sia andato bene, che forse ho fatto

una buona impressione."

"Cioè?"

"Comincio la settimana prossima! "

"Perfetto, e vai! Dobbiamo festeggiare. Ti preparo una cena

favolosa.

Sono diventato un drago in cucina. Sai che mentre non c'eri

ho fatto un corso da Costantini..."

"Stasera non posso."

"Come mai?"

"Esco con amici."

"O esci con Eva?"

Mi guarda malizioso come se io potessi avere qualche ragione

per mentirgli. Mi fa ridere. "Ho detto con degli amici. Fai

proprio

come mamma."

"A proposito è passata, ti voleva salutare."

Sono in camera e non ho voglia di ascoltarlo. Almeno non su

questo. Ma Paolo naturalmente non ne vuol sapere e mi urla da

lontano."Ma mi senti? Sto parlando con te."

"E certo, con chi sennò? Siamo noi due in casa."

Che tipo. Compare sulla porta.

"Guarda qui." Ha un sacchetto trasparente in mano. Mi guarda

sorpreso: "Ma come, non li riconosci? I morselletti! Te li

ricordi?

Sono quei biscotti che ha sempre fatto mamma con il miele e

le nocciole. Dai, come fai a non ricordarteli? ! Ce li metteva

sempre

sul termosifone per ammorbidirli e noi lì a mangiarli come pazzi

quando ci dava il permesso di vedere il film del lunedì sera". Ne

tira fuori uno: "E dai, non ci credo che non te li ricordi".

Gli passo davanti urtandolo.

"Sì, me li ricordo, ma ora non mi vanno. Sto andando a cena."

Paolo è dispiaciuto. Rimane lì con il morselletto in mano a

guardarmi

mentre mi infilo il giubbotto e prendo le chiavi.

"Dai, me ne mangio qualcuno domani mentre faccio colazione,

va bene?"

"Ok, come vuoi."

Paolo mi guarda uscire, poi sposta la sua attenzione sul

morselletto

e prova a morderlo: "Ahia, è duro...".

"Mettili un po' in forno."

Sono in ascensore e mi chiudo il giubbotto. Che palle. Mi passo

la mano nei capelli corti e li muovo un po', per quel poco che si

può fare. I morselletti sono i biscotti più buoni del mondo, non

troppo dolci, difficili da masticare all'inizio ma poi... Sembrano

come

una gomma, leggermente più duri, prendono sapore e ogni tanto

incontri qualche nocciola.

Mamma. Mi ritorna in mente lì in cucina. "Mischiare il miele

dentro la pentola, girare, rigirare e ogni tanto assaggiare..."

Portava

appena la punta di un lungo cucchiaio di legno alla bocca, poi

alzava gli occhi verso l'alto socchiudendoli per concentrarsi

meglio

sul sapore. "Qui ci vuole un altro po' di zucchero. Tu che ne

dici?"

E mi invitava così a far parte del gioco, assaggiare con il

cucchiaio

di legno. Io annuivo. Sempre d'accordo con lei, con mamma. La

mia mamma. Allora lei canticchiava: "E la pillola va giù, la

pillola

va giù". Apriva il coperchio rosso del barattolo dello zucchero e

giocando con il polso ne faceva scivolare un po' nella pentola.

Quanto

bastava, almeno secondo lei. Poi richiudeva il coperchio del

barattolo,

lo posava, si strusciava le mani sul grembiule a fiori e veniva

lì vicino a me a vedere come andava: "Se finisci presto di

studiare

ti do un morselletto in più di Paolo... tanto lui non lo sa". E

ridevamo insieme e lei mi baciava dietro il collo mentre io tiravo

su le spalle, stringendole per il brivido...


Che palle! Com'è difficile dimenticare le cose belle.

Corro via veloce con la moto. Il vento è piacevole e caldo in

questa serata di settembre. Ci sono poche macchine. Imbocco corso

Francia giù da Vigna Stelluti e arrivo fino al semaforo, poi giro

e prendo la Flaminia. Accelero dando gas. Il semaforo in fondo è

verde, accelero ancora di più prima che cambi colore. Fa più

freddo

qui, ho un brivido. È il verde ai bordi della strada. Tra le

colline

più alte, con qualche grotta nascosta e alti alberi che nascondono

ogni tanto la luna. La moto rallenta da sola. Sto entrando in

riserva.

Strano. Avevo fatto il pieno. Sarà sporco il carburatore. Per

questo consuma più del solito. Do più gas e senza scalare scendo

giù con la mano sulla sinistra del serbatoio fino a trovare la

levetta.

La sposto in basso verso la riserva. Devo fare benzina. Supero

il grande Centro Euclide sulla destra e poco più in là mi appaiono

le luci di un self-service. Mi fermo di fianco al distributore. È

acceso.

Spengo la moto e infilo le chiavi nel tappo del serbatoio. Poi

mi alzo e mi sfilo il portafoglio dalla tasca dei jeans. Sempre

tenendo

la moto tra le gambe, prendo due fogli da 10 euro e li infilo

nella macchinetta. I secondi 10 euro vengono risputati fuori. Li

rinfilo e mentre entrano do un cazzotto sopra il distributore.

Qualche

secondo e una pernacchia meccanica mi avvisa che ha preso

anche quelli. Indietreggio un po' con la moto e faccio per

staccare

la pompa. Cazzo, non è possibile. Non è possibile. C'è un

lucchetto

sul distributore della super. È bloccata. Non è il solito

lucchetto

dei distributori. È più grande. E ha bloccato anche il pulsante

per prendere la ricevuta. È un trucco! Un trucco di qualche

piottaro del cazzo che vuole fare il pieno alla faccia mia. M'ha

fregato

20 euro 'sto piottaro... Cazzo. Cazzo. Cazzo. Non ho tempo.

Devo andare all'appuntamento. Questa non ci voleva proprio. Chiudo

il serbatoio, rinfilo le chiavi nella moto e parto incazzato a

tutto

gas. La pompa di benzina rimane sola nel silenzio della notte.

Qualche macchina sfreccia veloce verso chissà quale magico weekend

o più semplicemente una cena a poco dalle parti di Prima Porta.

Un gatto attraversa la piazza del benzinaio. Improvvisamente si

ferma come se avesse sentito qualche strano rumore. Rimane

immobile

così nella penombra con la testa girata, il collo un po' piegato

e gli occhi socchiusi. È come se cercasse qualcosa. Ma non c'è

niente. Il gatto si rilassa e riprende a camminare per la sua

strada,

diretto chissà dove. Alcune nuvole passano veloci. Un vento

leggero

scopre ogni tanto la luna. Da dietro la casupola del benzinaio

una macchina si mette in moto. Sbuca da lì dietro una Micra blu

scuro con solo i fari di posizione. Avanza lentamente verso la

pompa

di benzina. Posteggia, spegne il motore e scende un tipo non

troppo alto, con un cappello nero in testa un po' da donna e un

giubbotto Levi's scuro. Si guarda intorno. Poi non vedendo

nessuno,

tira fuori dalla tasca la chiave del lucchetto e lo apre. Non fa

in tempo a prendere in mano la pompa che gli sono addosso, lo

scaravento sul cofano della macchina e gli monto sopra. "Col cazzo

che fai benzina coi soldi miei ! " Gli blocco il collo ma si

agita.

Nella colluttazione il cappello gli vola via. Un'ondata di capelli

neri

lunghi si riversa sul cofano blu. Carico il destro per colpirlo in

piena faccia, ma una luna pallida illumina di botto il suo viso.

"Cazzo... Ma sei una donna!"

Cerca di divincolarsi da sotto. La tengo ancora un po' mentre

abbasso il braccio destro: "Una donna, una fottuta donna".

La lascio andare. Si rialza dal cofano e si risistema il

giubbotto.

"Ok, sono una donna e allora? Cazzo c'hai da ridere, vuoi fare

a stecche? Non mi fai mica paura."

Troppo forte questa tipa. La guardo meglio: ha le gambe

divaricate,

un paio di jeans a vita bassa e delle Sneakers Hi-tech. Ha una

T-shirt nera sotto il giubbotto di jeans scuro. Ha stile la tipa.

Raccoglie

il cappello e se lo infila nella tasca dei pantaloni: "Allora?".

"Allora che? Guarda che eri tu che ti stavi fottendo i miei

soldi."

"E allora?"

"Ancora? Allora niente. " Mi infilo nella Micra e le sfilo le

chiavi

dal cruscotto. "Così non facciamo anche un inseguimento." Me

le metto in tasca, poi vado più avanti. Sbuco un attimo dopo con

la moto. Ero tornato fin dietro la siepe del benzinaio a motore

spento.

L'accendo e in un attimo sono davanti a lei. Spengo e apro il

serbatoio.

"Passami la pompa."

"Non ci penso minimamente."

Scuoto la testa, la prendo da solo e faccio benzina. Poi mi viene

un'idea, metto solo 10 euro nel mio serbatoio e mi fermo. Faccio

il

giro della sua Micra con la pompa in mano, apro il tappo e metto i

restanti 10 nella sua macchina. Lei mi guarda, incuriosita. È

bella,

con un'aria un po' da dura. Forse è semplicemente scocciata di

essere

stata beccata. Ha i capelli tutti sfilati in avanti, sembrano

molto

scalati, gli occhi grandi e scuri e un bel sorriso, per quel poco

che si

è potuto vedere. Fa una strana smorfia di curiosità.

"E ora che fai?"

"Ti faccio benzina."

"E perché?"

"Perché andiamo insieme a una cena. " Sposto la moto e la chiudo

dietro la casupola del benzinaio.

"Non se ne parla proprio. Io a una cena con te? Ma io ho altro

da fare... Ho una festa, un rave, un appuntamento con i miei

amici."

Faccio il duro ma mi viene da ridere: "Allora mettiamola così,

tu volevi passare la tua serata con i miei 20 euro, invece sei

molto

più fortunata e la passi con me".

"Ma senti questo.

"Oppure, se ancora non è sufficiente per il tuo fantastico

orgoglio...

diciamo che passi la tua serata con me sennò ti denuncio. È

più semplice così?"

La tipa mi fa un sorrisetto malizioso. "E certo, io monto in

macchina,

anzi per essere più precisi nella mia macchina, con uno

sconosciuto."


"Non sono più uno sconosciuto. Sono uno che stava per essere

mezzo rapinato da te. "

Sbuffa di nuovo.

"Allora vediamolo da quest'altro punto di vista. Io salgo sulla

mia macchina con un possibile mezzo rapinato, ok? E fino a qui ci

siamo. Ma perché non dovrei pensare che tu mi porti chissà dove

e approfitti di me? Dammi un motivo valido."

Rimango in silenzio. Vaffanculo a tutti quelli che le fanno

preoccupare.

Pezzi di merda che ci avete rovinato la piazza, vigliacchi

incapaci di conquistare, inutili esseri di questo splendido mondo.

"Ok... Ok..."

Mi metto a ridere, ma so che ha ragione: "Allora mettiamola

così. Lo vedi questo cellulare?".

Lo tiro fuori dalla tasca.

"Sai con una semplice telefonata quanti 'approfitti' meglio di

te potevo farmi? Quindi stai zitta e sali."

Ecco quando un telefonino diventa utile!

Mi lancia uno sguardo di odio e poi viene verso di me. Mi si

pianta di fronte e allunga un braccio con la mano aperta. Alzo al

volo il braccio. Penso mi voglia dare uno schiaffo. Ho sbagliato.

"Per adesso non ti schiaffeggio. Dammi le chiavi, guido io."

Sorrido, infilandomi nella sua macchina: "Non se ne parla

proprio".


"Ma come puoi pensare che io mi fidi di te?"

"No, come puoi pensare tu che io mi fidi di te? Tu che mi stavi

fregando in partenza ! "

Mi allungo dall'altra parte aprendole la portiera. Le sorrido.

"Ho ragione o no? Forza, monta."

Rimane un po' perplessa, poi sbuffa e sale in macchina con le

braccia conserte e lo sguardo fisso in avanti. Guido per un po' in

silenzio.

"Ehi, si porta bene la tua macchina."

"È compreso nell'affare il fatto che dobbiamo parlare?"

Abbiamo appena superato Saxa Rubra.

"No, ma adesso puoi fare un altro affare. Vedi, io potrei

scaricarti

qui e portarti via la macchina, naturalmente senza 'approfittarne'

come dici tu... Semplicemente con la tua macchina... ma la

mia benzina. Quindi cerca di essere gentile, divertiti, sorridi,

hai

un sorriso così bello."

"Ma se ancora non l'hai visto..."

"Appunto... Che aspetti?"

Sorride apposta, digrignando i denti: "Eccolo qua, sei contento?".

"Molto."

Allungo la mano aperta verso di lei. Si scosta veloce.

"Oh, che fai?"

"Madonna, che mal fidata ! Mi presento no, come le persone

educate,

quelle che non rubano. Io sono Stefano, Step per gli amici."

Mi lascia la mano aperta a mezz'aria nella penombra della

macchina:

"Bene... Ciao Stefano, io invece sono Ginevra, Gin per le

amiche. E per te invece, sempre Ginevra".

"Ginevra, forte... Come facevano a sapere i tuoi che avrebbero

messo al mondo una principessa di questo tipo?"

La guardo tirando su il sopracciglio, poi non ce la faccio più e

scoppio a ridere: "Oddio scusami, mi viene troppo da ridere e non

so perché. Principessa".

Continuo così. La guardo e rido. Mi diverte. Mi sta simpatica.

Forse perché non è bella. La macchina procede veloce. La luce dei

lampioni abbandona e riprende il suo viso. Lo pennella di chiaro,

poi di scuro. E ogni tanto la bacia la luna. Ha gli zigomi alti,

un

mento piccolo. Le sopracciglia leggere, come un punto di fuga,

corrono

via verso i capelli. Ha degli occhi nocciola, intensi, vivaci e

allegri,

malgrado sia molto scocciata. Sì, mi sono proprio sbagliato.

Non è bella. È bellissima.

"Sono stati forti i tuoi genitori. Ottima la scelta del nome:

principessa

Ginevra..."

Mi guarda in silenzio.

"Stefano, i miei genitori non ci sono più. Sono morti."

Mi si gela il sangue. Il peggior cazzotto possibile, in piena

faccia,

allo stomaco, sui denti. Cambio espressione.


"Scusami."

Rimaniamo così per un po' in silenzio. La macchina corre veloce.

Guardo dritto la strada cercando di far perdere tra quelle

veloci strisce bianche il mio stupido errore. La sento sospirare,

forse sta piangendo. Non ce la faccio a voltarmi, ma devo. Devo...

La vedo lì in un angolo che mi guarda. Tutta rattrappita contro

il finestrino. È seduta di sbieco. Poi, all'improvviso, scoppia

a ridere come una pazza: "Oddio, non ce la faccio più, ti ho detto

una cazzata! Uno pari va bene? Tregua". E al volo infila un ed

nello stereo.

"Hai cercato la guerra, e io te l'ho data. Rimasto male, eh? Fai

tanto il duro ma sotto, sotto... sei un sensibilone. Piccolo

lui..."

Ginevra ride e si muove andando a tempo coi Red Hot Chilli

Peppers.

"Allora dove andiamo a mangiare di bello?" Adesso è molto

più tranquilla, padrona della situazione. Rimango in silenzio.

Cazzo,

mi ha fottuto. Bel colpo, ma da stronza. Come si può scherzare

su una cosa del genere? Continuo a guidare guardando dritto.

Con la coda dell'occhio la vedo ballare. Tiene il ritmo

perfettamente,

balla divertita su Scar Tissue. Si agita muovendo i capelli.

Ride ogni tanto mordendosi il labbro inferiore.

"Dai, mica te la sarai presa?"

Mi guarda.

"Ma scusa. Sei alla guida della mia macchina. Certo, con la tua

benzina, lo dico io prima che lo ridici tu. Porti una ragazza a

cena

con i tuoi amici, giusto? O qualcosa del genere... Insomma non hai

nessun motivo per prendertela, o no? L'hai detto tu...

Divertiti...

Sorridi! ! ! E io l'ho fatto. Perché allora adesso non lo fai

anche tu?"

Continuo a non parlare.

"Capirai. La tira lunga. Ha messo il muso. Preferivi che fossero

morti sul serio? Va be', allora proviamo a fare un po' di

conversation...

I tuoi come stanno?"

"Benissimo, sono separati."

"Capirai! Copione. Mamma mia, quanto sei scontato. Ma non

riesci a inventarti qualcosa di meglio?"

"Ma che ci posso fare se è così. Guarda che sei forte. Vedi, è

colpa tua, hai tolto la credibilità ai nostri dialoghi."

"Non stai dicendo sul serio..."

"Ti ho detto di sì."

Rimane anche lei per un po' in silenzio. Mi guarda con la faccia

perplessa. Mi studia quasi di traverso.

"Non è vero."

"Ma ti ho detto di sì."

Non è ancora del tutto convinta di quello che le ho detto. Mentre

guido mi volto a guardarla. Rimaniamo per un attimo così, a

fissarci

negli occhi. È una specie di gara. Poi lei abbassa per prima lo

sguardo. Sembra arrossire. Ma c'è troppa penombra per decidere

se è vero o no.

"Ehi guarda avanti, guarda la strada. La benzina è tua, ma la

macchina è mia, giusto? Quindi non me la sfasciare."

Sorrido senza farmene accorgere.

"Mi hai detto una cazzata, vero? Non sono separati."

"Come no, da diversi anni ormai."

"Be', se è vero mi dispiace. Comunque ho letto da qualche parte

che sono più del sessanta per cento i separati con figli grandi.

Quindi..."

"Quindi?"

"È un dato che non puoi usare per fare la vittima."

"Ma chi vuole fare la vittima. Ma senti questa..."

Vorrei raccontare tutta la storia, forse perché non sa niente di

me o perché mi dà fiducia, oppure per qualche altro motivo che

non so. Ma non lo faccio, qualcosa mi frena.

"A cosa stai pensando? Ai tuoi?"

"No, pensavo a te."

"E a cosa pensavi se neanche mi conosci."

"Pensavo a quanto è bello quando non conosci qualcuno, ma

ce l'hai lì accanto, a quanti problemi non hai, come te la puoi

immaginare,

giochi di fantasia, vai dove vuoi. "

"E dove sei arrivato?"

Lascio apposta una pausa.

"Lontano."

Anche se non è vero, però mi diverte dirglielo.

"Anzi ci ho ripensato, mi sa che hai ragione tu."

"Cioè?"

"Ne'approfitto'."

"Idiota. Quanto sei cretino. Mi vuoi far preoccupare, vero? Ma

non ce la puoi fare, mi dispiace. Sono terzo dan. Sai cosa vuol

dire

terzo dan o neanche lo sai? Be', te lo spiego al volo."

Parla a raffica e io l'ascolto divertito.

"Vuol dire che non fai in tempo a mettermi una mano addosso

che io già t'ho rovinato, hai capito? Terzo dan, di karate. E ho

fatto anche kick boxing. Prova ad allungare una mano e sei finito.

Finito."

"Meno male. Allora sono al sicuro."

Non faccio in tempo a finire la frase che il volante mi scappa di

mano. La Micra sbanda paurosamente. Controsterzo al volo e levo

il piede dal gas. Ginevra mi finisce addosso. Porto la macchina

dolcemente

verso destra mentre lei si tira su. Si è spaventata. Mi colpisce

forte con un pugno sulla spalla, sempre nello stesso punto.

"Deficiente, mi hai fatto paura! Cretino! "

Rido. " Ahia, ferma, stai buona. Guarda che io non c'entro niente.

Mi sa che abbiamo bucato."

"Ma che stai a dire! L'hai fatto apposta! "

"Ti dico di no."

Scendo dalla macchina e mi abbasso davanti al cofano per guardare

le ruote.

"Ecco qua, hai visto?"

Scende anche lei e vede la gomma bucata.

"E ora?"

"E ora spero che hai la gomma di scorta."

"Certo che ce l'ho."

Brava!

Rimaniamo così per un po' a guardarci.

"Be'?"

"Be' cosa? Vai e prendila, no?"

"Ma scusa, stavi guidando tu. Quindi la colpa è tua."

"Forse... Ma la macchina è tua. E quindi la ruota la cambi tu."

Ginevra sbuffa e va verso il cofano del motore.

"È in quello dietro! "

"Stavo controllando che non si fosse rotto niente." Mente.

"Certo... Certo... Come no."

Apre il bagagliaio e solleva il cartone sotto il quale c'è la

ruota.

"Ma come si sfila?"

"La vedi quella vite in alto grande? Svitala e poi tira la ruota

verso di te. "

Segue tutte le mie istruzioni, la ruota è libera. Prova a tirarla

fuori, ma a metà la ruota le ricade dentro il bagagliaio

rimbalzando.

Non ce la fa.

"Scusa, ma perché non mi aiuti?"

"Che c'entra. Io è come se non ci fossi. Hai detto tu che non

ero previsto nella tua serata, no? Per non parlare dei discorsi

sulla

parità, e poi c'è una cosa ancora più importante."

Mi si mette di fronte con le mani sui fianchi. "Sentiamo. Cosa?"

"Hai detto che sei terzo dan, giusto? Pensa se perdi con una

ruota... Ah, ah..."

Mi guarda incazzata nera. Quasi si tuffa dentro il bagagliaio,

abbraccia

la ruota e inarca la schiena all'indietro. Fa un grande sforzo,

vado veloce verso di lei, per aiutarla, ma ce la fa prima che

arrivi.

"Ce l'ho fatta, cosa credi." Poi, passando, mi spinge apposta di

lato con la spalla.

"E levati! Non stare in mezzo che intralci e basta."

Rotola la ruota tenendola dritta, quasi me la manda addosso.

"Allora ti vuoi togliere o no?"

"Come no, anzi vado a sedermi lì sotto l'albero, a fumarmi una

bella sigaretta. Ehi, non ci mettere troppo però, eh? ! ! "

Ecco, vai, va.

Capitolo 19.

Mi siedo al bordo della strada, sopra un muretto e mi accendo

una sigaretta. Rimango così, nascosto nel buio a guardarla. Poi le

urlo da lontano:

"Brava, brava, stai andando benissimo".

Si infila sotto la macchina per piazzare il cric. È inginocchiata,

poggia le mani a terra tenendo sollevate le dita e guarda dove

deve

infilare il cric. Il sedere stretto dai jeans spunta come una

piccola collina

lì sull'asfalto, stagliandosi contro la carrozzeria della

macchina,

come se fosse un cielo blu. Lo agita mentre cerca di trovare il

punto

giusto dove piazzare il puntale del cric. È uno spettacolo.

"Ehi, non sai che panorama si vede da qui. Dovresti vederlo.

La luna, tutta tonda, perfetta. È luna piena, sai?"

Si alza pulendosi le mani. Si strofina un palmo con le dita

leggere

facendo volare via pezzetti di brecciolino incastonati nella pelle

morbida.

"Ma quale luna che non si vede niente."

"Due minuti fa c'era, te lo giuro, una luna tutta jeansata, una

meraviglia. Stava lì che spuntava da sotto la tua macchina. "

"Guarda, neanche ti rispondo."

Inizia a caricare il cric pompando su e giù mentre la macchina

oscilla leggermente.

"Avvisami quando hai finito, che magari mi addormento."

Mi lascio scivolare all'indietro sul bordo del muretto. Guardo

le nuvole che passano lì sopra nel cielo scuro. Ormai si mischiano

con il fumo che lascio fuggire dalla bocca. Nitide, trasparenti,

bagnate

di luce nascosta, quella luna più alta, che non si vede ma è lì,

più su, non jeansata. Faccio un bel respiro. Sorrido e mi giro a

guardarla.

E lì che sta svitando i bulloni. Prova con forza a girare la

croce.

Non ce la fa e ci salta sopra con un piede. La croce fissata al

bullone rimbalza e cade a terra. Lei sbuffa, con il bordo della

mano,

per non sporcarsi, si leva i capelli dal viso. Bella e accaldata.

Rinfila la croce nel bullone e ci riprova. Sta arrivando una

macchina.

È scura, passa a media velocità, lampeggia e suona il clacson.

Poi sento una frenata poco più avanti e il rumore di una

retromarcia

accelerata, da boro. È una Toyota Corolla. Torna indietro a tutta

velocità, sbandando leggermente. Fa una mezza curva in

retromarcia.

Poi si ferma davanti alla Micra di Ginevra. Scendono delle

persone. Mi metto a sedere sul muretto. Sono tre ragazzi. Butto

la sigaretta per terra e rimango lì a seguire la scena.

"Ehi, ciao, che fai qui da sola di notte?"

"Hai bucato eh? Che sfiga."

"Che sfiga noi, per un attimo abbiamo pensato che eri una

mignotta."


Si mettono a ridere.

Uno tossisce. Avranno sì e no vent'anni, portano i capelli corti,

devono essere militari.

Ginevra non guarda dalla mia parte.

"Sentite, per favore, mi aiutate a cambiare la gomma?"

"Come no... È un piacere."

Il più piccolo si mette a terra e con la croce inizia a svitare i

bulloni.


"Ammazza come so' arrugginiti."

"Eh, non ho mai cambiato una ruota di questa macchina... È

la prima volta che buco."

"Be', c'è sempre una prima volta."

Uno dei tre ride in maniera sguaiata, gli altri lo seguono.

"Oh, meno male che ti è successo stasera che passavamo noi."

"E già, meno male che ci siete voi." Questa volta Ginevra butta

uno sguardo dalla mia parte e senza farsi vedere fa un gesto con

la mano come a dire: "Tie', hai visto? Questi mi hanno aiutato".

Il piccoletto cambia la gomma che è una scheggia, leva al volo

tutti i bulloni e sposta la gomma bucata. La fa cadere a terra lì

vicino

facendola rimbalzare e ci infila subito quella nuova. Centra i

buchi in un attimo e infila tutti i bulloni. Dà una stretta

generale,

uno per volta senza stringere troppo, poi li ripassa tutti per la

stretta

decisiva. Deve fare il meccanico di giorno. Dà un'ultima botta

con la croce e si tira su.

"Et voilà, ecco fatto. Tutto a posto, signorina! "

Si pulisce le mani sbattendole sui jeans sopra il ginocchio. Sono

talmente sporchi che non lascia impronte.

"Grazie, non avrei saputo come fare senza di voi."

Non c'è niente da fare, penso. E proprio una principessa. La

frase giusta al momento giusto. O sbagliata. Un tentativo come un

altro per liquidarli in maniera simpatica. Ma non avevo dubbi, non

attacca.

"Aho e mo' che fai? Ci mandi via così?"

Il tipo più alto, e anche un po' più grosso degli altri, prende in

mano la situazione.

"Be', vi ho detto grazie. Ci avrei messo più tempo, ma guarda

che me la cambiavo anche da sola la gomma, eh! "

Il tipo guarda gli altri e sorride. Ha un maglione largo sul

bordeaux,

con il collo stretto e una striscia nera sul petto. "Va be', ma

dacci almeno un bacetto."

"Non se ne parla proprio."

"Aho, t'avessi chiesto de facce 'na pippa..."

Ride divertito, sfoderando un sorriso che intristisce perfino me.

Ha dei denti così mangiati che fanno della smorfia del suo viso

una

maschera grottesca.

"E dai, che ti è andata bene col bacetto."

Il tipo prende Ginevra al volo e la tira a sé. Ginevra è

spiazzata.

Lui l'abbraccia in vita e prova a baciarla. Ginevra istintivamente

allontana il viso. Il tipo gli dà una specie di leccata sulla

guancia

e continua cercando di infilarle la lingua in bocca. Ginevra si

divincola.

Il tipo è forte, la stringe deciso. Ginevra prova a colpirlo

tra le gambe con una ginocchiata, ma lui le sta troppo addosso.

Non ci riesce. Il piccoletto, quello che ha cambiato la ruota sta

zitto,

guarda la scena in silenzio. Anzi, sembra leggermente infastidito.

L'altro, quello cicciotto, ride in un angolo, tutto preso, quasi

eccitato,

fa il tifo per l'amico.

"Bravo Pie', ficcagli la lingua in bocca."

Pie', immagino Pietro, non ci riesce però. Anzi, Ginevra si agita

così tanto che alla fine gli dà perfino una specie di capocciata.

"Ahia, mortacci tua." Pietro si porta le mani sulla fronte.

"Così impari, coglione!" Ginevra si sistema i capelli, ferma in

mezzo alla strada poco lontano da lui, senza scappare, senza

chiamarmi.


"Coglione a me? Ma mo' te faccio vede' io." Il tipo parte deciso

andandole contro. Ginevra abbassa la testa e si protegge con le

mani chiudendosi a riccio. Pietro la prende per il giubbotto.

È ora di intervenire: "Ehi, ci hai fatto divertire, ora basta

però".

Pietro la lascia andare, gli altri due rimangono sorpresi

vedendomi

spuntare dall'ombra. Vado verso di loro.

"E tu chi cazzo sei?"

"Uno che passava di qui per caso. E tu invece, chi cazzo pensi

di essere?"

Sono arrivato. Pietro mi guarda. Sta soppesando se vale la pena

di rispondermi. Se ce la può fare o no, insomma. Opta per il sì:

"Ma vedi di levarti dai cojoni, va'". Sbaglia. Parto al volo con

un

cazzotto dritto per dritto, perfetto. Non riesce neanche a

vederlo.

Lo prendo di striscio, ma non troppo, quel tanto che basta per

sfondargli

il naso. Lo vedo oscillare sulle gambe, accenna un disperato

tentativo di reazione. Lo colpisco di nuovo, di sinistro, dritto

sopra

il sopracciglio destro, di impatto pieno, preciso, sordo, con

cattiveria.

Si accascia a terra con un tonfo secco, non fa in tempo a muoversi

che lo prendo d'incontro con un calcio in piena faccia. Pum.

Non appena ritiro indietro la gamba si forma una pozza di sangue.

Ne scende tanto, morbido e caldo, dal naso sulla strada, lento,

nella

penombra, si mischia con l'asfalto. Pietro, o come cazzo si

chiama,

ha la bocca aperta, respira facendo strane bollicine con quel

rivolo

di sangue che inciampa sulle sue labbra. Ne sputa ogni tanto

qualche goccia mista a saliva qua e là. Non ride più, adesso.

"Be'..." Guardo Ginevra. "Andiamo va', sennò facciamo tardi."

Prendo la gomma bucata, la butto dietro nel bagagliaio e richiudo

il portellone. Passo vicino al piccoletto che ha cambiato la

gomma, lo supero. Quello cicciotto invece sta vicino alla

macchina.

È lento nell'accorgersene. Lo prendo al volo con la destra. Mi

ritrovo il suo orecchio tra pollice e indice, lo stringo forte

storcendoglielo

con rabbia. Vorrei staccarglielo.

"Ahia, cazzo, ahia."

"Levati di mezzo, coglione. E dimagrisci." Gli do un'ultima tirata

micidiale e lo lascio andare. Rimane piegato con le mani a

preghiera

sull'orecchio mentre salgo in macchina. Aspetto che Ginevra

chiuda la portiera e parto veloce. Guardo i tre nello specchietto

retrovisore. Ormai sono lontani, avvolti nella notte che ci

separa.

"Allora come stai?"

Rimane in silenzio. Cerco di farla ridere.

"Non sanno come sono stati fortunati quei tre. Se si scatenava

il terzo dan erano cavoli loro, eh?"

Ma non ci riesco. Niente, non accenna a parlare. La guardo.

Ha i capelli che le scivolano giù, come sconfitti, coprendole una

parte del viso. Le labbra socchiuse spuntano dal suo nascondiglio,

incerte e indecise, tremano un po'.

"Dai Ginevra, è tutto a posto."

"Tutto a posto un cazzo! Pensa se bucavo ed ero sola."

"Ma non è successo."

"Ma poteva succedere. Quei tre si fermavano e come andava a

finire?"

"Ma poteva essere che invece passavo io in moto e ti aiutavo

semplicemente a cambiare la gomma." Cerco di tranquillizzarla.

"Non ci posso credere che siete così stronzi... In tre

approfittarsi

di una da sola, che merde! "

Vedo che è andata in fissa. Cerco di sdrammatizzare.

"Allora diciamo che hai un bel culo."

"Perché c'eri tu?"

"No, che c'entro io. Magari c'entrano i tuoi. Hai proprio un

bel culo, nel vero senso della parola. Cioè, lo si vedeva mentre

cambiavi

la ruota. Diciamo che è un po' colpa tua... A stare lì così, in

quel modo... Insomma hai scaldato troppo gli animi di quei

poveracci.

"

"Ah, quindi tu vorresti dire che il mio culo, stretto in dei

banalissimi

jeans, è un attentato alla tranquillità."

"Già, proprio così."

"Ma dove vivi?! Pensa se mai bucasse Jennifer Lopez allora!

Che succederebbe? Una guerra mondiale."

"Ma che c'entra. Lei il suo didietro ce l'ha assicurato per

milioni

di dollari..."

"E allora?"

"Se lo può giocare tranquillamente."

"Ma vattene, va'. Sei proprio un idiota."

"Cercavo solo di farti ridere."

"Be', non ci sei riuscito."

Rimaniamo in silenzio e continuo a guidare. Gin alza il volume

della radio, non vuole pensare. "Mi piace molto questa canzone.

Sai cosa dice?"

Provo ad ascoltarla. Ma a me non posso mentire. Ho imparato

perfettamente a usare il computer, la grafica, il 3d e tutto il

resto,

ma con l'inglese è stata una scazzottata continua. "Qualcosa

capisco..."

"Dice: 'Non so niente di storia, di matematica...'." Gin continua

a tradurre, salvandomi.

Ascolto le sue parole. Parla lenta sorridendo, sembra che non le

sfugga niente. "Queste parole mi piacciono."

"È molto bella." Non so perché, ma sembra capitata a caso,


perfetta per il momento. "Sì, è bella." E subito dopo dalla radio

parte un'altra canzone. Ma stavolta non ho problemi. "Tu vestita

di fiori o di fari in città, con la nebbia o i colori, cogliere le

rose a

piedi nudi e poi..." Mi lascio andare. Guardo fuori, nel buio

della

notte. Una di quelle strane coincidenze, la musica al momento

giusto,

una macchina che non è tua, una strada senza luci, senza traffico,

l'infinito davanti, una ragazza vicino. Tra l'altro bellissima. Si

sistema meglio il giubbotto.

"Manca molto all'appuntamento?"

Passiamo proprio in quel momento allo svincolo subito prima

del tunnel per Prima Porta. Sono tutti lì, Bardato, Manetta,

Zurli,

Blasco e un altro po' di gente. Intravedo anche qualche donna. Li

supero senza fermarmi.

"No, fra un attimo ci siamo." Accelero, ma tanto non credo mi

riconoscano. Sapevano che venivo in moto. E da solo. Invece sono

in macchina e con lei. Continuo a guidare come se niente fosse.

Gin

guarda fuori dal finestrino.

"Hai visto? Lì c'è un gruppo che aspetta qualche ritardatario.

Che posto assurdo per darsi un appuntamento."

Mi guarda dopo averlo detto. Mi batte il cuore. Non ci posso

credere che abbia capito.

"Già, un posto assurdo."

Continua a guardarmi: "È strana questa situazione vero?".

"Quale situazione?" Spero non voglia parlare di nuovo del

gruppo.

"Be', che siamo qui in macchina io e te, due perfetti sconosciuti.

E già è successo di tutto. Come ci siamo incontrati stavamo per

fare

a botte... E per soli 20 euro."

"Che tu mi volevi fregare."

"Sì, ma non ti perdere sempre nei dettagli. Poi buchiamo e io

devo cambiare la ruota. "

"Vai avanti. Non ti perdere nei dettagli neanche tu." Gin sorride.


"Si fermano in tre, uno ci prova con me, tu gli meni e adesso

per chiudere andiamo a cena con un gruppo di amici tuoi. Sembriamo

già una di quelle tipiche coppie... La classica serata con

qualche imprevisto in più."

"Già, solo che non stiamo insieme."

"Ah, certo."

Continuo a guidare, ma la sua affermazione mi suona strana.

"Che vuol dire: 'Ah, certo?'."

"Vuol dire 'Ah, certo', nulla di più." Si mette a ridere.

"Be', quel 'Ah, certo' non vuole dire solo 'Ah, certo'. Dietro c'è

molto di più, giusto?"

La guardo in attesa di risposta.

"Ma tu devi essere un po' fissato con il 'dietro', eh? Il mio

'dietro'

è un attentato alla tranquillità, il tuo 'dietro' è un

retropensiero

che non finisce più. Scusa, eh, ma che stiamo insieme, io e te?"

"Per adesso, no."

"No, la risposta in questo caso, visto che stiamo discutendo,

deve essere solo 'no', non 'per adesso no'. È chiaro?"

Si scalda la piccolina.

"Ah, certo."

"Allora non stiamo insieme."

"No."

"Oh, bene."

Aspetto qualche secondo: "Per adesso".

Gin mi guarda infastidita: "La vuoi sempre vinta tu, eh?".

"Sempre."

"Be', allora mettiamola così. Noi non stiamo insieme, per adesso

e di sicuro per il resto della serata. E se continui a discutere

aggiungo

altre date più lontane, posso arrivare perfino a limiti di mesi,

è chiaro?"

"Chiarissimo."

Sorrido.

"Ho imparato però che la sicurezza quando viene messa troppo

in vista è un sinonimo di insicurezza. Vuoi che sia più chiaro?"

"Sì."

"Era meglio se dicevi solo 'per adesso'." Sorrido. Gin scuote la

testa.

"Per adesso la smetto perché mi sono scocciata. E poi ti pare

che io e te discutiamo sul fatto che non stiamo insieme? "

"Già, di solito si discute solo quando si sta già insieme. Vuol

dire che abbiamo cominciato al contrario."

"Non abbiamo proprio cominciato."

Freno piano piano e accosto.

Gin mi guarda preoccupata: "E ora che fai? Ci provi?".

"No, per adesso. L'appuntamento era qui, ma non vedo nessuno.

Se ne devono essere già andati, abbiamo fatto tardi."

"Hai fatto tardi."

"Ok. Ho fatto tardi."

"E come mai mi dai ragione?"

"Se cominciamo a discutere per ogni cosa in questo modo, ci

lasciamo prima di metterci insieme. "

Gin stavolta scoppia a ridere. Rido anch'io. Ci guardiamo ridendo

all'ombra di un appuntamento mai esistito. La musica è alta.

Passano una sequenza mista tra vecchi e nuovi successi.

"Che bella! Questa è il massimo! "

E ti credo: stanno dando la mitica Love me two times dei Doors.

"Love me two times, girl, one for tomorrow one just for today...

Love me two times, I'm goin'away... ma questa non te la traduco."

"Credo d'aver capito cosa dice."

Tutt'intorno è buio. Ma "per adesso", forse ha ragione lei, è

meglio andare.

"Dove mi porti?"

"Andiamo a cena, io e te. Vorrà dire che i miei amici li

conoscerai

un'altra volta."

"Quale altra volta?"

Lo guardo aspettando una reazione. Decido di accettare la

tregua.

"Be', se mai capiterà."

"Ecco, se mai capiterà."

Tutta soddisfatta alzo il volume della radio e cambio stazione

cercando freneticamente chissà quale altra canzone. Poi senza

farmi

accorgere, nella penombra della macchina, con la coda dell'occhio

guardo Step.

Non ci posso credere... Io, Gin, in macchina con lui. Se lo

sapessero

i miei. Non so perché, ma è sempre il primo pensiero che

mi viene in mente. Cioè, se i miei sapessero che ora sono in

macchina

con uno sconosciuto, cioè con quello che loro credono uno

sconosciuto, cosa potrebbero dire? Già me la immagino mia madre:

"Ma che, sei pazza? Ginevra, non devi mai dare confidenza a

nessuno. Te l'avrò detto mille volte...". Oh, non c'è niente da

fare,

qualunque cosa, non si sa perché, ma mia madre dice sempre di

avermela già detta mille volte. Boh. Una cosa è sicura: questo non

se lo aspetterebbe mai. E poi cosa potrei dirle? Ma sai, era per

fare

benzina... Come potrei spiegarle come stanno veramente le cose?

No, non ci voglio pensare. Non ci posso credere neanche io.

"Sai cosa mi hai ricordato prima?"

"Quando?"

"Quando stavo cambiando la ruota e sono arrivati quei tre

deficienti.

"

"Cosa ti ho ricordato?"

"Richard Gere."

"Richard Gere?"

"Sì, nella scena di Ufficiale e gentiluomo, quando lui e il suo

amico escono insieme a quelle due ragazze e vanno in un bar. Poi

all'uscita c'è quello che va a dare fastidio alle ragazze con

altri amici

e Richard Gere cerca in tutti i modi di non litigare, ma alla fine

non ce la fa più e gli spacca la faccia. "

"Anche Richard Gere era un terzo dan?"

"No, scemo. Quelli erano dei colpi da full contact."

"Però, te ne intendi."

"Te l'ho già detto. Ho fatto anche kick boxing e qualche lezione

di full contact. Non ci credi? Prima o poi avrò modo di

provartelo.

"

"Ah, quello è sicuro... e comunque più che Ufficiale e gentiluomo

mi sembra più adatta un'altra citazione. Ezechiele 25 17: 'E

la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e


furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e in

fine a distruggere i miei fratelli e tu saprai che il mio nome è

quello

del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te.' "

"Ah, modestino, eh?! Comunque, ti piace Pulp Fiction."

"Sì."

"Anche molto, a giudicare da come li hai sistemati! "

Step sorride e continua a guidare. Chissà cosa avrà voluto dire

con quella storia: ah, quello è sicuro... Meglio non indagare. Lo

guardo mentre guida. Ha il braccio destro teso e tiene il volante

deciso, ma nello stesso tempo con grande tranquillità. Il gomito

sinistro

è poggiato sul bordo del finestrino, e si tiene il mento con la

mano sinistra. La mano destra è in alto, al centro del volante, lo

stringe forte e accompagna le curve, dolcemente. Ha un tatuaggio

sul polso vicino a un bracciale rigido in oro. Il tatuaggio mi

sembra...

A/Li avvicino senza che se ne accorga e lo guardo meglio.

"È un gabbiano."

(^osa?

"È un gabbiano, il tatuaggio che ho sul polso."

Mi sorride perdendo per un attimo di vista la strada.

Mi sento arrossire, ma sono sicura che non si nota: "Guarda la

strada".

"E tu guarda i tatuaggi tuoi."

"Non ho tatuaggi."

"Non ti hanno permesso di fartene neanche uno?"

Step sorride in maniera antipatica, mi sfotte.

"I miei non c'entrano niente, è una scelta mia."

"Ah certo, capisco..."

Mi guarda comprensivo e alza il sopracciglio prendendomi per

il culo.

"Una tua scelta..."

il, mia.

Rimaniamo in silenzio. Poi dopo un po' mi scoccio.

"E poi ti ho mentito. Ho un tatuaggio, bellissimo, ma dubito

che tu potrai mai vederlo."

"È nascosto bene?"

"Dipende dai punti di vista."

"Cioè?"

"Oh, hai capito benissimo."

"Sì, ma non so 'quanto bene' ho capito, o meglio 'dove' ho capito.


"È una piccola rosa alla fine della mia schiena, va bene?"

"Va benissimo. Adoro cogliere i fiori! "

"È l'unico tatuaggio in rilievo."

"Cioè."

"Pieno di spine."

"Hai sempre la risposta pronta, eh? Ma le mie mani sono piene

di calli." Sorride anche lui. Ha un bel sorriso. Questo non posso

negarlo. Non posso neanche dirglielo. Ha una strana fossetta

sulla guancia sinistra. Vaffanculo, mi piace un sacco. E poi è

completamente

diverso da Francesco. Non so perché mi viene in mente

lui proprio in questo momento. Forse perché mi brucia ancora

tutta quella storia. Francesco è l'ultimo ragazzo che ho avuto.

Cioè,

praticamente l'unico. E il più stronzo, per essere precisi.

Capitolo 20.

Francesco. Eppure mi sembrava così carino. È anche vero che

la verità sull'amore te la dirà solo il tempo. All'inizio tutto ti

sembra

carino. Poi, dopo la partenza, quello che sembrava carino può

diventare bello. Perfino eternamente bello... Ma il più delle

volte,

però, diventa semplicemente brutto. Ecco. Francesco era stato

l'eccezione.

Era riuscito a farlo diventare ancora peggio. Tremendamente

brutto. Uno scontato errore di percorso aveva rovinato tutto.

Non posso dimenticare quella sera.

"Allora, che dici, facciamo un salto al Gilda, ti va?"

"No grazie France, domani ho l'interrogazione di storia e ancora

non ho neanche finito il capitolo."

"Ok, come vuoi... ti porto a casa." Aveva guidato più veloce del

solito quella sera ma io, soprappensiero, non ci avevo fatto caso.

Scendo dalla macchina.

"Ciao, buonanotte... Che fai tu, ci passi al Gilda?"

"No, no, tanto se non ci vieni tu non mi va di andare. E poi sono

stanco anch'io."

Non mi accompagna al portone, non l'aveva mai fatto del resto.

Strano, eppure quella sera mi aveva dato fastidio. Non che io

sia una di quelle donne che hanno paura o che amano farsi

accompagnare

dappertutto. Eppure quella perdita di tempo, quei pochi

passi fino al portone erano un qualcosa che mi era sempre piaciuto

e non avevo mai provato. Forse perché ti fa sentire più importante

del tempo e della fretta, forse perché ci può scappare un

ultimo bacio. Invece Francesco aveva appena aspettato il girare

della

mia chiave nel portone, il mio saluto da lontano per partire a

razzo

con la sua ultima Mercedes 200 SLK. Veloce. Troppo veloce. Sono

sensazioni. Sciocche sensazioni. A volte però sagge sensazioni.

Più tardi. Ho studiato e ristudiato il capitolo e alla fine

qualcosa

mi era entrato in testa. Guardo l'orologio. Le due e mezzo.

Uno squillo glielo faccio a Fra'. Ho voglia di sentire le sue

parole,

di distrarmi un attimo con la sua voce. Non posso andare a letto

con ancora il capitolo di storia in testa. Niente, il telefono

squilla a

vuoto. Che strano. Abita nell'appartamentino sotto i suoi, quello

che gli ha lasciato la nonna che si è trasferita a Rieti. Il

telefono

squilla ancora. Non sente, o dorme profondo oppure... Non può

essere che non sente. Cavoli, stando a casa deve sentire per

forza.

Sono due camere più la cucina e un bagno. La conosco bene quella

casa, ci ho passato diversi weekend. L'idea del tempo passato

con lui mi innervosisce ancora di più. Weekend così intimi e lui

non risponde. Niente, tanto non ho sonno. Sai che faccio? Esco e

vado a citofonargli sotto casa. Camuffo alla meglio il letto, un

cuscino

sotto le lenzuola al posto del mio corpo e il vestito per domani

mattina a scuola già preparato sulla sedia. Poi piano piano supero

la camera dei miei in punta di piedi, prendo le chiavi della Polo

(allora non avevo la mia splendida Micra) e via nella notte. Ma

vuoi vedere che quello stronzo è andato al Gilda? Tre e dieci.

Meglio

passare prima di lì. Posteggio al volo in doppia fila a via Mario

dei Fiori e vado alla porta. C'è Massimo, il buttafuori, che mi

saluta. "Ehi, ciao Gin, che fai qui a quest'ora?"

"Secondo te?"

"Hai voglia di ballare, giusto?"

Idiota.

"In realtà volevo fare per una notte il buttafuori."

Ride di gusto: "Forte, sei forte".

"Senti, non vedo la Mercedes di Francesco."

"Bella macchina, eh?"

"Sì, bellissima. Ma sai se è dentro?"

"No, stasera non è proprio passato. Lo so perché non mi sono

mai mosso dalla porta. E poi l'ha cercato anche Antonello che è

entrato mezz'ora fa. L'ha cercato dentro e se ne è andato. Non

c'era,

gli ha dato buca perché mi ha detto che avevano un appuntamento.

Prego." Fa entrare un uomo grasso con una signora vestita

più di oro che di tessuto, con un trucco così pesante da

spaventare

perfino le sue prime rughe.

"Va bene, se lo vedi digli che lo sto cercando."

"Ok, ciao Gin. Buonanotte."

Sì, buonanotte... magari! Questa storia di non trovarlo mi sta

innervosendo. Passo sotto casa di Francesco. Niente, la Mercedes

non c'è. Di solito posteggia fuori perché tanto lì vicino c'è la

camionetta

dei carabinieri che controllano qualche politico non ancora

indagato o un pentito, boh, non l'ho mai capito. Un carabiniere

è vicino alla camionetta. Saluto mentre passo con la Polo. Cerco

in qualche modo di allietare la sua serata. Mi guarda mentre vado

via. Lo vedo nello specchietto che continua a fissare la mia Polo

che si allontana domandandosi sinceramente il perché di quel

saluto. Se non altro l'ho incuriosito. Abbandono il carabiniere e

ripenso

a Francesco. Ma dove cavolo sarà finito? Che palle sono le

tre e mezzo. Domani ho l'interrogazione. Mi restano appena quattro

ore per dormire. Sempre che riesca a trovarlo in tempo. Prendo

il posto del carabiniere nella mia storia d'amore e decido di

andare

fino in fondo. Peccato che Eleonora non c'è. Ele, come la

chiamiamo

noi, è la mia migliore amica. È dovuta partire, è andata in

Toscana a trovare alcuni suoi parenti. Ele è fiorentina di

nascita,

poi si è trasferita a Roma. La Toscanaccia, la chiamiamo noi.

"Oh grulla, oh Ele... O turchina fata..." Tutta aspirata. "Ti

tocca


d'esse' interrogata."

Ci divertiamo a prenderla in giro ogni volta che siamo in classe

e che potrebbe toccare a lei. Cavoli, se c'era mi avrebbe fatto

compagnia. Qualunque scusa è buona per Ele per stare fuori casa

a fare l'alba. Peccato. Be', visto che abita qui vicino provo a

passare

da Simona. Simona è tutta romana, capello biondo, bel fisico,

un po' strana di carattere. Ma è simpatica. È un anno che ci

frequentiamo

e abbiamo stretto un buon rapporto. Naturalmente mal

visto da Ele. Lei dice che sotto sotto quella è una stronza.

"Fidati di me, fidati della Toscanaccia, stavolta la grulla sei

tu."

Io rido. Ele è gelosa. È naturale, non sopporta che ogni tanto io

e

Simona ci vediamo. Ecco, sono arrivata sotto casa e qui succede

l'inverosimile... O meglio il verosimile visto che mentre citofono

a

casa di Simona si apre il portone ed esce Francesco. Quattro meno

un quarto. Come se non bastasse l'ora, non ha più la cravatta,

la camicia sbottonata e, la cosa più tremenda, ha quel viso che ho

visto tante volte. Troppe. Ora le rimpiango tutte. Dopo aver

amoreggiato

tutti ci addolciamo. I nostri tratti del viso si ammorbidiscono,

gli occhi sono leggermente umidi, le labbra un po' più carnose

e si arriva al sorriso con più facilità, ma più lentamente.

Francesco

non ha tempo di dire niente.

"Gin, io..." Ci prova, ma gli sputo in faccia. Uno scaracchio

perfetto. Lo centro in pieno, non lo guardo neanche. Mentre me

ne vado penso solo che si pulirà.

"Gin, fermati, ti spiego tutto."

"Tutto che? Cosa c'è da spiegare?"

Monto sulla Polo che ho lasciato in doppia fila e lui mi rincorre,

cerca di bloccarmi la portiera, ma non fa in tempo. Mi chiudo

dentro e metto la sicura.

"Gin, non è come pensi tu. È la prima volta che vado con lei.

Dai, non te ne andare, Gin." Aspetta un attimo e poi dice quello

che non gli avrei mai voluto sentir dire. Almeno non in quel

momento.

"Gin, io ti amo."

Apro un pezzo del finestrino: "Ah sì? Per questo ti scopi una

come Simona. Pensa che io di te amo solo la tua macchina! ". Parto

sgasando e faccio qualche metro, cercandola. Eccola lì. L'ha

posteggiata

perfino vicino al portone, senza preoccuparsi neanche di

nasconderla. Eccola lì la sua splendida Mercedes 200 SLK grigio

metallizzata. Sono ferma nella Polo. Mi sento come un toro prima

di affrontare il torero, sbuffo mentre con il piede gioco con

l'acceleratore.

Do gas e lo spingo più giù due o tre volte. Penso a mamma

e alla sua Polo. Be', qualcosa mi inventerò, provo troppo gusto

solo a pensarlo. Vedo dallo specchietto Francesco arrivare di

corsa. |

È troppo tardi, è troppo bello... Che gusto ! Che sogno ! Mi metto

'

la cintura. Nella vita ci sono delle cose alle quali non si può

rinunciare.

Questo è uno di quei momenti. Lascio andare la frizione

e parto a tutto gas. Ecco. La vedo avvicinarsi a velocità

spaventosa.

La sua Mercedes, la sua bella, nuova, fiammante Mercedes.

Freno solo all'ultimo ma d'istinto, tanto per non morire. Boom. Un

botto fantastico, rimbalzo sul sedile. Centrata in pieno; sul

fianco

laterale, sulla portiera. Metto la retromarcia. La Polo si sgancia

con

fatica, ma riparte che è una meraviglia. La Mercedes è lì davanti

a

me, completamente tumefatta, perfino un finestrino si è spaccato.

Non oso immaginare i miei danni, ma la faccia di Francesco sì.

Quella la vedo bene ed è tutto un programma. Che bello... Guarda

la sua macchina distrutta. È allibito, non ci crede, non ci vuole

credere, ma ci deve credere. Eccome se ci deve credere... E sai

che

c'è? Ne faccio un altro. Sì. C'è troppo gusto, è troppo bello.

Parto

a tutta velocità e la punto un po' più avanti. Boom. La prendo in

pieno con ancora più forza, senza paura questa volta, senza

neanche

frenare. Ormai c'ho preso la mano. Ho una voglia pazzesca di

distruggergliela tutta. Il parafango davanti è spaccato e si

accartoccia

perfino il cofano. Francesco è lì, davanti a me, senza parole.

Lo guardo, scoppio a ridere e mi allontano salutandolo. Vaffanculo

tu e la tua Mercedes. Stronzo di merda. Quando ci vuole, ci vuole.

E ora devo pensare a Simona. Oh, ma la sistemo per le feste

quella stronza, oh se la sistemo. Ma deve essere una vendetta

intelligente,

fredda, calcolata, pungente. Geniale. Vorrei trovare ancora

più aggettivi se fosse possibile. Posteggio sotto casa e scendo

dalla macchina. Povera Polina. L'ho rovinata tutta davanti. C'ha

il

cofano contratto come se fosse una mano con un crampo, due

fanalini

rotti e anche il fascione. Porca trota, e ora che racconto a

mamma. Continuo a pensare in ascensore. Qualche cosa mi inventerò

per la povera Polina e per quella stronza di Simona. Sì,

uscirà qualcosa, ne sono sicura. Mi spoglio e mi infilo nel letto.

Continuo a pensare ai miei due problemi, alla loro possibile

soluzione.

Continuo così, ricordandomi il botto, la Mercedes sfondata.

Piano piano sto per addormentarmi. Un ultimo pensiero nel

dormiveglia. Sorrido. Boom! Che botto, che bello! In tutto questo

non ho più pensato a Francesco. Puff. Svanito. E, sorridendo,

vengo

rapita da Morfeo.

La mattina dopo mi sveglio lucida come non mai. In un attimo

ho le due soluzioni. Parto subito con la prima, il problema della

Polo. Telefono ad Ale, un mio amico sempre in mezzo ai guai che

stavolta però può togliermi dal mio.

"Pronto... Ma chi è?" Ha la voce roca, si sarà addormentato da

nemmeno un'ora.

"Ale? Sono Gin."

"Gin, che cazzo succede? Ma che ore sono?"

"Le sette."

"Le sette? Ma che, ti sei rincoglionita?"

"Ale, mi devi aiutare, ti prego, dimmi che c'hai sottomano qualche

macchina rubata."

"Gin, non per telefono... porca troia!"

"Scusa Ale."

Torna tranquillo: "Che macchina ti serve?".

"Una qualunque ma che sia rubata. Mi serve solo la targa."

"Solo la targa? Boh, tu sei tutta scema."

"Ti prego Ale, è una cosa importante."

"Tutte le tue cose sono sempre importanti, aspetta un attimo."

Dopo una decina di secondi torna al telefono: "Dai, scrivi. Roma

R27031. È una Clio blu".

"Perfetta, grazie Ale."

"Aho, è tutto a posto?"

"Sì, tutto a posto."

"Perfetto. Allora guarda che io mi metto a dormi' e stacco il

telefono.

"

"Ok, ti chiamo nel pomeriggio e ti spiego tutto."

"Non me ne frega un cazzo." E attacca.

Appena in tempo. Arriva mamma in vestaglia appena alzata:

"Ginevra, ma che fai? Sei già sveglia?".

"Mamma, non sai che è successo. Ieri sera mi è venuto addosso

un pazzo con la macchina."

"Oddio, figlia mia, ti sei fatta niente?"

"No, sto bene. Ha distrutto la Polo però ed è fuggito... Ma

guarda,

ho preso la targa! " Le passo il biglietto appena scritto. "Era

una

Clio scura. Lo dobbiamo denunciare." Mamma prende il biglietto.

"Dai qua, lo dico subito a tuo padre. Meno male che non ti sei

fatta niente. Ma sei sicura? Non è che hai sbattuto la testa?"

"No mamma, sul serio è tutto a posto."

"Meno male." Mi dà un bacio sulla fronte.

"Vai a fare colazione sennò finisce che fai tardi."

"Sì, mamma." Mi allontano da brava bambina sotto lo sguardo

affettuoso di una madre apprensiva. Mi sento in colpa. Scusa

mamma, ma dovevo proprio farlo. Chissà, forse un giorno ti

racconterò

tutta questa storia. Un giorno. Intanto pensiamo a oggi.

Ho già trovato anche la seconda soluzione, quella per sistemare

Simona.

Un attimo dopo sono tra i banchi di scuola. È già passata

un'ora, la prima. Religione. Ha incrociato due volte il mio

sguardo

la stronza e si è girata dall'altra parte. Non ha neanche il

coraggio

di affrontare le conseguenze delle sue azioni. Il massimo è che è

stata perfino interrogata da don Peppino, così chiamiamo noi il

pretino di religione, e Simona ha avuto perfino il coraggio di

rispondere...

Mortacci sua. Be', non voglio chiamare Dio in causa

per stronzate come questa. Ma la seconda ora è tutta mia e anche

la terza. Ci sguazzo, mi voglio divertire, due ore da sogno. Oggi

abbiamo

compito in classe di italiano. È facendo la borsa appena sveglia

che mi è venuta l'idea. Sublime... Ecco, ho trovato l'aggettivo

coniato apposta per la vendetta. E la mia penna scivola veloce sul

foglio bianco, riempiendolo di parole, di righe, di fatti, di

ricordi,


di delusioni, di aggettivi, di sproloqui, di insulti. Vola che è

una meraviglia,

sembra fatata la mia penna. E dire che io in italiano sono

sempre stata un po' frenata. Sono fuori tema, non ho dubbi, ma

che piacere, che divertimento dedicare il mio compito in classe

alla

mia amica, anzi alla mia ex amica. Anzi, per essere proprio

precisi,

a quella stronza. Le ho dedicato perfino il titolo: Misera fine

di un'amicizia. Sono sicura che la mia prof d'Italiano me lo

passerà,

magari prendo anche un bel sette, o forse no, quello no, è un

fuori

tema. Magari un quattro, ma che bel quattro! Di sicuro però non

mi manderà dal preside e forse me lo farà perfino leggere in

classe.

Sarà dalla mia parte la prof, ne sono sicura. Non tanto perché

abbiamo un buon rapporto, ma perché si è separata da poco.

Settimana dopo. Ritiro il tema. Be', da non crederci... Al di

sopra

delle aspettative. Sette e mezzo! Mai preso un voto così in

italiano. E

non è finita qui. La prof deve avere una grande simpatia per me o,

cosa molto più probabile, deve aver sofferto veramente tanto per

la

sua separazione. Fatto sta che ha sbattuto con la mano sulla

cattedra.

"Silenzio, ragazze. E ora vorrei invitare a leggere il suo tema

una ragazza particolare. Una vostra compagna di classe che ha

capito

che la cultura, l'educazione e l'essere civili sono la più grande

arma della nostra società: Ginevra Biro."

Mi alzo e per un attimo mi viene da arrossire. Davanti a tutti.

Davanti agli altri. Poi metto da parte quel rossore. Cazzo, no! È

la

mia giornata, non esiste, mi spetta. Quale pudore, quali altri.

Non

esistono gli altri in alcune occasioni. E questa è una di quelle

occasioni.

Vado vicino alla prof e comincio a leggere. Scivolo veloce

con enfasi e divertimento. Con rabbia ed entusiasmo. Azzecco le

pause giuste, il tono. Poi la storia mi rapisce. Ma l'ho scritto

sul serio

io questo tema? Cavoli, mi sembra perfetto! E continuo a leggere

così, divertita, cantilenando quasi. Una dopo l'altra le parole

si succedono, si rincorrono leggere tra le righe, su e giù, senza

pausa

come onde di un mare azzurro. Corrono vicine, senza spezzarsi

mai. Arrivo quasi alla fine in un attimo. Mi mancano due righe. Mi

fermo e quando stacco gli occhi dal foglio Simona è lì che mi

guarda.

Ha la bocca aperta, è sbiancata, attonita. Ho raccontato tutta

la nostra storia, la nostra amicizia, la mia fiducia, il suo

tradimento.

Faccio un'ultima pausa. Un bel respiro e via con il finale:

"Ecco signori. Ora voi tutti sapete chi è Simona Costati. Se sua

madre avesse avuto un po' più di coraggio, l'avrebbe chiamata con

il suo vero nome: Stronza! ".

Piego il foglio e guardo compiaciuta la classe. È un boato. Tutte

insieme urlano contente: "Brava, hai fatto bene, sei forte Biro!

Sì, ancora, di nuovo, la devi sfondare, così, sei mitica! ".

E all'improvviso, partito da non so chi, non certo da me, né dalla

prof, meno che mai da Simona, si alza un coro perfetto, ispirato

sicuramente dal mio tema pieno di cultura.

"Stronza, stronza, stronza!"

Simona si alza dal banco. Attraversa la stanza trascinando i

piedi,

con la testa bassa, senza avere il coraggio di guardare in faccia

nessuno. Poi scoppia a piangere ed esce dalla classe.

"Brava, è un bellissimo tema." È la voce della prof. Incredibile.

Pensavo che mi avrebbe buttata fuori per, che ne so, diffamazione

di un'alunna? Invece no. Si vede che ha apprezzato la forma!

O il contenuto... Comunque mi sorride. Chissà, forse per un attimo

ha avuto un rimpianto. Avrebbe voluto scrivere anche lei un tema

così a suo marito.


***

Capitolo 21.

"A cosa stai pensando?"

"Alla scuola."

"Cioè, non ci posso credere. Tu vieni in macchina con me, che

sono il top del desiderio romano... e che fai? Pensi alla scuola!

"

"Be', anche la scuola può avere il suo lato interessante."

"Sì, magari più il lato stressante."

"Io credo che sotto sotto anche a te piaceva studiare."

"Certo, come no: anatomia. Ma direttamente sulle compagne! "

"Mamma... Ma stai in fissa, eh?!"

"Be', è un lato che mi affascina."

"Sì, già ti vedo. Da piccolo giocavi sempre al dottore."

"Da piccolo? Anche ieri! Vuoi che ti visiti subito?"

"Pensa che strano, ti vedo molto di più come una persona

divertente

che un allupato! "

"Be', è già qualcosa."

"E certo, perché a me le persone presuntuose mi divertono un

sacco. Uno poi che si crede il top del desiderio romano. Be', è

tutto

un programma."

Mi guarda, scoppia a ridere, sinceramente divertita. I capelli

scuri le cadono sugli occhi che ridono in perfetta armonia con il

suo sorriso: "Oddio, è più forte di me, che buffone che sei. Sei

troppo

forte!".

Una curva capita a proposito. A gomito perfetto, e dalla mia

parte poi. Prendo il volante da sotto e lo giro con forza tutto a

sinistra.

Gin mi arriva quasi catapultata addosso. Freno di botto, inchiodo

con lei fra le braccia. Le prendo i capelli con la destra e li

tengo stretti, forte quanto basta. "Nessuno mi ha mai chiamato

buffone. " E la bacio sulla bocca. Tiene le labbra serrate e prova

a

divincolarsi. La tengo stretta per i capelli, con forza, si

divincola

cercando di liberarsi. La stringo più forte. Alla fine si lascia

andare

e dischiude le labbra.

"Finalmente" sussurro a mezza bocca e poi mi avventuro nella

sua. "Ahia" mi morde con forza. Mi porto la mano alla bocca e

la lascio andare.

Gin torna al suo posto: "Tutto qui? Pensavo meglio".

Mi passo le dita sulle labbra cercando del sangue. Non ce n'è.

Gin è in posa con le mani alzate, pronta alla difesa.

"Allora Stefano, o Step o come cazzo ti pare, hai voglia di

litigare?"


La guardo sorridendo: "Hai anche i riflessi pronti, eh?".

Mi colpisce forte sulla spalla, uno dopo l'altro, una serie di

pugni

dal basso verso l'alto colpendo sempre e di nuovo nello stesso

punto.

"Ahia, fai male."

Le blocco al volo il braccio, poi l'altro. La tengo ferma,

immobile

sul sedile. Poi le sorrido divertito da tutte quelle botte.

"Scusami, Gin. Non volevo farlo apposta. Poi ho visto che un

po' ci stavi..."

Prova di nuovo a colpirmi, ma la tengo ben ferma.


"È che siamo arrivati, ok?"

Scendo veloce dalla macchina prima che riprovi a colpirmi.

"Chiudi, se ti va. Oh, poi fa' un po' come ti pare, tanto la

macchina

è tua, no? Va be', che tanto chi se lo frega 'sto cesso di

Micra...

Prende pure male le curve."

Gin chiude la macchina al volo e mi raggiunge.

"Stai attento, eh. Non fare il duro con me, che caschi male."

Poi Gin guarda l'insegna.

"Il Colonnello. Ma si chiama proprio così?"

"Già, si chiama così. Che pensavi, che era un soprannome del

ristoratore messo al posto dell'insegna?"

"Ma pensi di rimorchiare una ragazza alla tua prima uscita con

queste battute così divertenti?"

"No, con te sono rilassato. Vado sul sicuro! "

"Ah certo, proprio sul sicuro... L'hai visto, no?"

"Pace, va bene? Dai, mangiamoci una bella bistecca."

"Ok. Per la pace va bene, ma invece per la cena... paghi tu,

vero?

"Dipende..."

"Da cosa?"

"Da come va il dopo cena."

"Ancora? Guarda che il dopo cena consiste nel fatto che io ti

riaccompagno alla moto e fine. Chiaro? Dimmelo subito, che sennò

non mangio neanche una bruschetta. Ma ti pare che mi ricatti sulla

cena, ma fai schifo ! "

Gin entra nel ristorante altera e divertente. La seguo. Non c'è

molta gente. Ci sediamo a un tavolo abbastanza lontano dal forno

che fa troppo calore. Mi levo il giubbotto. Mi è venuta fame.

Arriva subito un cameriere per le ordinazioni.

"Allora, ragazzi, che vi porto?"

"Allora, per la signorina solo una bruschetta. Per me invece un

bel primo di tagliatelle ai carciofi e una bistecca alla

fiorentina con

un'insalata di contorno."

La guardo divertito: "Oppure la signorina ci ha ripensato e vuole

qualcos'altro?".

Gin guarda il cameriere sorridendo: "Le stesse cose che ha

ordinato

lui. Grazie. E in più mi porta una bella birra".

"Una birra anche per me. " Il cameriere segna tutto velocemente

e si allontana felice di quell'ordinazione così facile.

"Se vuoi fare alla romana mi dici dove abiti e domani ti faccio

riavere i soldi, va bene? Questo per farti capire che non c'è

dessert.


"Ah no? Ma guarda che ti sbagli. Qui hanno dei gelati al tartufo

che sono una favola da prendere affogati al caffè. "

"Ciao Step. Aho, eri sparito. Sei diventato un borghese come

gli altri. "

Si avvicina Vittorio, il Colonnello, gentile come sempre: "Si va

tutti alla Celestina mo', fa fico, se rimorchia. E allora ce

annate tutti.

Ma d'altronde siete dei pecoroni". Mi si mette con le mani sul

tavolo: "Aho, te sei dimagrito, lo sai?".

"Sono stato due anni a New York."

"Ma dai, ecco perché non te sei fatto più vede'. Ma se magna

così male?"

Ride divertito della sua battuta.

"A Vitto'... Sei sempre er mejo! Facci portare subito una

bruschettina, eh?"

Poggio le chiavi della macchina di Gin sul tavolo, mentre Vittorio

si allontana. Con la panza in avanti, ancheggiando come sempre,

come allora. Invecchiato ma sempre allegro. Ha la faccia da

bambinone con le guance rosse, i capelli arruffati sulle orecchie,

piccoli sprazzi di bianco argentato su quella piazza sempre

rosolata

da braciole e fiorentine. Mi guardo un po' in giro. C'è diversa

gente, non molta, non rumorosa, non troppo elegante. Mangiano

con piacere, senza chiedere cose troppo difficili, senza essere

troppo

ricercati, senza pensieri, magari con una giornata faticosa alle

spalle e un bel piatto davanti. Una coppia lì vicino mangia senza

parlare. Lui sta spolpando la parte dell'osso di una braciola. Lei

ha

appena infilato in bocca una patata fritta e si lecca le dita.

Incrocia

il mio sguardo e sorride. Sorrido anch'io. Poi si rituffa sulle

patatine

senza paura di ingrassare.

Gin passa all'attacco.

"Allora chiariamoci subito: mi hai fottuto le mie chiavi, hai

fottuto

la mia macchina e soprattutto hai fottuto me."

"Magari! Quest'ultima cosa non mi dispiacerebbe affatto."

Gin è davanti a me con le mani sui fianchi e sbuffa.

"Cretino, nel senso che hai fottuto la mia serata. Mettiamola

così, sennò ti fai pure strane idee. Vedi poco fa in macchina..."

"Per così poco... Come te la tiri! "

"Allora passiamo al pratico. Chiariamo una volta per tutte. Chi

scuce qui?"

"Cioè?"

"Fai il finto tonto?"

"Vediamo, se tiri fuori argomenti divertenti, pago io. Sennò..."

"Sennò?"

"Pago sempre io."

"Ah, allora rimango."

"Però mela dai!"

Mi dà uno schiaffo al volo. Cazzo, è velocissima. Mi prende in

piena faccia.

"Ahia."

Quella delle patate smette di mangiare e ci guarda. E anche due

o tre persone dei tavoli più vicini.

"Scusatela." Sorrido massaggiandomi la guancia. "Si è innamorata."

Gin non presta neanche attenzione alla gente che la

guarda.

"Allora facciamo così, tu paghi la cena senza pretendere niente

e in cambio io ti do qualche lezione di educazione. Dai, affare

fatto. Che ci guadagni pure."

Vittorio posa la bruschetta sul tavolo: "Allora, ne vuole una

anche

la signorina?".

Gin mi ruba al volo dal piatto la bruschetta e le dà un morso

enorme portandosi via metà dei pomodori, quelli freschi che

Vittorio

taglia con amore, non come quei pomodori tagliati a pezzettini

il pomeriggio e lasciati dentro una cuccuma a freddare nel

frigorifero.

"Portamene un'altra, Vit."

"Uhm, che buona."

Gin si infila un pezzo di pomodoro in bocca e si lecca le dita.

"E bravo Step! Mi sa che si mangia pure bene qua. Come va la

guancia?"

"Benissimo! Di' la verità, sei rimasta male perché mi sono fermato

al bacio? C'è tempo, dai, non te la prendere. Voi ragazzine

siete tutte uguali. Volete tutto e subito."

"E tu invece vuoi un'altra pizza in faccia e adesso?"

"Hai i tempi perfetti. Brava. È difficile trovare oggi una ragazza

passabile con la battuta pronta come le sue mani."

"Mmm." Gin mi fa un sorriso forzato con la faccia in avanti,

come a dire: spiritoso...

"Che c'è?"

"È il passabile che non digerisco facilmente."

"Invece con la mia bruschetta vai forte. Te la sei praticamente

ingozzata. "

All'improvviso sento delle voci.

"Ma dai, Step! Lo sapevo. Ve l'avevo detto che era lui."

Non ci posso credere. Sono tutti lì, alle mie spalle. Il Velista,

Balestri,

Bardato, Zurli, Blasco, Lucone, Bunny... Ci sono tutti, non posso

crederci. Ne manca uno, il migliore: Pollo. Mi si stringe il

cuore,

non voglio pensarci, adesso no. Sento un brivido di freddo e per

un

attimo chiudo gli occhi, adesso no, ti prego... Per fortuna mi

salta al

collo Schello: "A 'nfamone, che fai il separatista bulgaro?".

"Americano, caso mai."

"Ah già, perché lui è stato in America... Negli States... Ma come

mai non sei venuto all'appuntamento? Eravamo lì tutti quanti

ad aspettare il mito. Ma il mito è crollato... Ora va a cena, fa

il

tête-à-tête con la donna."

"Caso mai fa il tette a tette! "

"Guarda che bocce che c'ha..."

"Primo, non sono la sua donna."

"Secondo, attenti ragazzi, che è un terzo dan."

"Hai finito con questa storia del terzo dan? Sei ripetitivo."

"Io? Ma se tu l'hai sottolineato tre volte da quando ci siamo

conosciuti. E sei talmente terzo dan che ho dovuto stendere uno

per difenderti."

"Ok! San Tommaso... dei bori. L'hai voluto tu." Gin si alza dal

tavolo, fa un giro intorno agli amici, li guarda per un attimo.

Poi, senza

pensarci, si gira di botto, prende Schello con tutte e due le mani

per il giubbotto, se lo carica sull'anca, si piega veloce in

avanti. Perfetta,

senza esitazioni. Schello strabuzza gli occhi, Gin piega la gamba

destra e spinge in alto aiutandosi di spalle. Schello vola via

come

una piuma e atterra di schiena sul tavolo della coppia silenziosa.

Ora

sapranno di che cosa parlare. Il tipo si scosta di botto dal

tavolo.

"Ma come cazzo..." Fine, sia lei che lui. Lo pronunciano

all'unisono.


"Le mie patate..." Lei.

"Cazzo, la mia giacca di cammello..." Lui.

Se non altro per quella coppia apatica il botto di Schello

diventerà

qualcosa da raccontare, al limite del leggendario.

Schello si rialza dolorante. "Ahia, ma chi cazzo è stato?"

"Un terzo dan o giù di lì" risponde Gin prontamente.

Tutti ridono: "Divertente. E troppo forte. Sì, è forte la tua

ragazza.

"

"Ancora... Non sono la sua ragazza!"

"Per ora."

"Be', allora che ci fai a cena con Step?" Carlona, credo la

chiamino

così, da sempre la ragazza di Lucone. Alza il sopracciglio

divertita,

come a dire "la so lunga io su noi donne". Gin sorride: "Anche

tu hai ragione. Be', vorrà dire che scrocco una cena e poi filo".

"Una cena offerta da Step e poi via. Mission: Impossible in

confronto

è una barzelletta. "

"E questa chi me la ripaga?"

Schello lo guarda sbigottito. Il tipo si è tolto la giacca di

finto

cammello condita di fritto e gliela mette sotto gli occhi.

"Allora, dico a te... chi me la ripaga?"

"Ma che, stiamo su Scherzi a parte? Aho, ma che me state tutti

a prende' per il culo? Dov'è la telecamera nascosta?"

Schello inizia a saltellare a destra e a sinistra per il locale.

"Eh? Dov'è?... Dov'è?"

Cerca un'ipotetica telecamera un po' dappertutto, sotto i quadri,

dietro le porte, nella borsa di qualche donna appoggiata sullo

schienale della sedia. Alza le cose e tocca tutto, senza rispetto

come

al solito, spiritoso e irriverente, al limite del demenziale.

Cercare

una telecamera sotto il tovagliolo di uno che sta mangiando...

il tipo naturalmente si risente.

"Hai finito? Coglione! Ma che cazzo tocchi, eh? Vuoi fare un

altro volo?"

Si alza deciso con le mani lungo i fianchi, dure, con le nocche

segnate da ore di lavoro, scalfite da ferite, segnate dal tempo,

plasmate

da polvere e pitture, da gesso e stucchi, da calcinacci,

screpolate

di fatica sofferta.

"Allora? Hai capito, testa di cazzo?"

"Ehi.... Fly down."

Schello se ne approfitta scommettendo che non capisce una parola

di inglese. Naturalmente vince la sua scommessa.

"Che fai, offendi? Ma io ti spacco il culo."

Il muratore gli mette le mani al collo, è la sua maniera elegante

per farsi bello agli occhi della ragazza.

"Veramente era un modo di scusarsi, ma in inglese, lo capisci,

fa molto lord."

Il muratore carica il pugno, noi ridiamo divertiti, Vit

fortunatamente

interviene: "Ora basta, su, tornate in riga. Sono il vostro

colonnello o no? E basta, su".

Aiuta il tipo a uscirne gratificato. "Ti porto un bel limoncello,

dai. Offre la casa." Poi prende Schello per le spalle e lo

riaccompagna

nel gruppo. "Non siete cambiati, eh? Mi fa piacere rivedervi,

sul serio. Non so com'è, Step, ma quando ci sei tu, le serate non

sono mai noiose. Forza, accomodatevi. Vi faccio subito un tavolo

per dodici?"

"Forse Step vuole continuare la sua cena romantica."

Guardo Gin. Lei apre le braccia.

"Faremo un'altra volta, vero caro?"

Simpatica è simpatica. Però... È quel però che mi lascia

perplesso:

"Ma sì, cara, faremo la prossima volta. Quando resti di nuovo

senza benzina e senza soldi..."

Gin sorride, poi prende e mi dà un cazzotto sulla spalla, con

una certa forza anche. Lucone non si perde mai niente. "Cazzo,

forte la bimba, ha un jeb niente male, eh ! "

Tutti annuiscono. Si siedono facendo un gran casino, spostando

le sedie, ridendo, litigando sui posti. Solo le donne si guardano

disapprovando Gin con finto distacco. Un'approvazione su un'altra

donna dà sempre fastidio, fosse anche la tua migliore amica. Poi

la cena vola via veloce. Chiacchiere per mettermi al corrente

delle

piccole grandi novità. "Oh, non sai... Giovanni si è lasciato con

Francesca. Non sai lei che storta che gli ha fatto: s'è messa con

Andrea,

l'amico suo. E lui manco gli ha sfonnato la faccia. Che tempi!

Oh, notizia bomba: Alessandra Fellini finalmente l'ha data! A

Davide. Ora lo chiamano 'er Goccia'. E sai perché, Step? Erano

quattro anni che stava lì come la goccia cinese. Primavere,

estati,

in montagna, al mare... lui sempre presente. Regali, regaletti,

bigliettini.

Andava premiato o no? E lei l'ha premiato! Gliel'ha data.

Sì, però ora che ha preso il via sembra de sta' alle Olimpiadi.

Vengono premiati un po' tutti! "

"E te credo, cerca di guadagnare il tempo che ha perso."

"Mazza quanto siete cattivi." Carlona cerca di difenderla per

solidarietà di categoria.

"Guarda che è vero... Comunque il merito resta der Goccia."

"Sì, il primo è sempre il primo. Grande merito."

Guido Balestri prende le redini del racconto.

"Bel regalo che gli ha fatto al Goccia, ci mancava solo che

c'avesse

le ragnatele su quella grotta pluviale." E giù risate. "Che poi

Davide è venuto in piazza e ha tenuto una specie di comizio

pubalgico..."

"Non ci credo."

"Ti giuro. Ha raccontato a tutti che lei ha goduto come una

pazza."

"No..."

"Sì!"

"E ti credo, si portava dietro quattro anni di tiraggio... Aho, e

poi quando una molla, è giusto che molli alla grande!"

"Oh, l'hanno sentita ululare alla luna. Meglio della mitica

Lassie dei Porcelloni. Te lo ricordi?"

"Come no! Mitico film."

"Davide in questo è grande."

"Sì, non è solo grande. È glande! In tutti i sensi. Aho, Davide

in altri tempi avrebbe umiliato Golia! "

Su questa quasi nessuno ride. Gin sì. Ed è una gran soddisfazione.

E continuano così, ridendo e facendo casino.

Li guardo mentre mangiano. Niente. Non sono cambiati. Sono

uno spettacolo. Si abbuffano come al solito con la roba appena

arrivata,

si tuffano con le forchette sulla lonza, sul prosciutto, sul

salame.

Divorano le fette chiacchierando, lasciandole apposta penzolare

dai

denti fino giù sul mento. Arrivano gli spiedini. Tutti si tuffano

al volo

per prenderli. Sono ancora caldi e fumanti: salsicce e peperoni,

da

poco arrostiti, diventano spade profumate per una disperata

schermaglia

tra Schello e Lucone. Si unisce anche Hook ai due e iniziano

a combattere. Si sente il rumore del ferro attutito a volte dalla

carne

appena arrostita. Un affondo di Schello, parato al volo da Lucone.

E

là, vola via una salsiccia. Gin la prende al volo con la mano

destra, ottimi

riflessi, e in più, ancora calda, se ne mangia un pezzo.

"Allora! Hai visto che velocità? Scommetto che ti ho ricordato

un film, dai, spremi le meningi..."

"È vero, qualcosa mi hai ricordato, una scena di un film, sì, ma

che film?"

"Ti aiuto va', è la storia di una prostituta, anzi più che una

storia

è la favola di una prostituta. "

Entra Lucone, esagerato come sempre."Ci sono: Biancaneve e

i sette cazzi." Gin lo guarda schifata storcendo la bocca e

ingoiando

l'ultimo pezzo di salsiccia.

"Come sei sboccato... È Pretty Woman. Prova a dire che non

l'hai visto e stavolta ti meno sul serio."

Mi guarda alzando il sopracciglio. Pretty Woman, come no, con

Julia Roberts.

"Allora, te lo ricordi, o no?"

Improvvisamente indietro nel tempo. Io e Babi, Hook e il Siciliano

finiti, chissà come, al cinema tutti insieme. Hook e il Siciliano

che alla fine del primo tempo sono usciti.

"Ma che è 'sta cazzata. Ma che, siete matti?"

"Sì, noi ce ne annamo."

E finalmente ho potuto prendere la mano di Babi e tenerla per

tutto il film mentre lei mi imboccava di pop corn.

"Sì, me lo ricordo."

Ma non le racconto tutto il mio film.

"Dai, la scena era quella del cameriere che prende al volo

l'escargot che Vivien, così si chiamava Julia Roberts nel film,

cercando

di mangiarsela, ha lanciato fuori dal piatto."

"Sì, come no. Malgrado tutti gli insegnamenti del direttore

dell'albergo."

"Hai visto che te lo ricordi? Step fa il duro, ma sotto sotto è un

tenerone!!"

"Molto sotto sotto."

"Ma a me piace scavare. Chi ha fretta? Da piccola volevo fare

l'archeologa. E poi... Poi ho capito che soffro di claustrofobia e

non

sarei mai riuscita a entrare in una piramide. "

"Insomma ti piace stare più sopra che sotto."

"Ma non riesci mai a uscirtene con niente di meglio?"

"Aspetta che mi ci impegno." Mi metto le mani sulla testa come

se mi concentrassi. Poi le abbasso sul tavolo e le sorrido.

"No, mi dispiace, non esce nulla di meglio."

Ma proprio in quel momento. Pum. Gin prende in pieno viso

una fetta di pane bagnata. Le esplode sulla guancia e pezzetti di

mollica le finiscono tra i capelli. Non posso non ridere. Lucone

si

scusa da lontano.

"Oh, scusami, cazzo, era indirizzato a Step."

"E allora c'hai proprio una mira da schifo! "

Gin si massaggia la guancia, arrossata e ancora bagnata.

"Mi hai fatto male... Adesso vedi! " È come un segnale di

battaglia.

Tutti cominciano a tirarsi di tutto. Schello come se non bastasse

tira fuori il "bambino" e spinge al volo play.

"La battaglia ha bisogno di una buona colonna sonora."

Non fa in tempo a dirlo che una braciola centra in pieno la cassa

del suo Aiwa mentre parte a palla Hair. Tutti cominciano a ballare

da seduti agitando le braccia verso l'alto cercando di schivare

a tempo ogni tipo di cibo. Questa volta una patata centra in piena

fronte Gin che si alza di scatto come impazzita. Ecco, penso io,

ora

esce fuori di testa sul serio. E fa di meglio. La cosa più bella

che io

possa immaginare. Sale in piedi sulla sedia e via... Mimando alla

meglio il mitico Treat Williams in Hair. Sale con l'altro piede

sul

tavolo e via così, un passo dopo l'altro. Gin avanza ballando,

lasciandosi

cadere i capelli davanti e poi scoprendo di nuovo il viso.

Sorridendo, poi sensuale, poi di nuovo dura, comunque bellissima.

Niente male sul serio. E tutti stanno al gioco. Spostano i piatti

ormai vuoti, le forchette e i bicchieri a ogni suo passo. Hook,

Lucone,

Schello. Perfino le donne ci stanno. Tutti tirano via quello

che hanno davanti. Si fingono sconvolti da quella stravagante Gin,

proprio come gli invitati di quella lunga tavolata in Hair. Gin

balla

che è una meraviglia. Schello invece rovina tutto come al solito.

Sale sul tavolo e inizia a ballare dietro a Gin. Senza grazia,

distruggendo

tutto con il suo fuoritempo perfetto. Un calcio a destra.

Uno a sinistra. E via così. La donna di Hook non fa in tempo

a togliergli il piatto di sotto. Una clarks sfondata di Schello

centra

in pieno da sotto un piatto che vola via liscio così... Preciso.

Come

calciato dal Di Canio rigorista. E là! Prende in piena fronte la

donna

del muratore. La tipa stramazza giù dalla sedia. Si porta le mani

al viso e lancia un urlo agghiacciante che supera tutti, perfino

il

"bambino" di Schello. Vit corre come un pazzo.

"Porca puttana, ma che, siete pazzi? Via, scendete da lì. Signora,

come va?!"

Vittorio la aiuta a rialzarsi. Per fortuna non ha nulla o quasi...

Insomma, non si è aperta. Solo un bozzo enorme lì, sulla destra.

Un improvviso corno ingiustificato, o forse no.

"Chi è stato?"

"Ma che c'entra chi è stato."

Schello su certe cose non è mai fuori tempo soprattutto se rischia

di andarci lui di mezzo.

"È stato un caso, un incidente."

"Sì, quello che capita a te."

Vit si mette subito in mezzo e ferma il muratore.

"Su, non faccia così. È meglio di no."

"Ah no, e che fai, mi offri un altro limoncello? Sai che ci faccio

io con il tuo limoncello? Mi ci pulisco il cazzo."

"Ah, se la mette così. Prego se la sbrighi lei."

Il muratore prende la rincorsa e prova ad acchiappare al volo

Schello che indietreggia sul tavolo e cade all'indietro finendo

con

la gamba incastrata nella paglia di una sedia e poi giù per terra.

Il muratore non si perde d'animo, corre, fa il giro del tavolo.

Schello è lì per terra con la gamba incastrata nella sedia che non

riesce a rialzarsi. Il muratore, pensando alla sua donna, prende

la

rincorsa per calciarlo in piena faccia. Forse spera in un

pareggio.

Ma non è così. Il muratore viene sollevato al volo da dietro. Si

ritrova

a calciare nel vuoto. Lucone gli fa fare un mezzo giro e lo lascia

cadere in piedi poco più in là: "Dai basta, è stato sul serio...

un

incidente".

"Sì..."

Interviene Hook.

"Scusa eh, ma pensa piuttosto a mettere un po' di ghiaccio alla

tua donna che è meglio."

"Sai il ghiaccio dove te lo metto? Te lo ficco in culo! "

"Se la prendi così, allora non c'è proprio rimedio. Poi mi dicono

pure che ho fatto pippa."

Hook ride, il muratore non capisce, prova a dire qualcosa ma

viene centrato al volo da Hook. Un cazzotto in piena faccia,

velocissimo.

Bum. È migliorato Hook, però. Ne deve aver fatte di riprese

mentre ero fuori. Il muratore vola all'indietro che è una

meraviglia.

Atterra poco più in là su una sedia che cade, finisce

all'indietro,

spaccandosi sotto di lui. Steso. Tutti cominciano a gridare.

Qualcuno nel locale si agita. Dei signori in fondo si alzano dai

tavoli.

Una signora prende un cellulare e comincia a telefonare. È il

via. Non abbiamo bisogno di guardarci. Lucone, Hook, il Velista,

Balestri, Zurli, Bardato si trascinano via le donne.

"Cavoli, ma io non ho mangiato niente."

"Io neanche."

"Stai buona, dai, vieni via che dopo ti offro un bel gelato da

Giovanni. "

"Lo so io che ti dà. Un Calippo solo crema."

Ridono, perfino Schello si libera, scalciando via la sedia, che

sfortunatamente arriva di nuovo addosso al muratore che aveva

appena

capito, forse, dove si trovava. Tiro giù dal tavolo Gin per un

braccio. Sta per cadere ma la prendo al volo.

"Che è, che succede?"

"Per ora niente, ma è meglio andarsene."

"Aspetta... il giubbotto" torna indietro e prende al volo il

giubbotto

scuro Levi's e poi via.

"Ciao Vit, scusaci ma abbiamo una festa."

"Sì, una festa... sempre così voi, eh? Ve la farei io la festa!!

!"

Sembra scocciato, ma in realtà è come sempre divertito. È lì fermo

sulla porta. Ci guarda tutti uscire correndo, facendo un gran

casino.

Schello fa un salto, sbatte i piedi lateralmente uno contro

l'altro

alla John Belushi, gli altri ridono, Lucone e Bunny rubano

qualcosa

da mangiare dagli altri tavoli: una bruschetta, un pezzo di

salsiccia.

Balestri cammina lento. Ha lo sguardo stanco, un po' alticcio

o chissà cos'altro. Comunque sorride e allarga le braccia come

a dire "Son fatti così". Che poi il vero "fatto" è proprio lui.

Schello

ruba un pezzo di galletto strappandolo letteralmente dalla bocca

di una signora che va a vuoto con il morso. Quasi si morde la

lingua e sbatte indispettita il pugno sul tavolo.

"Ma non è possibile! Il boccone del re. Me l'ero lasciato per

ultimo."

Vit, che stava bevendo un bicchiere di vino, scoppia a ridere e

se lo versa addosso. Io passo in quel momento con Gin e per non

essere da meno frego alla signora una patata. Do un morso:

"Perfetta,

ancora calda, patate grosse come le fa Vit, tagliate a mano,

non surgelate, tieni".

Passo metà della patata rimasta a Gin.

"E poi non dire che non t'ho offerto la cena."

E corriamo via così, seguendo gli altri, mano nella mano. Lei

ride, scuotendo la testa con la mezza patata in bocca.

"Ma scotta..."

Finge di lamentarsi e ride e corre come una pazza. Con le gambe

in fuori, i capelli al vento e il giubbotto scuro. E in

quell'attimo,

di notte, ho un solo pensiero. Sono felice che mi abbia fregato 20

euro di benzina.

Capitolo 22.

Più tardi in macchina.

"Un po' eccessivi ma troppo simpatici i tuoi amici. A volte a

noi donne capita di uscire con certi morti."

"A noi donne... A noi donne chi?"

"Ok, allora diciamo che a volte 'a me' è capitato di uscire con

certi morti... Va bene così?"

"Un po' meglio."

"Va bene. Allora che dovrei dire: 'Sono mitici i tuoi amici! '. Va

meglio così?"

"Mitici. Che brutta espressione. Ancora con mitici. Sembra il

titolo di un film vanziniano. Di' epici casomai! "

Gin si mette a ridere: "Ok, touché".

Poi mi guarda e aggrotta le sopracciglia.

"Ops, scusa. Non lo capisci vero il francese?"

"Come no, touché, touché significa..."

Faccio di botto una curva strettissima. Mi arriva dritta fra le

braccia. Le sue tette finiscono in qualche modo tra le mie mani.

"Ecco, significa questo touché? Giusto?"

Prova a partire con uno schiaffo, ma questa volta sono più veloce

di lei. Lo paro al volo.

"Ops, scusa. Anzi, pardon! Non volevo proprio 'toucharti' ma

tu es très jolie! Allora come vado in francese? Comunque 'siamo

arrivati'. Ma questo proprio non lo so dire."

Scendo dalla macchina. Gin è infuriata.

"Toglimi una curiosità: se i tuoi amici sono così 'epici', come

dici tu, perché quando sei passato davanti all'appuntamento hai

fatto finta di non vederli?"

Cazzo. È micidiale. Non le sfugge niente. Cammino e le do le

spalle. Ma mi ha preso una fitta allo stomaco.

"E questo, ma forse non lo sai, si dice tombé, cioè colpito e

affondato, stronzo!"

Gin rientra nella sua macchina, accende al volo e parte a duemila

sgommando. Corro verso la moto. Ancora un metro e sono

arrivato.

"Ma guarda questo. Ma vaffanculo. Ma come se la tira, ma chi

si crede di essere? Ok, si chiama Step, e allora? Chi cazzo lo

conosce...

Sì, è un mito o è stato un mito, ma per i suoi amici. Gli epici,

come li chiama lui. E allora?"

"E allora un po' ti piace."

Mi ero sempre divertita fin da piccola a fare Gin 1 la vendetta

e Gin 2 la saggia. Almeno io le chiamavo così. La prima, Gin 1 la

vendetta, è Selvaggia. Tra l'altro da piccola avevo un'amica che

si

chiamava proprio così e mi sarebbe sempre piaciuto un sacco

rubarle

il suo nome. La seconda, Gin la saggia, è Serena, quella romantica

ed equilibrata. E Selvaggia e Serena discutono in continuazione

su tutto.

"Sì, mi piace e allora?"

"E allora hai sbagliato."

"Chiarisci meglio il concetto."

"Ok, mi piace molto! Mi piacciono i suoi capelli corti, le sue

labbra carnose, i suoi occhi allegri e buoni, le sue mani e... ah

sì,

mi piace un sacco il suo gran bel culo. "

"Come sei sboccata."

"Mamma quanto rompi."

"Ah, sì?"

"Sì!"

"Ma se ti piace tutta questa roba, allora spiegami... perché gli

hai fregato le chiavi della moto?"

"Perché nessuno può toccare le mie tette se non sono io ad

autorizzarlo.

È chiaro? E Step, il mito, anzi 'l'epico' non era autorizzato.

E queste belle chiavi me le tengo per ricordo."

"Sono sicuro che stavi pensando a me."

Cavoli, è Step, è in moto, ma come ha fatto a partire?

"Fermati e accosta sennò ti distruggo a calci questa specie di

catorcio."

Avrà fatto i contatti, porca miseria. Gin rallenta e alla fine si

ferma. Se ha staccato il blocchetto così velocemente ed è partito,

forse non sarà un mito ma è proprio sveglio.


"Allora? Brava, molto divertente."

"Che cosa?"

"Ah, fai pure la finta furba? Le chiavi."

"Ah sì, scusami. Me ne sono accorta solo adesso. Be', si vede

che... Sì, insomma, forse hai sbagliato giubbotto e le hai

infilate

nel mio."

La prendo per il bavero.

"No Step, ti giuro che non me ne sono accorta."

"Non giurare... falsa! "

"Be', forse le ho prese per sbaglio."

"Ah, per sbagliare hai sbagliato di sicuro, hai preso le chiavi di

casa."

"No, giura?"

"Ah, su questo giuro proprio."

"Non ci posso credere."

"Credici." La lascio andare: "Che farlocca che sei".

"Non mi chiamare farlocca" tira fuori le chiavi dal giubbotto e

me le lancia con forza. Mi sposto al volo e le prendo di lato:

"Farlocca,

non riesci neanche a colpirmi. Forza, sali in macchina che ti

riaccompagno a casa".

"No, non ti preoccupare."

"Mi preoccupo eccome. Tu sei una di quelle ragazze pericolose. "

"Che vuoi dire?"

"Che buchi un'altra volta, qualcuno ti aiuta a cambiare la gomma,

tu da brava farlocca ti fidi, fai una brutta fine e l'ultimo con

il

quale sei stata vista sono io."

"Ah, solo per questo?"

"Dicono che mi piace una vita tranquilla, quando si può. Oh,

poi non rompere, monta in macchina e basta."

Gin sbuffa e sale in auto. Accende il motore, ma prima di partire

tira giù il finestrino. "Ho capito perché lo fai."

Mi accosto con la moto: "Ah, sì e perché?".

"Così scopri dove abito."

"Questo catorcio è targato Roma R24079. Mi bastano dieci minuti

e un mio amico al Comune per sapere il tuo indirizzo. E mi

risparmierei

anche un sacco di strada. Cammina, farlocca presuntuosa!"


Parto sgommando. Cavoli, Step si ricorda la mia targa a memoria.

Io non sono ancora riuscita a impararla. In un attimo mi sta

dietro. Lo vedo dallo specchietto. Che tipo. Mi segue, ma non si

avvicina troppo. Che strano, è prudente. Non lo avrei mai detto.

Be', in fondo non è che lo conosco poi tanto... Mah!

Scalo e mi tengo lontano. Non vorrei che Gin facesse qualche

scherzo frenando di botto. È il metodo migliore per mettere fuori

uso un motociclista. Se ti dice bene non fai in tempo a inchiodi


dare. Ti giochi forcella e moto. Fai un bel botto e non puoi

ripartire

per l'inseguimento. Corso Francia, piazza Euclide, via Antonelli.

Se la tira la presuntuosa. Non si ferma a nessun semaforo.

Passa davanti all'Embassy a tutta velocità. Supera le macchine

ferme al semaforo, poi ancora dritta e gira a destra e poi a

sinistra,

sempre senza freccia. Un mezzo rincoglionito le suona il

clacson ma in netto ritardo. Via Panama. Si ferma poco prima di

piazzale delle Muse. Gin posteggia infilandosi al volo tra due

macchine

senza toccarle, con una sola manovra. Pratica e precisa. O

forse solo culo?

"Ehi, sei brava a fare manovra."

"Perché non hai visto il resto."

"Ma è possibile che non si possa mai dire niente senza che tu

debba dare l'ultima battutina?"

"Ok... Allora, grazie della cena, sono stata benissimo, sei stato

fantastico, i tuoi amici sono mitici, scusami epici. Scusa per

l'errore

delle chiavi e grazie per avermi accompagnato. Va bene così?

Dimentico

niente? "

"Sì, non mi inviti su da te?"

"Cooosa? Ma non se ne parla proprio. Non ho mai fatto salire

nessuno dei miei ragazzi, figuriamoci se adesso faccio salire te,

uno

sconosciuto. Ma figurati! ! ! "

"Perché, ce ne sono stati?"

"Di ragazzi?"

"Eh, di che sennò."

"Una cifra."

"E come facevano a sopportarti?"

"Erano forti in matematica. Facevano la somma e alla fine c'erano

molte più cose positive di tutto il resto. Ma purtroppo in

matematica

mi sa che invece tu vai male. "

"Veramente era l'unica cosa nella quale riuscivo così così."

"Ecco appunto, così così. È che qui ti mancano i numeri...

buonasera

signor Valiani..."

Mi giro per guardare chi saluta, non c'è nessuno. Sento il rumore

del cancello alle mie spalle.

"Ta dan!"

Mi rigiro: Gin è dall'altra parte del cancello che ancora vibra.

Se l'è chiuso dietro. È stata velocissima.

"Te l'ho detto, sei epico. Ma mi crolli sul banale."

Gin corre verso il portone. Fruga in tasca per trovare le chiavi.

Ci metto un secondo: destro, sinistro, scavalco il cancelletto e

corro verso di lei che cerca disperatamente la chiave del portone.

Pum. Le sono addosso e l'abbraccio da dietro. Fa un urlo. La tengo

ferma.

"Ta dan! Giocavi da piccola a uno due tre stella? Non hai fatto

in tempo a girarti che io ti ho presa. Ora sei mia."

I suoi capelli profumano. Ma non sono dolci. Odio i profumi

dolci. Sanno di fresco, di frizzante, di allegro, di vita. Si

dibatte cercando

di liberarsi ma la tengo stretta. "Se non vuoi farmi salire su

a casa possiamo conoscerci qui."

Prova a colpirmi con il tacco all'indietro, ma allargo veloce le

gambe.

"Liscio... Ehi, non sto facendo niente di male. Non ti ho messo

mica le mani addosso, ti ho solo abbracciata."

"Ma io non te l'ho chiesto."

"Ti pare che chiedi a uno 'dai, per favore, abbracciami'? Gin,

Gin... mi sa che una cifra di quei ragazzi lasciavano un po' a

desiderare.

"

Ho la mia guancia vicino alla sua. È liscia, morbida e fresca come

una splendida pesca, dolcemente dorata dalla peluria chiara,

trasparente, senza trucco. Apro le labbra e mi ci poggio sopra ma

senza baciarla, senza morderla. Muove la testa a destra e a

sinistra

per cercare di allontanarmi ma le sto attaccato come un'ombra. C'è

un vento leggero notturno che ci porta il profumo dei gelsomini

del giardino.

"Ehi, allora, come va? Ci hai ripensato?"

"Neanche per sogno."

Risponde in maniera strana, a voce bassa, in maniera quasi roca.

"Sì, ma ti sta piacendo..."

"Ma che dici?"

"Lo sento dalla voce."

Si schiarisce la gola.

"Senti, ti vuoi staccare o no?"

"No."

"Come no?"

"Ma scusa, me l'hai chiesto, giusto? E no è la mia risposta."

Ci riprovo. In silenzio. A bassa voce. Portato dal vento notturno.

"Toc toc, Gin, posso entrare?"

"Ma non sai cosa troverai."

"Non entro mai in nessun posto se non so come uscirne."

"Che bella frase."

"Ti piace? L'ho prestata a quelli del film Ronin."

"Scemo."

Le sta piacendo, forse. Mentre l'abbraccio la tengo stretta e

dondolo

con lei leggermente a destra e a sinistra, tenendole le braccia

lungo il corpo a bloccare le sue. Canticchio qualcosa. E Bruce ma

non so se la riconosce. Le mie note morbide e lente si trasformano

in un respiro caldo che si mischia ai suoi capelli poi più giù,

sul collo.

Gin abbandona le braccia. Sembra essersi lasciata un po' andare.

Continuo a cantare lentamente, muovendomi con il corpo. Lei

mi segue, ora complice. Vedo la sua bocca, bellissima. È

semiaperta,

sognante, sospira, ha una leggera increspatura. Forse un brivido.

Sorrido. La libero un po', ma non troppo. Mi allontano con il

braccio

destro. Lo porto su per il suo fianco. Piano piano. E lei mi segue

passo passo, con gli occhi nella penombra della notte, con

l'immaginazione

nel buio delle emozioni. Preoccupata che io possa toccare

qualcosa, come un bambino che scopre il trucco di chissà quale

splendida magia. Ma non è questo il mio desiderio. Lento, con

dolcezza,

smarrito tra i suoi capelli. Le accarezzo il collo, mi poggio con

il palmo sulla sua guancia. La spingo un po', giocando... Le

faccio

girare il viso a sinistra. Così, lentamente, Gin lascia andare il

suo viso

sul vetro, i capelli riversi in avanti, e d'improvviso,

seminascosta

da quel profumato cespuglio nero, compare la sua bocca. Come una

rosa d'amore appena dischiusa, morbida e bagnata. Sospira,

abbandonata,

e disegna piccole nuvole di vapore sul vetro di quel portone.

Allora la bacio. E lei sorride, mi lascia fare, un po' mordicchia,

un po' ci sta, ed è bellissimo. È drammatico, è commedia, è

paradiso,

no... E meglio. È inferno. Perché mi sto eccitando.

"Gin, ma sei tu?"

Una voce di uomo alle mie spalle. Proprio adesso... No! Non

ci posso credere. Il cancello, i passi... Non abbiamo sentito

niente.

Storditi dal desiderio. Mi giro al volo pronto a parare più che a

colpire.

D'altronde il suo uomo non ha tutti i torti. Lo guardo. È un

tipo non troppo alto, e un po' magro.

"Cavoli, non ci posso credere." Ha la faccia divertita più che

incazzata. Gin si rimette a posto i capelli, è scocciata ma non

più

di tanto.

"Be', invece credici o vuoi che ci baciamo di nuovo?"

Cavoli, è dura la tipa.

"Ah, per me."

Sono ancora con le mani alzate.

"Stefano, questo è Gianluca, mio fratello."

Abbasso la guardia, tiro un leggero sospiro, ma non è la

preoccupazione

del combattimento. Quella meno che mai. Altri pensieri.

Il che forse è più preoccupante.

"Ciao."

Gli do la mano e sorrido. Certo non è il modo migliore per

conoscersi.

Uno che ci prova con la sorella.

"Be', ora sei in buone mani, posso andare."

"Sì, non credo che lui mi violenterebbe."

Sorride, prendendomi in giro.

"Puoi andare, epico Step."

Mi allontano verso il cancello e li lascio così, fratello e

sorella,

sullo sfondo del portone. Accendo la moto e parto lasciando in

quel

profumo notturno dei gelsomini un bacio dato solo a metà.

Gianluca guarda Gin strabiliato.

"Ma sul serio, non ci posso credere!"

"Credici, tua sorella è una come tante, e se ti può consolare come

hai visto non è lesbica."

"No, non hai capito, non ci posso credere, ti stavi baciando con

Step!"

Gin finalmente ha trovato la chiave e apre il portone.

"Perché, lo conosci?"

"Lo conosco? Vorrei sapere a Roma chi non lo conosce."

"Eccomi. Hai l'esempio davanti a te, io non lo conoscevo."

Gin poi pensa tra sé, tanto è mio fratello, bugia più bugia meno.

"Non ci credo. Non è proprio possibile che non ne hai mai sentito

parlare. Dai, lo conoscono tutti. È uno che ne ha combinate di

tutti i colori, è uscito pure su un giornale, sulla sua moto

mentre

pinnava con la sua donna dietro, in mezzo alla polizia. Non ci

posso

credere! Mia sorella che bacia Step." Gianluca scuote la testa.

"È questo che è: il titolo del 'Gazzettino dello sfigato'?"

Entrano in ascensore.

"Comunque non so se ti crollerà un mito, ma il famoso Step, il

picchiatore, il duro, quello che fa la pinna con la donna

dietro..."

"Sì, ho capito, lui, allora?"

"Bacia esattamente come tutti."

Nello stesso istante Gin spinge il 4. Poi si guarda allo specchio.

Arrossisce. Con se stessa non ce la può proprio fare. Ha detto

un'altra

bugia. Più grossa. E lo sa benissimo.

Capitolo 23.

Notte. Corro con la moto a tutta velocità. Piazza Ungheria, dritto

verso lo zoo. Non trovo una parola per definire Gin. Ma ci provo

lo stesso. Simpatica, no, molto carina, macché! Bella, divertente,

diversa. Ma perché definirla poi. Forse è tutto questo messo

insieme.

Forse è ancora altro. Non ci voglio pensare. Una cosa mi

viene in mente però e mi fa sorridere. Con lei sono passato a

piazza

Euclide, seguendo la sua macchina. Non ho dato neanche uno

sguardo alla Falconieri, non ho pensato alle uscite di scuola di

Babi,

a me che l'aspettavo, al tempo che è stato. Ci sto pensando

adesso.

Improvviso, come un fulmine a ciel sereno. Un ricordo. Quel

giorno. Quella mattina. Come se fosse ora. Sono davanti alla sua

scuola. La osservo da lontano, la vedo scendere, ridere con le sue

amiche, chiacchierare di chissà che. Presuntuoso sorrido. Magari

di me... La aspetto.

"Ciao..."

"Ma dai, che bella sorpresa, mi sei passato a prendere a scuola."

"Sì, fuggi via con me."

"Mamma se lo merita. E sempre in ritardo."

Babi mi sale dietro sulla moto. Mi stringe subito forte.

"Cioè, non ho capito, non è per stare con me che fuggi, è per

punire tua madre che è ritardataria! Ma guarda che sei forte..."

"Ma scusa, se si possono ottenere tutte e due le cose, non è

meglio?"


Passiamo davanti a sua sorella che è lì che aspetta.

"Dani, di' a mamma che torno a casa più tardi. E tu non correre,

eh?"

Poco dopo a via Cola di Rienzo. Rosticceria Franchi. Usciamo

con una busta piena di quei supplì vegetali che fanno solo lì, che

le piacciono tanto, fritti da far paura, ancora caldi, con un

sacco di

fazzolettini, una bottiglietta d'acqua in due e una fame

incredibile.

Ce li mangiamo così, lei seduta sulla moto e io lì di fronte, in

piedi, senza parlare, guardandoci negli occhi. Poi improvvisamente

comincia a grandinare. Ma di brutto, in un modo incredibile. E

allora corriamo, corriamo come pazzi, e ci ripariamo sotto un

portone

chiuso, quasi scivolando pur di toglierci subito da quella

grandine.

Rimaniamo così, al freddo, sotto la sporgenza di un terrazzo.

Poi la grandinata piano piano si trasforma in neve. Nevica a Roma.

Ma non fa in tempo a toccare terra che quella neve si scioglie.

Noi

ci sorridiamo ancora per un attimo, lei dà un altro morso al suo

supplì, io provo a baciarla... E poi pluff, proprio come quella

neve

anche questo ricordo si scioglie. Non c'è mai un perché a un

ricordo.

Arriva all'improvviso, così, senza chiedere permesso. E non

sai mai quando se ne andrà. L'unica cosa che sai è che purtroppo

tornerà di nuovo. Ma di solito sono attimi. E ormai so come fare.

Basta non fermarsi troppo. Appena arriva quel ricordo,

allontanarsene

velocemente, farlo subito, senza rimpianti, senza concessioni,

senza metterlo a fuoco, senza giocarci. Senza farsi male. Ecco,

meglio... Ormai è passato. Quella neve si è sciolta del tutto.

Spengo la moto ed entro. Il portiere è sempre lo stesso:

"Buonasera,

che piacere rivederla".

Mi riconosce.

"Piacere mio."

In tutti i sensi, ma non glielo dico.

"Vuole che l'annuncio?"

"Se ce n'è bisogno."

Mi guarda e sorride.

"No, non c'è nessuno con lei."

"Ok, allora salgo e le faccio una sorpresa."

Entro nell'ascensore. Il portiere si affaccia.

"Niente cocomero stasera?" Faccio appena in tempo a rispondere

"No, stasera no". È incredibile. Non c'è niente da fare. Ai

portieri

non sfugge nulla. 202. Sono davanti alla porta e busso. Sento

i suoi passi veloci. Mi viene ad aprire senza chiedere chi è.

"Ciao!

Che sorpresa!" Eva è felice di vedermi: "Ho provato a chiamarti

sul tuo cellulare ma era spento. Eri in dolce compagnia?".

"Solo amici."

Mento e mi sento un po' in colpa, ma non so neanche perché.

Non ha proprio senso.

"Io non ti ho cercato."

"Be', sei venuto direttamente. Hai fatto bene, perché domani

parto di nuovo."

"Per dove?"

"Sudamerica, vuoi venire con me?"

"Magari. Ma devo stare a Roma, sai ho un po' di cose da fare."

"Ah, capisco."

Meno male che non mi chiede quali. In realtà non so neanch'io

quali sono queste cose. Iniziare a lavorare, iniziare una storia.

Finirne

finalmente un'altra. Quella. No. Non adesso. Non è proprio

il momento. Il suo ricordo sta tornando, ma lo cancello con

facilità.

Forse perché Eva ha addosso un altro completo. È carino ed

elegante come l'altro. Più trasparente. Le vedo il seno.

"Sai, Eva, non sapevo se passare, magari stavi con qualcuno."

"Dopo ieri sera... Ma per chi mi hai preso?"

Eva si mette a ridere, fa una faccia buffa e scuote la testa. Poi

si inginocchia. Mi sbottona i jeans e si bagna le labbra. Non mi

lascia

più dubbi. Già, per chi l'ho presa?

Capitolo 24.

Mattina. Vanni brulica di gente. Tutti indaffarati, vestiti bene,

benissimo, male, malissimo. Eterogenei, fino alla follia. Gli

utili e

gli inutili del grande paillettato mondo della televisione.

Comunque

presenti. Sempre.

"Ciao, direttore."

"Buongiorno, dottore."

"Avvocato, si ricorda di me? Non la volevo disturbare, ma che

ne è stato di quel progetto?"

"Ma è vero o no che hanno bloccato quella trasmissione?"

"Insomma, parte o non parte questo benedetto programma?"

"Comunque dobbiamo assolutamente metterci dentro questa

ragazza."

"Ma com'è, bella?"

"Che importanza ha? Tanto deve esserci."

E giù di lì. Creare, manipolare, guadagnare, ungere, trattare,

ricattare,

costruire, entusiasmare, produrre e mietere ore e ore di

televisione.

Comunque vada, con idee nuove, vecchi format, scopiazzature

qua e là, ma comunque trasmettere. In mille modi attraverso

quel piccolo elettrodomestico che tutti abbiamo conosciuto appena

nati. Lei, la tv, il nostro grande fratello, o come sorelle, la

nostra piccola

seconda mamma. O forse la prima e l'unica.

Ci ha fatto compagnia, ci ha voluto bene, ci ha allattato di

generazione

in generazione, con lo stesso latte catodico, fresco, a lunga

conservazione, andato a male...

"Hai capito?"

"Insomma questo è quello che pensi. E sei venuto fin da Verona

per fare tv. "

"Per creare immagini e loghi in maniera nobile e... giù di lì."

"E basta con questo 'giù di lì'. È approssimativo, troppo

approssimativo."

Marcantonio mi guarda. Sorride.

"Bravo, stai migliorando. Aggressivo e figlio di puttana, così mi

piaci. "

"La riconosco: Platoon."

"Cominci sul serio a stupirmi... Vieni, andiamo a vedere a che

punto è il TdV. "

"EcheèilTdV?"

"Ma come, non lo sai? Il Teatro delle Vittorie, tempio storico

della televisione che fu. "

"Se è 'tempio storico' allora andiamo,"

Attraversiamo la strada. Una bancarella di libri occupa lo spazio

dei giardini. Ragazzi e ragazze dall'aria più o meno intellettuale

sfogliano libri a basso costo. Una ragazza cicciotta ha in mano

un libro di ricette. Marcantonio non se la lascia sfuggire.

"Compra sesso e sport, è più gratificante."

Ride da solo mentre lei lo guarda semiavvilita. Marcantonio si

accende al volo una Chesterfield e la fuma con avidità mimando

chissà quale atto sessuale, secondo lui.

"Buongiorno, Tony."

"Salve conte, come va?"

"Male da quando la monarchia è caduta."

Tony scoppia a ridere. Lui, semplice vigilante del Teatro delle

Vittorie, si diverte a stare lì. Nel suo piccolo ha trovato il

potere.

Gestisce la porta. Fa entrare gente importante, direttori,

comparse,

attori, ne ferma altra solo perché non ha un pass. Insomma un

buttafuori del varietà.

"E c'hai ragione, conte. Almeno me potevi manda' una squadra

di plebei per aprire 'sta porta di sicurezza. È una settimana che

ho chiamato i tecnici. Aho, non s'è visto nessuno."

Be', comunque, penso, è un preciso. Poi si avvicina e ci confida

a bassa voce. "Mica per niente, è che passavo da 'sta porta per

andare a piscia' al bagno di sotto. Così invece devo fa' tutto il

giro...

'na rottura de cojoni."

E scoppia a ridere, semplice improvvisato, opportunista di

comodità.


"Perfetto, Tony, abbiamo finalmente chi risolverà questo tuo

problema di fondamentale priorità. "

"E chi sarebbe?"

"Lui, Step!"

"E chi è, uno della tua corte?"

"Ma scherzi. Eroe di regale importanza... Straniero nella terra

che allora dominava da tiranno... E poi scusa, Tony, vuoi piscia'

in

fretta o no?"

"Magari... A Step, se ci riesci te devo un favore."

"Tony... Eroe di regale importanza vuol dire solo nobiltà d'animo.

Un eroe non è uno che mercanteggia, eh? ! Quindi caso mai

il favore lo devi a me."

"Va be', che c'entra, la porta l'aggiusta lui... Mi sembrava più

carino."

Potrebbero continuare per ore. L'eroe, sì insomma quello che

è, comunque, io decido di interromperli.

"Be', quando avete finito e mi spiegate dov'è la porta..."

"Hai ragione, scusa..."

Tony ci fa da guida: "Venite di qua". Dentro al teatro tutti

battono,

grande rumore di ferro, seghe elettriche, saldatori.

"È quasi finito. Stanno a monta' le luci" quasi si scusa Tony.

"Ecco, è questa la porta, c'ho provato in tutti i modi. Niente,

nisba. Non c'è un cazzo da fare."

La guardo attentamente. È una di quelle porte a pressione, si

deve essere bloccata la serratura laterale. Qualcuno avrà messo il

blocco interno. Forse lo stesso Tony e non se lo ricorda o non

vuole

ammettere di aver fatto questa cazzata. Ci vorrebbe la chiave.

Oppure: "Hai una sbarra di ferro non troppo larga?".

"Tipo questa?" ne prende una da una cassetta poggiata lì a terra:

"Si capisce che c'ho provato in tutti i modi, eh?".

"Abbastanza." Fisso la sbarra nella serratura e do una botta

secca con forza. Neanche tanta poi. "Apriti sesamo."

E la porta si apre d'incanto. "Et voilà, ecco fatto."

Tony è tutto felice, sembra un ragazzino. "A Step, non so come

ringraziarti, sei magico."

Gli riconsegno la sbarra.

"Be', non esageriamo."

Marcantonio prende in mano la situazione: "Giusto, non esageriamo.

Ricordati solo che ci devi un favore ciascuno, eh?".

"Fattibile, fattibile..." sorride Tony e, rincuorato, inaugura la

porta andando a pisciare. Marcantonio mi fa l'occhiolino e mi

passa

davanti.

"Vieni, ti faccio vedere il teatro." Scendiamo giù, nel palco.

Oltre

le sedie della platea, sotto il grande arco della galleria. Ed

eccole

lì. Al suono di una musica avvolgente. Le ballerine. Tute

colorate,

scaldamuscoli abbassati, capelli lunghi o corti o in parte rasati

e

disegnati. Le ballerine. Bionde, brune, capelli rossi o pennellati

di

blu. Con il fisico scolpito, asciutto, magro, con gli addominali

definiti.

Con le gambe muscolose e un fondoschiena arrotondato ma

compresso. Pronto a esplodere in una spaccata su una nota acuta.

Perfette, padrone di movimenti agili e scattanti, affaticate ma

comunque

sorridenti. La musica ad alto volume riempie tutto il

palcoscenico.

E loro si lasciano portare, si incastrano, si incrociano, si

uniscono a tempo, si abbandonano indietro, si lasciano andare, la

vivono sottomesse. Grandi proiettori le esaltano vestendole di

fasci

di luce. Accarezzano le loro gambe scoperte, i loro seni piccoli,

quei

costumi ridotti. "Stop! Bene, bene, basta così!"

La musica si stoppa. Il coreografo, un piccolo uomo di circa

quarant'anni, sorride soddisfatto.

"Bene, facciamo una pausa. Riproviamo più tardi."

"Questo è il balletto."

"Sì, lo avevo capito."

Ci sfilano vicine sorridendo tutte un po' di fretta per non

freddarsi,

ancora accaldate ma profumate e leggere. Due o tre baciano

Marcantonio: "Ciao ragazze". Sembra conoscerle bene. A una

addirittura

dà una leggera pacca sul sedere. Lei sorride per niente

imbarazzata,

anzi: "Non mi hai più chiamata".

"Non ho potuto."

"Cerca di potere." E scappa via così, con un sorriso pieno di

promesse.

Mi guarda alzando il sopracciglio destro: "Ballerine... Quanto

amo la tv!".

Sorrido guardando l'ultima. È un po' più piccola delle altre,

esce correndo, è rimasta indietro per prendere la sua felpa.

Rotonda

e guizzante con un po' di roba in più ma tutta al posto giusto.

Mi sorride. "Ciao. " Non faccio in tempo a rispondere che è già

volata via.

"Comincio ad amarle anch'io."

"Bravo, così mi piaci. Allora questo è il palcoscenico e quello

è il nostro logo. Vedi, lì sul boccascena: 'I grandi geni'.

Modestamente

opera mia..."

"Non avevo dubbi, si riconosce dal tratto..."

Mento spudoratamente.

"Ma che, mi stai prendendo per il culo?"

"Scherzi?" sorrido.

"Be', lo stesso logo è già in 3d in grafica. Il programma è

questo:

una serie di persone comuni, dei veri e propri inventori, viene

qui sul palcoscenico e mostra come ha risolto un piccolo o un

grande problema della nostra società con una loro semplice

intuizione."

"Forte come idea."

"Noi li presentiamo, ci mettiamo il balletto intorno, ci

costruiamo

lo spettacolo sopra e loro mostrano l'idea che gli è venuta

in mente con tanto di prototipo depositato. È semplice come

programma ma credo che interessi alla gente. Non solo, ma quelli

che presentano qui da noi le loro invenzioni hanno un trampolino

di lancio con la tv che li può portare chissà dove. Possono fare

soldi

veri con le loro invenzioni. "

"Ah certo, se sono interessanti e se servono veramente a

qualcosa."


"Lo sono. Guarda che è forte questo programma. È un'idea di

Romani... Secondo me sarà un grande successo come tutto quello

che fa. Romani... Lo chiamano il re Mida della tv."

"Per quanto guadagna?"

"Per i successi che fa. Tutto quello che tocca dà grandi

risultati."

"Bene, allora devo essere felice di lavorare con lui."

"Be', hai iniziato dalla cima. Eccoli."

Li vedo entrare quasi in processione. Romani è davanti al gruppo.

Lo seguono due ragazzi sui trentacinque anni, uno robusto,

completamente calvo con degli occhiali scuri sulla testa, l'altro

magro

e un po' stempiato. Dietro di loro c'è un tipo con i capelli

lunghi

ma ordinati. Ha l'aria furba, si guarda continuamente intorno.

Ha un naso aquilino, uno sguardo nevrotico e a scatti. Indossa un

completo di velluto verde scuro senza più risvolti. L'orlo dei

pantaloni

è stato risistemato da poco. Si vede la piega più scura.

Sicuramente

ha dato alle sue gambe qualche centimetro in più e alla

sua eleganza qualcosa in meno. Se questo era ancora possibile.

"Allora, a che punto siamo?" Romani si guarda in giro. "Ma

non c'è nessuno?" Arriva di corsa un uomo basso dai capelli biondi

e gli occhi celesti. "Buongiorno, maestro. Sto finendo di montare

le luci, per stasera è tutto a posto."

"Bravo Terrazzi, lo dico sempre che sei il migliore."

Terrazzi sorride compiaciuto.

"Torno alla consolle per fare i punti luce."

"Vai, vai."

Il tipo con i capelli lunghi si avvicina a Romani: "Bisogna sempre

incoraggiarli, eh? Dargliela calda così danno di più, vero?".

Romani stringe gli occhi e lo guarda con durezza.

"Terrazzi è bravo sul serio, il più bravo. Fa le luci da prima che

tu fossi nato."

Il tipo con i capelli lunghi torna in silenzio al suo posto.

Si mette in fila, per ultimo. Riprende a guardarsi intorno, finge

di interessarsi a un angolo qualunque della scenografia. Alla

fine,

per sfogarsi con qualcuno, se la prende con la sua mano destra

e comincia a mangiarsi le unghie.

"Quelli sono gli autori. Romani è anche il regista, te lo ricordi

no?" me lo dice in modo ironico.

"Come no. È quello che ci dà lavoro."

"Gli altri due, quello robusto e quello magro, sono Sesto e

Toscani,

il semipelato e il pelato. Li chiamavano 'il Gatto e la Volpe',

e da sempre sono i due schiavi di Romani. Poi hanno provato a fare

un programma da soli, gliel'hanno chiuso dopo due puntate e

da allora li abbiamo ribattezzati 'il Gatto & il Gatto'. In quel

gruppetto

l'unica vera volpe è solo Romani, e di razza. Poi oltre a il Gatto

& il Gatto, c'è Renzo Micheli, il Serpe. Quello bassetto e un po'

cicciotto con i capelli lunghi e il naso adunco, è di Salerno, ha

le

mani in pasta dappertutto e un fiato da imbarazzare perfino un

topo.

Romani se lo porta dietro da più di un anno. Credo sia figlio

obbligato di un favore costato troppo. Lo chiamano Serpe perché

parla male di tutti, perfino di Romani, anzi soprattutto di lui

che è

il suo unico skipass in quest'ambiente. E la cosa più assurda è

che

Romani lo sa benissimo."

"Serpe, forte come soprannome."

"Step, attento a lui, ha quasi quarant'anni, molti amici nel

potere

e ci prova con tutte, soprattutto con le ragazzine. "

"Allora ti sbagli Mazzocca, se è così, è lui che deve stare

attento

a me. E ora fammi vedere dove è la nostra postazione. "

Capitolo 25.

"Gin, non ho capito perché ti ostini a portarmi con te ai provini,


non hai capito che sono l'eterna scartata?"

Guardo Eleonora e sorrido. Lei invece scuote la testa.

"Cioè, secondo me, tu Gin ci godi a vedermi bocciare. Ti devo

aver fatto qualcosa in un'altra vita o chissà cosa in questa."

"Ma Ele, non dire così. È che mi porti fortuna."

"Ho capito, ma non potevi essere come tutte, che ne so, portarti

un cornetto in tasca, un animaletto tipo una ranocchia, un

porcellino,

l'elefante con la proboscide in su?"

"No, Iwant you."

"Sembri lo zio Sam con i poveri soldati americani. Ci manca

solo che decidi di fare un provino in Vietnam."

"E tu naturalmente mi seguiresti."

"Certo, come no... ti porto fortuna! "

Poi uno scontro improvviso.

"Porca puttana, il mio frozen."

Marcantonio ha tutto lo yogurt versato sulla giacca. Gin scoppia

a ridere: "Porti fortuna, ma non a lui".

"Ehi, ragazze, ma perché non guardate avanti mentre camminate?"


"Ma perché scusa tu invece che guardavi? Il tuo yogurt?"

"Sì, solo che adesso vivo di ricordi."

"E allora perché devi dare la colpa a noi?"

Esco poco dopo con il mio frozen ancora intatto. E vedo Gin.

Non ci posso credere. Anche lei qui. Mi viene da ridere. Mi

avvicino.


"Guarda, guarda chi si vede. Aspetta, ho capito. Vuoi che ti offra

anche il pranzo."

"Io? Ma che, scherzi? Una cena basta e avanza. Piuttosto, che

ci fai qui da Vanni? Aspetta, ah, ho capito, mi hai seguito."

"Calma, calma. Perché pensi sempre che tutto ruoti solo e

sempre intorno a te? Non lo vedi? Prendo un frozen con un mio

amico."

"Strano. È una vita che vengo qui e non ti ho mai incontrato."

"Una vita non credo. Forse sei venuta in questi ultimi due anni

che ero fuori. "

Marcantonio interviene: "Scusate, non è che vi dispiace se mentre

fate tutta la vostra cronistoria io entro a pulirmi... E poi

sbrigati,

Step, che noi abbiamo un appuntamento importante".

Marcantonio rientra da Vanni scuotendo la testa. Eleonora

alza le spalle: "Che cafone il tuo amico, non si è neanche

presentato".


"Non ho capito, gli fai rovesciare addosso il suo frozen e

pretendi

pure che ti faccia l'inchino. Mi sembra di capire che sei una

degna amica di Gin. " Poi mi rivolgo a lei.

"Be', allora? A parte fare danni, che combinate da queste parti?"

Eleonora risponde spavalda: "Siamo venute a fare un provino".

Gin le dà una gomitata. "Ahia."

"Non ti sbilanciare, non lo conosci neanche e lo metti al corrente

delle nostre cose."

Do un'assaggiata al mio frozen. Buono, non c'è male: "E chi

siete, un nuovo gruppo? Le Spy Girls?".

"Ah, ah... Sai Ele, lui ha delle battute fenomenali. Tutto sta a

capire quando sono o non sono battute. "

"Ah, ecco."

"Be', no, questa non era una battuta, è una realtà. Molte ragazze

vengono prese per lavorare in agenzie investigatrici. E i tipi

come voi danno poco nell'occhio."

"Sì, un cazzotto nell'occhio ti dovevo dare. Ieri sera quando ci

provavi come un disperato..."

Ele ci guarda sorpresa: "Questa non me l'avevi raccontata!".

Gin sorride guardandomi.

"È stata una cosa così poco importante, che mi era passata di

mente!"

Mi levo il cucchiaino dalla bocca e cerco di raccogliere del

frozen

sul fondo della coppetta.

"Le hai detto che a un certo punto sospiravi?"

"Vaffanculo!"

"Questo ieri sera non mi sembra che lo hai detto."

"Te lo dico oggi, due volte: vaffanculo! "

Sorrido. "Adoro la tua eleganza."

"Peccato che non puoi apprezzarla del tutto. Be', noi dobbiamo

andare, mi dispiace solo di una cosa... Ele, scusa ma non potevi

rovesciarlo addosso a lui lo yogurt, acido per acido."

Si allontanano. Le guardo andare via. Gin la dura e l'amica sua,

un po' più bassa. Ele come la chiama lei, Elena, Eleonora o chissà

cos'altro. Fanno ridere. "Ehi salutatemi Tom Ponzi!"

Gin senza neanche voltarsi alza la mano sinistra e in particolare

indica il cielo con il dito medio alzato. Arriva Marcantonio

giusto

in tempo per vedere quel saluto.

"Ti adora, eh?"

"Sì, è in visibilio per me."

"Ma che gli farai tu alle donne, devo temerti, cazzo, devo

temerti.

"

Gin ed Ele continuano a camminare. Ele sembra sul serio scocciata.


"Si può sapere come mai non mi hai raccontato nulla?"

"Ma ti giuro Ele, mi è passato di mente, sul serio."

"Sì, senz'altro... Cioè, tu ti baci con quel bono della miseria e

ti passa di mente!"

"Sul serio ti piace così tanto?"

"Be', bono è bono, però non è il mio tipo. Io preferisco

quell'altro.

Sembra Jack Nicholson da giovane. Secondo me ha un sacco

di pensieri spinti. Mi dà più l'idea del porco."

"E ti piace un porco?"

"Be', il sesso deve essere anche fantasia e io l'avrei

sbalordito...

Mi mettevo a leccargli tutti i vestiti che gli ho sporcato di

frozen e

poi cominciavo a strapparglieli via con i denti. "

"Sì, e poi ti arrestavano davanti a Vanni."

"Piuttosto chi è quel bono della malora?"

"Della miseria avevi detto."

"Va be', quello che è. Che fa, dove abita, come l'hai conosciuto,

sul serio vi siete baciati, ma come si chiama?"

"Altro che Tom Ponzi, sei molto peggio. Ma che, devo rispondere

veramente a questa smitragliata?"

"E certo, che aspetti?"

"Allora rispondo a tutte, eh? Non lo so, non lo so, l'ho

conosciuto

ieri sera, c'è stato un bacio, si chiama Stefano."

"Stefano?"

"Step."

"Step? Step Mancini?"

Eleonora strabuzza gli occhi e mi guarda.

"Sì, si chiama Step e allora?"

Mi prende per il giubbotto e mi scuote tutta.

"Non ci posso credere, yaoo! Passeremo agli annali. Minimo

quando racconto la notizia usciamo su 'Parioli Pocket'. Step il

picchiatore,

il duro. Ha una Honda 750 Custom blu scura, corre come

Valentino Rossi, ha fatto a botte con mezza Roma, stava fisso a

piazza Euclide, amico di Hook, di Schello e per la sua donna ha

litigato

perfino con il Siciliano. Step e Gin incredibile! "

"Oh, ma lo conoscete tutti 'sto Step, l'unica a non conoscerlo

ero io."

"E lui con chi si mette? Con te!"

"A parte che non ci siamo messi insieme, primo. Secondo, chi

è questa sua donna?"

"Ah, allora ti interessa. Sei crollata!"

"Macché! Sono curiosa e basta."

"Stava con una un po' più grande di noi, credo, una bella ragazza,

andava alla Falconieri. È la sorella di Daniela, quella dedotta

che stava con Palombi, quello che stava..."

"Ho capito che stava con Giovanna che stava con Piero che stava

con Alessandra eccetera eccetera. La tua rete infinita. Va be',

non conosco nessuna di queste persone e soprattutto non me ne

frega niente. E ora andiamo a fare il provino che ho bisogno di

soldi.

Mi voglio comprare il motorino per me e mio fratello."

"Ma non puoi chiedere i soldi ai tuoi?"

"Non se ne parla. Dai, tira fuori i documenti."

Gin ed Ele prendono la carta d'identità e la mostrano al tipo

alla porta. "Ginevra Biro ed Eleonora Fiori, dobbiamo fare il

provino

come centraliniste, ma in video, cioè appariamo."

Il tipo dà un'occhiata ai documenti, poi controlla sul foglio di

una cartella. Segna con una penna al bordo del foglio. "Aho e meno

male. Entrate che cominciano fra poco. Mancavate solo voi."

Capitolo 26.

Ragazze schierate al centro del palcoscenico. Alte, bionde, brune,

leggermente rosse, appena tinte di henné. Più o meno eleganti,

casual o pseudokitsch nel disperato tentativo di mettere insieme

due cose fintamente intonate. Scarpe da ginnastica sotto perfetti

completi grigi, la moda del momento, vecchie zeppe troppo alte

per una moda ormai smussata. Nasi dritti o malamente rifatti, o

non ancora ritoccati per insufficienza di soldi. Alcune

tranquille,

altre nervose, altre ostinate con quel piercing spavaldo, altre

ancora,

più timide, rimaste bucate da un piercing sbullonato da poco.

E tatuaggi più o meno scoperti, chissà quanti altri nascosti. Le

ragazze

dei provini. Gin ed Ele si infilano di nascosto tra le ultime.

"Allora..."

Romani, il Gatto & il Gatto, il Serpe e qualche altro addetto ai

lavori sono tutti seduti in prima fila pronti al piccolo grande

spettacolo,

un po' di divertimento prima delle vere fatiche.

Mi siedo in fondo alla fila, con il mio frozen ancora da due

cucchiaiate

e mi gusto da lontano la scena. Gin non mi vede. Sembra

sicura di sé, tranquilla, con le mani in tasca. Non so dire a che

gruppo

appartiene. Mi sembra unica. Pure la sua amica non scherza.

Muove ogni tanto la testa nel tentativo di portare indietro i

capelli.

Il coreografo ha un microfono in mano.

"Allora, adesso fate un passo in avanti, vi presentate, nome e

cognome, età e che lavori avete già fatto. Guardate la telecamera

centrale, la due, quella con la lucetta rossa dove c'è sopra quel

signore

che ora vi saluta. Saluta Pino! "

Il tipo seduto sulla telecamera centrale, senza staccare il volto

dal suo monitor, lascia per un attimo la telecamera, alza la mano

e

saluta verso di loro.

"Ok! Avete capito?"

Qualche ragazza accenna un sì incerto con la testa. Gin

naturalmente,

come potevo immaginare, non si muove.

Il coreografo deluso butta giù le braccia, poi al microfono: "Ehi

ragazze, fatemi sentire la vostra bella voce, ditemi qualcosa...

Fatemi

sentire che esisto". Dalle ragazze si alza un mezzo coretto

scoordinato

di sì, va bene, d'accordo, perfino qualche sorriso.

Il coreografo sembra più soddisfatto.

"Bene, allora cominciamo."

Marcantonio mi si avvicina.

"Aho, Step, che fai qui dietro? Andiamo avanti, ci mettiamo

nelle prime file, si vede meglio."

"No, io me la gusto da qui."

Come vuoi.

Si siede vicino a me.

"Vedrai che Romani ci chiama. Su ogni cosa vuole anche il nostro

parere."

"Eh, e quando ci chiama ci andiamo."

Una alla volta le ragazze si passano un microfono e si presentano.

"Ciao sono Marelli Anna, ho diciannove anni. Ho partecipato

a diverse trasmissioni come valletta e sto studiando Legge. Ho

fatto anche una particina in un film di Ceccherini..."

Renzo Micheli, il Serpe, sembra sul serio interessato.

"Che parte facevi?"

"La prostituta, ma era solo una posa."

"E ti è piaciuta la parte?"

Tutti sghignazzano ma senza farsi vedere troppo.

Solo Romani rimane impassibile. Marelli Anna risponde:

"Sì, mi piace il cinema. Ma secondo me ho più futuro in

televisione".


"Bene, andiamo avanti con la prossima."

"Buongiorno, sono Francesca Rotondi, ho ventun anni e sto

per laurearmi in Economia. Ho fatto..."

Romani si gira a destra e a sinistra guardandosi in giro, poi ci

vede.

"Mazzocca, Mancini, venite più vicino."

Marcantonio mi guarda alzandosi. "Che ti avevo detto?"

"E noi andiamo, sembra un po' di stare a scuola, ma se fa parte

del gioco..."

Le ragazze dei provini hanno la luce in faccia e non possono

vedere. Un'altra ragazza si presenta e un'altra. Poi comincia

quella

vicino a Gin. Finisco per sedermi in prima fila a destra. Lei

ancora

non mi ha visto. Ele invece, la sua amica, sì.

Ele naturalmente non si lascia scappare l'occasione.

"Ehi, Gin." Sottovoce. "Guarda chi abbiamo in prima fila."

Gin coprendosi con la mano gli occhi dalla luce si sposta un po' e

mi vede. Mi porto la mano destra vicino al viso e senza farmi

vedere

la saluto. Non la voglio prendere in giro. Lo capisco che è lì

per lavoro. Ma lei niente, non la prende bene e di nuovo, come al

solito, con la mano sinistra, stesa lungo i fianchi mi mostra il

suo

dito medio mandandomi affanculo. E tre.

"Tocca a te, bruna."

È il suo momento ma distratta viene presa alla sprovvista.

"Che è, oh? Ah, sì. " Prende il microfono che la ragazza alla sua

destra le allunga. "Sono Ginevra Biro, diciannove anni, studio

Lettere

indirizzo spettacolo. Ho partecipato a diverse trasmissioni nel

ruolo della valletta. Ta dan." Gin spinge le mani in avanti e poi

in

alto facendo un passo in avanti e mezzo inchino. "Se avevo la

solita

busta era volata via. "

Poi ritorna al suo posto. Tutti ridono divertiti.

"Forte questa."

"Sì, simpatica e pure carina."

"Già, molto in gamba."

Rimango così a guardarla anch'io divertito. Lei mi guarda,

spavalda

e sicura, per niente intimorita di trovarsi lì davanti a tutti,

sotto

i riflettori. Anzi, mi fa anche una smorfia. Mi sporgo verso

Romani.

"Scusi dottor Romani..." lui si gira verso di me.

"Posso fare una domanda a questa ragazza, sa, per conoscerla

meglio."

Mi guarda incuriosito.

"È una domanda professionale o vuoi il suo numero?"

"Assolutamente di lavoro."

"E allora, certo, siamo qui per questo."

ritorno seduto, la guardo e mi concedo un attimo. Poi parto.

"Quali sono le sue prospettive per il futuro?"

"Un marito e tanti bambini. Tu se vuoi puoi fare il bambino."

Cazzo. Ko, mi ha steso. Tutti ridono come pazzi. Si sbellicano

più del dovuto. Perfino Romani ride e mi guarda allargando le

braccia

come a dire "ha vinto lei". E ha vinto sul serio. Neanche mi fossi

incontrato con Tyson. Mi avrebbe fatto meno male. Ok, come

vuoi Gin. Me ne frego degli altri e riparto.

"E allora scusi, perché è qui a fare provini invece di darsi alla

sana e giusta ricerca di quest'uomo?"

Gin mi guarda e sorride. Si finge buona, ingenua e risponde

come la più santa delle donne.

"E perché non potrebbe essere proprio qui il mio uomo ideale?

La vedo preoccupato, ma non dovrebbe, perché lei naturalmente

dalla mia ricerca è escluso."

Qualcuno ancora sghignazza.

"Ok, adesso basta" dice Romani. "Abbiamo finito?"

"No, veramente ci sarei ancora io."

L'amica di Gin, Ele, fa un passo avanti mostrandosi.

"Bene, si presenti."

"Sono Eleonora Fiori, vent'anni. Ho tentato di partecipare a

diverse trasmissioni, con scarsi risultati, però studio disegno,

lì invece

ottengo ottimi risultati. "

Qualcuno sottovoce se ne esce con una stupida battuta.

"E perché non continui, allora?"

Deve essere stato Sesto, quello del Gatto & il Gatto. Ma nessuno

ride. Allora Micheli, il Serpe, si guarda intorno. Romani finge

di non aver sentito. E naturalmente fa così anche lui. Toscani,

l'altro Gatto, ride per un attimo. Poi, quando capisce che non gli

conviene, si spegne in una specie di tosse leggera, una finta

raucedine

improvvisata.

"Benissimo, grazie signorine."

Romani si avvicina al coreografo, guarda il foglio che ha in mano

e segna con il dito alcuni nomi. Poi ci guarda e viene verso di

noi.

"Avete qualche preferenza?"

Guardo il foglio. Ci sono alcune crocette al lato delle ragazze.

Cinque o sei sono state scelte. Guardo giù, a fine lista. Eccola

lì.

Ginevra Biro ha già la sua crocetta. Incredibile, io e Romani

abbiamo

gli stessi gusti, sorrido. Non è così difficile, poi. Sesto e

Toscani

ne indicano una per uno, Romani li accontenta. Il Serpe ne

indica addirittura due, ma Romani gliene passa una sola. Poi

arriva

anche Mazzocca e dà la sua indicazione.

"Romani, ti potrà sembrare assurdo, ma dobbiamo prenderne

una. Può non piacerti, ma se ci rifletti bene, sceglierla è

geniale."

"Sentiamo, qual è?"

"Piacerà a tutte le persone insicure, a quelle che a casa pensano

di non potercela fare. Quella la devi prendere, Romani."

"Quale?"

"L'ultima."

Il Gatto & il Gatto seguiti dal Serpe partono quasi all'unisono.

"Buuu. " È un'indignazione generale la loro. Romani non dice

niente,

i tre non sentendolo si fermano. Il Serpe ormai si è pronunciato

troppo.

"Ma è un'assurdità. Ma che, facciamo una miss Italia al contrario?

Ci mandate i sottotitoli con la spiegazione a casa..." Decide

di tenere il punto. Mazzocca scuote la testa.

"È un'idea forte. Ci stavi già pensando Romani, vero?"

Romani rimane per un po' in silenzio. Poi all'improvviso sorride.

"No, non ci avevo pensato, ma è giusta, molto giusta. Ok, segna

anche questa, Carlo. " Il coreografo non ha capito nulla ma mette

quell'ultima sospirata crocetta!

"Ok, allora, ragazze..."

Il coreografo abbandona le prime file e si porta al centro del

palcoscenico. "Ringrazio fin da adesso quelle che hanno

partecipato

ma che non sono state scelte..."

Ele alza le spalle "Prego".

Gin le dà una botta con il gomito.

"E non fare sempre la pessimista. Sii costruttiva, positiva, tu te

le chiami certe sfighe. "

Il coreografo inizia a leggere. "Allora, Calendi, Giasmini,

Fedri..." E alcune delle ragazze improvvisamente si accendono,

sorridono,

fanno un passo in avanti. Altre, il cui nome è stato ormai

superato nella fila, si spengono vedendo nuovamente lontano il

sogno

di brillare anche se solo per un attimo in tv. "Bertarello, Sole

si, Biro e Fiori." Gin ed Ele fanno per ultime un passo in avanti.

Ele la guarda.

"Non ci posso credere. Ora fanno come in Chorus Line che

quelle che fanno un passo in avanti vengono mandate via e le altre

rimangono."

"Allora, quelle che ho chiamato iniziano da lunedì prossimo. Mi

raccomando, a mezzogiorno negli uffici per il contratto e alle due

qui in teatro che cominciano le prove. Le prove vanno dal lunedì

pomeriggio

al sabato. Il sabato sera c'è la diretta, è tutto chiaro?"

Una delle ragazze scelte, una delle più carine, con degli occhi

enormi e un'espressione un po' tonta alza la mano.

"Che c'è?"

"Veramente io non ho capito."

"Che cosa?"

"Quello che ha detto."

"Cominciamo bene. Allora tu stai attaccata a quella con i capelli

rossi che ti sta vicino e fai sempre quello che fa lei. Questo

l'hai capito?"

"Più o meno." Fa la ragazza scocciata guardando la rossa che

le sorride cercando di darle più o meno sicurezza. Forse anche lei

non ha capito bene qualcosa.

Ele si mette la mano nei capelli.

"Non ci posso credere, mi hanno presa!"

"E invece credici. L'hai finita con questa storia della scartata."

Ginevra ed Ele vanno verso l'uscita.

"Diventerò una star! Yaooo! Non ci posso credere!"

"Be', su questo mi manterrei sul calmo."

Tony le vede, le saluta divertito.

"Allora com'è andata?"

"Benissimo."

"A tutte e due?"

Ele lo guarda storcendo la bocca.

"Eh già, prese tutte e due e per prime" ed escono ridendo

divertite

e prendendosi a spinte. "Ogni tanto bisogna sapersela vendere

bene, no?"

"Porca trota... la macchina! "

"Dov'è?"

"Non c'è più." Ginevra si guarda in giro preoccupata. "L'avevo

parcheggiata qua davanti. Mia... Me l'hanno fottuta. Ladri di

merda!"

"Ehi, non te la prendere con i ladri." Le dico spuntando alle

sue spalle insieme a Marcantonio. "Ma chi se lo fotte quel

catorcio?

"Non ti ci mettere pure tu adesso. Mo' devo fare la denuncia."

"Ma te la sei chiamata. Ti pare che dai come soprannome alla

macchina Mia?"

"Ma se è Mia!"

"Era tua, ora è loro o sua. Insomma, basta solo che le cambi

nome e torna tutto a posto ! "

"Io penso che dovrai pagare semplicemente la multa, te l'hanno

portata via, quindi se proprio vuoi prendertela con qualcuno

prenditela con i vigili. Poi, se proprio vuoi essere precisa, cosa

che

mi sembra una tua grande prerogativa, prenditela con te stessa."

"Senti, io sono incavolata nera e tu mi stranisci ancora di più

con questo fiume di parole. Ma che vuoi dire?"

"Che hai posteggiato davanti all'uscita di sicurezza del teatro.

Niente di più facile."

"Il signore ha ragione." Una vigilessa passa vicino a noi. Ha

sentito tutta la nostra chiacchierata e decide di partecipare

divertita.


"Gliela abbiamo dovuta portare via."

"Be', 'dovuta' mi sembra un po' troppo, potevate aspettare due

minuti. Ero dentro il teatro per lavoro."

La vigilessa smette di sorridere.

"Che, vuole questionare?"

"Le sto solo raccontando come stanno le cose."

La vigilessa si allontana senza rispondere. Ginevra non perde

l'occasione, fa una linguaccia e anche se a bassa voce dice

"Stronza

vigilessa di merda. Ma fai più sesso di notte, che poi al mattino

sei meno acida". Rido alzando un fischio verso il cielo.

"Fiuu... Finalmente una ragazza che rispetta le nostre

istituzioni!

Brava, sana e soprattutto rispettosa. Mi piaci."

"Tu per niente!"

"Ma è un consiglio che segui anche tu?"

"Quale?"

"Quello di fare sesso per essere meno acida. No, perché sennò,

lo sai, ti aiuto io, eh?"

"Certo, come no."

"Guarda che lo farei solo per il tuo umore."

"Sto già al massimo, grazie."

Marcantonio decide di interrompere al volo.

"Ok, basta così. Avendo il pomeriggio libero e soprattutto avendo

passato tutte e due la selezione opterei per andare a bere e

brindare

tutti insieme, d'altronde..." Marcantonio sorride a Ele, poi

scuote la testa. "Eh, eh, d'altronde vi abbiamo votato noi,

giusto?"

"Hai ragione. E allora, andiamo a bere."

Guardo Ele e allargo le braccia.

"Ehi, se fai così è come dire: 'Purtroppo mi tocca'."

Gin mi si para davanti molto determinata.

"Ehi, mitico Step di 'sto cavolo, non riprendere la mia amica,

è chiaro?"

Per un attimo la temo sul serio.

"Ok, allora vediamo come rispondi tu al nostro invito."

"E che è, un altro provino? Ma pagate pure?"

La guardo sorridendo. "Se vuoi."

"Non ho dubbi che faresti anche questo. Ma mi dispiace, te lo

sogni."

Marcantonio si mette in mezzo a noi. "Ma possibile che qualunque

cosa si dica finite sempre per litigare? Ho solo detto andiamo

a bere qualcosa. Un po' di entusiasmo e che cavoli! "

Ele urla come una pazza. "Yaooo! Sì, bellissimo! Andiamo a

scolarci di tutto, divertiamoci come pazzi..." Si alza i capelli

lanciandoli

verso l'alto e agita le braccia verso il cielo, poi si mette a

ballare e fa un giro su se stessa. Poi si ferma e mi fissa. "Sono

andata

bene così? "

Sorrido. "Può andare!"

Ma che mi potevo aspettare? D'altronde sono amiche.

Marcantonio scuote la testa, poi prende Ele per un braccio:

"Andiamo va', che sennò qui facciamo l'alba... e ci sono modi

migliori

per farla". E se la porta via, trascinandola quasi. Ginevra rimane

lì a guardarla.

"Ohi, ohi. Ti hanno portato via l'amichetta."

"È grande e vaccinata, il problema era se andava via con te."

"Perché? Eri gelosa?"

"Ehi, a convinto! Ero disperata per lei. Ok, dove hai la moto?"

"Perché?"

"Mi accompagni a casa e mani a posto, sennò ti prendi un'altra

sberla come al ristorante."

"Ah, incredibile. Cioè, io ti devo accompagnare fino a casa e

non tocco neanche? Questa poi. Non l'avevo mai sentita. Roba da

pazzi!"

Capitolo 27.

Arriviamo alla moto, ci salgo sopra e l'accendo. Lei fa per salire

ma io scatto in avanti.

"Niente da fare, sono un tassista innovativo io."

"Cioè?"

"Si paga prima di iniziare la corsa."

"E che vuol dire?"

"Che mi dai un bacio."

Mi sporgo in avanti con le labbra e gli occhi chiusi. In realtà il

destro lo tengo mezzo aperto. Non vorrei mi partisse come al

solito.

Gin mi si avvicina e mi dà una slinguazzata pazzesca dal basso

verso l'alto sulle labbra, tipo frenata di caduta di cono gelato

mezzo

sciolto.

"Ehi, e che è?"

"Bacio così! Sono anch'io una ragazza innovativa." E mi sale

al volo dietro. "Forza, con quello che ho pagato minimo mi

dovresti

portare a Ostia. "

Mi metto a ridere e parto in prima impennando con la ruota

davanti. Ma Gin è velocissima. Si stringe forte in vita e appoggia

la

testa sulla mia spalla. "Vai mitico Step, adoro correre in moto."

Non me lo faccio ripetere due volte. Volo via che è una meraviglia

e lei unisce le gambe, stringendomi forte. Sembriamo un unico

corpo

su quella moto. Destra, sinistra, piegamenti morbidi e leggeri,

dando gas. Giriamo davanti a Vanni e poi dritti verso Lungotevere.

Una curva in fondo a destra. Rallento per un attimo al semaforo

rosso che quasi d'incanto vedendoci scatta sul verde. Supero in

velocità due macchine ferme. Destra, piegato, sinistra, piegato,

ed

eccoci di fianco al Tevere e via veloci, con il vento in faccia.

Vedo

nello specchietto una parte del suo viso. I suoi occhi socchiusi,

l'attaccatura

dei capelli, leggero bordo del suo viso bianco. Capelli

lunghi e scuri si confondono accarezzando il sole laggiù che

tramonta

alle nostre spalle, morbidi si colorano di rosso, ribelli lottano

con il vento, ma quando do gas, finiscono per arrendersi, e vinti

si lasciano prendere dalla velocità. Ha ancora gli occhi chiusi.

"Eccoci signorina, siamo arrivati."

Mi fermo davanti a casa sua, metto il cavalletto laterale e resto

seduto.

"Ammappela, ci abbiamo messo un attimo."

La guardo divertito. "Ammappela? E che significa?"

"È un misto tra ammazza e capperi, il tutto alleggerito in 'la'."

Non l'avevo mai sentito. "Ammappela. Lo userò."

"No. È mio, ho i diritti sull'Italia."

"Pure?"

"Certo. Be', allora grazie, potrei usarti qualche altra volta.

Devo

dire che come tassista non sei niente male. "

"Be', allora dovresti invitarmi a salire."

"E perché?"

"Così facciamo la tessera, risparmi sulla corsa singola."

"Non ti preoccupare. Mi fa piacere pagare."

Questa volta Gin crede di essere più veloce di me e si chiude

al volo dietro il portone pensando di fregarmi. "Eh no!

Scherzetto!

" Tiro fuori dalla tasca dei jeans le sue chiavi e gliele faccio

penzolare

davanti agli occhi.

"Me l'hai insegnato tu, no?"

"Ok, mitico Step, ridammele!"

La guardo divertito. "Epico... Non lo so mica. Mi sa che mi vado

a fare un giro e torno più tardi, magari una corsa notturna."

"Non ti conviene. Tempo mezz'ora e ho cambiato tutte le

serrature."

"Ma spendi più soldi di dieci corse di quelle vere..."

"Ok, vuoi trattare?"

Come no.

"Allora, cosa vuoi in cambio delle mie chiavi?"

Alzo la testa e le lancio uno sguardo divertito.

"Non me lo dire va', saliamo. È meglio chiudere con 'ti offro

qualcosa' come nei film, quelli belli. Ma prima ridammi le

chiavi."

Apro il portone e me le chiudo strette nella mano destra.

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