Sofia ascoltò quella lista di divertimenti e sembrava che non fosse neanche finita lì. Insomma, il bambino aveva molte passioni ma non certo la musica. La mamma invece lo obbligava a passare quattro ore a settimana sul pianoforte. Solo perché lei non aveva imparato a suonarlo e la sorella sì. E la bravura della zia si doveva in qualche modo ripercuotere su quel povero ragazzino? Be’, tanto povero non era. I genitori abitavano in un bellissimo villino ai Parioli e, stando a quanto le aveva raccontato lui, il papà era un console sempre in giro per il mondo.
«E poi mi piace chattare con i miei amici e mandare messaggi.»
Sofia guardò quel ragazzino che stava continuando il suo elenco. Naturalmente aveva già un computer e un telefonino alla sua età. Troppo giovane. Il pianoforte forse gli avrebbe fatto bene. Guardò l’orologio. Ok, poteva bastare.
«Be’, Saverio, è finita l’ora. Ci vediamo martedì.»
Il ragazzo prese la sua giacca, lo zaino e uscì. Sofia raccolse gli spartiti. Aveva studiato con Allegra, la ragazzina di dieci anni alla quale piaceva tanto suonare, il Preludio della Suite inglese in La Minore di Bach, e se l’era cavata bene. Lei l’aveva fatta quando aveva sette anni. Lo ricordò come se fosse il giorno prima. Aprì lo spartito, lesse le prime battute e chiuse gli occhi. Il suono del pianoforte le riecheggiò nella mente, le note tornarono piene, rotonde, i piccoli piedi di una bambina schiacciavano il pedale del pianoforte, più su le sue giovani mani correvano su quella tastiera. La testa piena di ricci era piegata in avanti, quella bambina si mordeva il labbro superiore impegnandosi al massimo, ma sorrideva, per lei era una passeggiata. Poi il suo primo concerto. Una grande sala, mille spettatori e una bambina di otto anni per niente emozionata.
«Mi, la, la…»
Una voce alle sue spalle la ripescò da quel ricordo di vent’anni prima.
«Eri arrivata a questo passaggio? Ti ricordi? Lo sba-gliavi sempre.»
Sofia aveva ancora gli occhi chiusi e sorrise. Aveva riconosciuto la voce. Era Olja.
«Mi hai salvato. Non c’ero ancora arrivata.»
Chiuse lo spartito.
«Magari questa volta lo avresti azzeccato. È più facile non commettere gli stessi errori.»
«L’ho sempre sbagliato perché avrei voluto che quel passaggio Bach lo avesse scritto proprio in quel modo.»
Olja sorrise. «Ci sono cose che non si possono cambiare, vanno accettate così come sono. Altre invece si possono cambiare.»
Sofia si mise la giacca. Poi si voltò un’ultima volta verso di lei. «Non credo che suonerò più, Olja. Non insistere.»
Olja chiuse gli occhi. «Non parlavo di questo. Ma non fa niente.»
«Ci vediamo.»
«Quando vuoi passa, io sono qui. Se no ci vediamo mercoledì. Ti voglio bene.»
Sofia sorrise e uscì in strada. Aveva finito prima del solito. Domitilla Marini, la ragazza dell’ultima lezione, dalle alle, non era venuta. Poco male, sarebbero stati soldi in meno ma già così era stata una giornata faticosa. Una bella passeggiata prima di andare al parcheggio, prendere la macchina e rientrare a casa non sarebbe stata una cattiva idea. Si mise a camminare velocemente verso il Tevere, fece un pezzo di corso Vittorio Emanuele e attraversò il ponte che portava a via della Conciliazione. Camminava veloce ma aveva addosso una strana sensazione, come se qualcuno la seguisse. Si fermò, finse di guardare una vetrina. Poi si girò di colpo. Guardò a destra, a sinistra, poi in fondo alla strada. Si era sbagliata. C’erano diverse persone, ragazze e ragazzi, qualche coppia di turisti. Un com-merciante fumava una sigaretta davanti alla sua vetrina, un altro salutava una signora accompagnandola fuori dal suo negozio dopo che aveva acquistato qualcosa.
Ma nessuno aveva fatto un movimento improvviso o si era nascosto, nessuno sembrava essere interessato a lei.
Sofia si tranquillizzò.
Prese una piccola traversa che le permetteva di ac-corciare la strada. Arrivata in una piazzetta, vide un bar con alcuni tavolini fuori. Guardò l’orologio. Era presto. Si sedette e decise di bere qualcosa. Sbirciò all’interno del locale per richiamare l’attenzione del cameriere ma non c’era nessuno. Poi si voltò e se lo trovò davanti.
«La vuole una foto?» Un ragazzino di dieci anni era di fronte a lei e sorrideva. Aveva una maglietta colorata lunga fino al sedere, i capelli scuri e gli occhi nocciola.
Doveva essere del Bangladesh. «Solo quindici euro…»
«Solo?» sorrise Sofia. «Le fai pagare troppo le tue foto e poi le devi fare alle persone giuste. Io non sono una turista.»
Il ragazzino per un attimo ci rimase male ma poi sorrise e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni alcune cianfru-saglie. «Vuoi un accendino? Una lampadina? Il cuore portafortuna? Questo fa innamorare…»
Sofia fece segno di no con la testa. «No grazie, non fumo e non ho bisogno di niente.»
Il ragazzino, deluso, rimase impalato di fronte a lei con le braccia lungo il corpo.
«Va bene, facciamo così…» Sofia aprì il portafogli.
«Ti do un euro se mi vai a chiamare il cameriere e gli dici che c’è una persona fuori che vuole ordinare.»
«Subito, signora…» Il ragazzino le sfilò veloce l’euro di mano e corse dentro il bar tutto felice di aver rimediato qualcosa. Sofia sorrise, poi guardò più lontano, in fondo alla piazzetta si vedeva uno scorcio del Tevere e poi Castel Sant’Angelo. Le sue mura sembravano di-pinte di arancione, doveva essere il sole del tramonto riflesso sul fiume. Le nuvole più in alto erano rosate.
«Allora, cosa vuole ordinare?»
«Vorrei un Bitter, grazie. E delle patatine…» Si girò colpita da quella voce. Le sembrava di averla già sentita e quando lo vide non ebbe più dubbi. Era lui, l’uomo in pantaloncini fuori dalla chiesa, quello che l’aveva fermata sulla scalinata prendendole il braccio, quello che lei aveva immaginato sotto le lenzuola. Quello che aveva pensato di non incontrare mai più. Evidentemente si era sbagliata. Senza volerlo arrossì.
«Lei?»
«Già, io.» Tancredi sorrise.
«Sta qui?»
«E lei sta lì, a quanto sembra.»
Sofia cercò di vincere l’imbarazzo e finse indifferenza.
«Non avrei mai potuto immaginare che questo posto fosse suo…»
«Non ci si sarebbe fermata?»
«No, non dico questo, è che…»
Arrivò il cameriere che la salvò.
«Volevate ordinare?»
«Sì.»
Tancredi prese in mano la situazione. «Allora, un Bitter per la signora, e delle patatine…» Poi rivolto a Sofia: «A proposito, il Bitter bianco o rosso?».
«Rosso…»
«Allora, per lei un Bitter rosso con delle patatine, per me una birra, grazie.»
«Benissimo.» Il cameriere scappò di nuovo dentro il locale.
Sofia lo guardò. «Allora non è suo questo bar…»
Tancredi sorrise. «Mai affermata una cosa del genere.»
«In qualche modo me l’ha fatto credere.»
Tancredi la guardò incuriosito. «Veramente no… Ma non ci davamo del tu?»
Sofia arrossì di nuovo. «Sì, credo di sì…»
«Abbiamo anche riso su quella scalinata…»
«Già.»
«E comunque tu mi hai semplicemente chiesto: “Stai qui?”. E io ho risposto di sì ma non ho detto che era mio il bar. Posso?» Tancredi indicò la sedia vicino a lei.
Sofia si guardò intorno, c’era poca gente e quelle vie erano poco trafficate. All’interno del bar alcuni clienti prendevano un aperitivo ma non era questo il problema, o meglio la sua vera preoccupazione. Poi lo guardò di nuovo. Sorrideva e lei lo stava facendo aspettare troppo.
«Se vuoi mi siedo al tavolo vicino e parliamo a voce alta…»
Sofia sorrise. «No, no, siediti qui.»
«Grazie, molto gentile.» Tancredi lo disse in maniera un po’ ironica ma era comunque felice di quel primo passo. Per adesso tutto procedeva per il meglio. «Io comunque mi chiamo Tancredi…» Allungò la mano verso di lei.
«Sofia.» Gliela strinse.
«Sofia…» Tancredi era come se soppesasse quel nome.
«Lo sai che ci avrei scommesso che ti chiamavi così…»
«Sì?»
«Sì, te lo assicuro. Questo nome ti sta proprio bene…
Sul serio.»
Sofia sorrise. «Grazie.» Sembrava contenta di quel complimento. «Secondo me ci avresti scommesso perché già sapevi che mi chiamavo così…»
Tancredi smise di sorridere e cercò di sembrare il più ingenuo possibile. «Io? E come?»
«Mah, la prima cosa che mi viene in mente è che sei tornato alla chiesa dove ci siamo conosciuti e lo hai chiesto a qualcuno oppure non ci sei tornato e lo hai chiesto il giorno stesso. Forse alla mia insegnante, quella che dirigeva il coro.»
«Lei?»
«Quella signora anziana, lo sai benissimo, l’hai vista dentro la chiesa che suonava l’organo…»
«Ah, sì. No. Non l’ho chiesto a lei…»
«Certo, perché sapevi che me lo avrebbe detto subito. Ci tiene a me.»
Tancredi allargò le braccia. «Ma perché io devo per forza essere pericoloso?»
«Forse no… Ma forse sì.»
Proprio in quel momento arrivò il cameriere.
«Ecco il Bitter rosso per la signora e la birra per lei.»
Tancredi prese il portafoglio e pagò. «Tenga pure il resto.»
«Grazie.» Il cameriere si allontanò.
Sofia lo guardò. «Non mi hai chiesto se potevi pagare per me.»
«Mi sembrava più educato offrire.»
«E se non avessi voluto?»
«Ormai l’ho fatto, vorrà dire che la prossima volta toccherà a te.»
«Quale prossima volta?»
«Magari capiterà di incontrarci di nuovo… La vita è piena di sorprese. Guarda noi… Non ci siamo visti per anni e nel giro di una settimana ci incontriamo due volte.»
«Sono sempre dell’idea che non sia un caso…»
Tancredi bevve un sorso di birra, poi si asciugò la bocca con un tovagliolino di carta. «Scusa Sofia, ma questo è un po’ presuntuoso da parte tua…»
Sofia bevve il suo Bitter e annuì serena. «Uhm uhm, può essere.»
«Se fosse come dici tu, vuol dire che in qualche mo-do sono attratto da te.»
«In qualche modo… Sì.»
Tancredi non si aspettava questa reazione. «Mah.»
«Mah cosa? Scusa, non sei stato tu che mi hai fermata fuori dalla chiesa?»
«Sì.»
«Non sei stato tu che hai tirato fuori quella teoria sulle nostre vite che sarebbero potute cambiare, noi due personaggi dentro un quadro di Magritte? E che però non eravamo…»
«Una pipa…»
«Esatto, hai detto che saremmo potuti essere protago-nisti di chissà quale altra scena. Sei stato tu o mi sbaglio?»
«Sì, sono stato io, però… ti ricordi tutto.»
«Più o meno, diciamo che è stato uno dei ricordi più originali degli ultimi anni.»
«Ci provano in molti?»
«Zzz.»
«Cos’è?»
«Alta tensione, quando fai una domanda sbagliata, vai fuori binario e prendi la scossa elettrica, chiaro?»
Tancredi allargò le braccia come per dire: “Mi arrendo”, poi bevve un altro sorso di birra. Gli piaceva molto quella donna ma non sarebbe stato facile. Non riusciva a capire quali fossero i suoi punti deboli, sempre che ne avesse. Sembrava distaccata da tutto e tutti. Si ricordò un detto di suo padre: “Ognuno ha il suo punto debole, basta avere tempo e soldi per scoprirlo”. Posò il bicchiere e prese una patatina. Ora era più sereno. Lui non aveva fretta e, per quanto riguardava il resto, non c’erano problemi.
La partita sarebbe stata anche più divertente.
Sofia finì di bere il suo Bitter.
«Vuoi qualcos’altro?»
«No grazie. E tu cosa vuoi, Tancredi?»
Non si scherzava più. La osservò meglio. Era bellissima, aveva i capelli sciolti, un vestito accollato ma non troppo, libero in vita, di cotone leggero, con dei piccoli disegni. La bocca era carnosa ma non sorrideva.
Tancredi era impreparato a quella domanda. Era stata troppo diretta. Non conveniva mentire a una così.
«Allora? Cosa vuoi, Tancredi?»
«Zzz. Anch’io ho intorno dei fili ad alta tensione. Domanda fuori programma. Risposta non prevista.»
Sofia lo fissava. Tancredi sosteneva il suo sguardo.
Questa lotta durò per un po’. Poi lui decise di arrender-si per primo e sorrise. «Ok… Non litighiamo.»
«Non stiamo litigando.»
«E cosa stiamo facendo?»
«Stiamo cercando di parlare come due adulti. Ma uno dei due non vuole fare l’adulto.»
«Zzz.»
Sofia non aveva voglia di stare allo scherzo.
«E mi copia le idee… Anzi le ruba.»
«Ok. Mi arrendo. Facciamo gli adulti, va bene?»
«Vediamo.»
«Non capisco perché tu non possa essere semplicemente felice che il caso ci abbia fatto incontrare di nuovo.»
«Te l’ho detto. Non credo sia stato il caso.»
«Ma perché non può essere? E come non credere alle favole…»
«Quello è diverso. Io credo che ci sia un tempo per le favole e forse il nostro è passato. E poi le favole sono belle perché sono brevi.»
«Cioè?»
«Se dopo il “e vissero tutti felici e contenti” il racconto continuasse, il finale sarebbe molto diverso.»
«Fammi un esempio.»
«Vedremmo Biancaneve che non sopporta più i sette nani, Cenerentola che manda a quel paese le due sorel-lastre e magari con quel principe azzurro così leccato, sì insomma, non sarebbe durata un granché…»
«Sei cinica.»
«Realista.»
«Ok.» Tancredi sospirò. «Allora non è stato il caso.
Diciamo che è stato il destino…»
Sofia piegò la testa di lato facendo una smorfia come per dire: “Insisti con questa versione?”. Lui decise che era meglio giocare a carte scoperte.
«Volevo dire… un destino di nome Simona.»
«Simona? Simona chi? Abbiamo un’amica in comune?»
Sofia passò velocemente in rassegna tutte le sue amiche del lavoro e di scuola ma non le veniva in mente nessuna Simona.
Tancredi decise di aiutarla.
«E riccia, molto carina, un bellissimo sorriso e ha sei anni. L’hai abbracciata in chiesa.»
«Ah.» Sorrise ricordando la piccola peste piena di lentiggini. Ma certo, Simona Francinelli, bravissima nel coro, la sua preferita. “Non ci credo. Questo tipo è tornato in quella chiesa e ha parlato con una ragazzina.
Quindi è venuto in piazza dell’Oro a cercarmi. Potrebbe essere qui dalle…”
«Sono qui dalle sei. Ti ho dedicato solo metà pomeriggio, prima non mi era proprio possibile.»
Tancredi aveva capito a cosa stava pensando.
Sofia lo guardò meglio. Non era più in pantaloncini, indossava una camicia casual e dei jeans neri scoloriti, con i bottoni davanti, una bella cintura nuova e delle Tod’s. Aveva soldi da spendere e un sacco di tempo libero. Era bello, molto. Anche simpatico ma doveva essere uno senza scrupoli, se per rintracciare una da portarsi a letto ricorreva addirittura a una ragazzina di sei anni.
«Avrebbero potuto prenderti per un pedofilo, avresti passato dei guai.»
«Pensa che rischio ho corso pur di rivederti. E comunque ho parlato con la madre… E tutto a posto.»
Sofia lo fissò ancora a lungo. I suoi occhi blu espri-mevano qualcos’altro, oltre alla sicurezza. Sì, si sentiva fiero del suo fisico, della sua bellezza ma sembrava in cerca di qualcosa, spinto da una strana inquietudine.
Era bellissimo ma sofferto, complesso, complicato. Ec-co, quell’uomo era così. Aveva un lato divertente e un altro avvolto di tristezza, come un mare profondo agitato da una violenta corrente. Per un istante fu tentata di prendergli la mano che stava appoggiata sul tavolo e di rincuorarlo, di ridere con lui, di dirgli, ma sì, va tutto bene, senza sapere neanche perché… “Ma che sto facendo?” E in un attimo le comparve l’immagine della sua amica Lavinia, in macchina con Fabio. Si spogliavano velocemente, l’auto oscillava, era un amplesso furioso, le loro mani si stampavano sui vetri appannati lasciando le impronte: colpevoli. In un attimo si vide anche lei in quel modo e non le piacque. Immaginò Andrea a casa, lo vide davanti al computer, a leggere ignaro notizie, distrarsi in qualche modo, tenersi impegnato fino al suo ritorno, guardare l’orologio al polso, poi quello in fondo al salotto, sospirare nell’attesa dei minuti che non passano mai. Tutto quello che aveva portato avanti fino a quel giorno buttato via così, per il capriccio di un uomo… e il suo.
Sì, provava qualcosa per quel Tancredi. Attrazione fisica, voglia di distrarsi, una boccata d’aria, un po’ di vita, certo per qualche settimana, magari un mese e poi?
Quell’uomo voleva divertirsi. E lei? Cosa voleva lei? La stessa cosa? Non poteva avere anche lei solo quella stessa voglia fisica? Trasgredire, buttarsi tutto alle spalle, dimenticare regole, principi, valori, ma per qualche ora, solo per qualche ora e poi tornare al binario…
Zzz. No. Non era possibile. Sarebbe anche potuto essere bello ma immaginò quello che sarebbe accaduto dopo. Dopo si sarebbe sentita sporca e infelice. Si immaginò con quale faccia sarebbe rientrata a casa. Lei incrocia lo sguardo di Andrea, cerca di sorridere ma qualcosa non va per il verso giusto. Lui capisce.
Andrea è a letto. Ha chiuso il computer. Sofia è sulla porta. Sono in silenzio.
“Hai scopato con un altro, vero?”
Allora lei semplicemente annuisce, non sa dire altro, non sa inventare niente, né bugie né scuse, abbassa il viso e dice semplicemente: sì.
Sofia si alzò dal tavolino. «Non posso.»
Poi gli sorrise in maniera dolce, quasi affettuosa, scu-sandosi di tutto quello che aveva visto e immaginato.
«Mi dispiace…»
Tancredi si alzò e cercò di intervenire. «Volevo solo proporti un pranzo, un altro aperitivo, insomma, che ci conoscessimo un po’ di più per capire se proprio non eravamo adatti a…»
«Shhh.» Gli posò un dito sulle labbra. Allora Tancredi smise di parlare. Rimasero un attimo in silenzio.
«Posso darti un passaggio?»
«Ho la macchina.»
«Ti accompagno fino a lì allora.»
Sofia non se la sentì di proibirglielo. Camminarono senza parlare, uno accanto all’altra. Ogni tanto Sofia si girava verso di lui e lo guardava, consumando quei pochi attimi che restavano. Lo guardava negli occhi, nelle labbra, nelle pieghe della bocca, nelle piccole rughe del viso, nelle ciglia lunghe e scure, nel profondo di quel blu pieno di vita. Se ne cibava quasi, ripensando a come a quel tavolino era ritornata la ragazza capricciosa e allegra dalla battuta pronta e pungente, a quanto la divertisse flirtare e immaginarsi così, tanto per assaggiare l’amore. Ma lo aveva detto lei stessa. Era finito il tempo delle favole.
«Ecco. Sono arrivata.»
«È la tua macchina?»
«Sì.»
Tancredi sorrise, questa volta non voleva aver dubbi sulla targa.
«Sono stata molto bene con te.»
«Anch’io. Quando ci rivediamo?»
«Non ci rivediamo.»
«Ma hai detto che sei stata molto bene con me.»
«Appunto.» Sofia salì in macchina. Poi aprì il finestrino. «Per favore non cercarmi.» E partì.
Tancredi rimase lì in mezzo alla strada. Lo aveva sorpreso, non si aspettava quella reazione. Prese un’agendi-na e prima di dimenticarsela segnò la targa della macchina. Poi dalla tasca della giacca tirò fuori una Polaroid.
L’aveva comprata da quel ragazzo del Bangladesh. La guardò. Sofia era bella ma aveva un’espressione stupita e sorpresa. Quel ragazzino le aveva fatto una foto a tradimento e lei non se l’aspettava. Sofia era infastidita da ciò che cambiava il suo percorso, qualunque tipo di imprevisto. Tancredi sorrise pensando alla sua prossima mossa ma soprattutto a come lei l’avrebbe presa.
Anni prima.
Nel prato della grande villa il giardiniere potava alcuni rami della magnolia.
Erano molti anni che si trovava al centro di quel giardino ed era cresciuta molto arrivando all’altezza di sette metri. Bruno ne andava fiero, era stata piantata quando aveva iniziato a lavorare in villa e rappresentava la cura, l’attenzione e la passione che aveva messo in quel giardino. Un rombo lontano annunciò che quel momento di estasi stava per finire. Una Aston Martin rossa arrivò nel piazzale a tutta velocità, frenando bruscamente e spostando la maggior parte della ghiaia bianca che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sotto quelle ruote.
Arrivò anche una Maserati cabriolet.
Tancredi saltò giù dalla Aston Martin.
«Ciao, Bruno. Puoi dire di lavarci le macchine?»
Scese anche Olimpia, una bellissima ragazza che indossava un vestito leggero di lino bianco con alcune rose rosse stilizzate. Aveva una piccola borsa dalla catenella verde e delle scarpe di corda rosse. Un abbigliamento dal sapore bucolico, adatto a quegli inizi di giugno, pieno di sole e di spighe mature nei campi di grano lì intorno.
Dall’altra auto scesero due ragazzi e una ragazza, Giulietta. Uno dei due la prese sottobraccio e indicò la villa.
«Hai visto, è come te l’avevo descritta o no?»
«Sì, è bellissima.»
«Venite!» Corsero anche loro dentro la casa.
«Mamma, ci sei?»
Tancredi attraversò alcune stanze seguito dagli altri, finché non la intravide in salotto. «Eccoti! Ti disturbia-mo? Sono con degli amici.»
«Buonasera signora, io sono Riccardo e lei è Giulietta.»
Anche l’altro ragazzo si presentò. «Piacere, Francesco.»
«Lei invece è Olimpia, mamma. Ti ricordi? Te ne avevo parlato.»
Emma, la mamma di Tancredi, salutò tutti, poi su Olimpia indugiò un po’ di più. Tancredi aveva avuto tante ragazze da quando andava al liceo, ma questa era la prima che sembrava aver acceso veramente il suo entusiasmo e della quale non si era stancato subito.
«Finalmente ti conosco.» La guardò meglio. «Sei ancora più carina di come ti aveva descritto Tancredi.»
Olimpia sorrise sicura della sua bellezza. «Grazie, signora.»
Tancredi decise di interromperle, preoccupato soprattutto di quello che avrebbe potuto aggiungere sua madre.
«Ma papà non c’è?»
«E a Milano per lavoro. Forse torna stasera.»
La presenza di Vittorio nella sua vita e in quella dei figli era sempre molto vaga. Tancredi alzò le spalle.
«E Claudine dov’è?»
«Tua sorella è in piscina a leggere.»
«Ok, allora andiamo anche noi.»
Tancredi e gli altri la salutarono, scesero a prendere alcune borse dalle auto e si diressero verso la piscina.
«Ci sono gli spogliatoi, ci cambiamo lì…»
«Ok.»
Poi Tancredi, senza che gli altri se ne accorgessero, prese Francesco sottobraccio e gli disse piano: «Vedrai, mia sorella ti piacerà».
Francesco all’inizio non rispose e gli sorrise indeciso.
Poi ci pensò su e cercò di essere spiritoso. «Speriamo che io piaccia a lei!»
Tancredi gli batté sulla spalla. «Ma sì, vedrai…» Non ne era però così sicuro.
Sua sorella Claudine stava attraversando uno strano periodo, non voleva vedere nessuno. Ormai aveva diciannove anni e, per quanto ne sapesse Tancredi, non aveva ancora mai avuto un ragazzo, né c’era qualcuno che le piacesse. Tancredi guardò Francesco con la coda dell’occhio. Sì, lui sarebbe stato perfetto. Era abbastanza tranquillo e sufficientemente ingenuo per essere un suo possibile primo ragazzo. Sorrise di questo suo pensiero. Immaginò Claudine con lui al cinema o a teatro, poi in pizzeria o in un buon ristorante e subito dopo li immaginò a letto. E gli venne quasi da ridere, ma per fortuna erano arrivati in piscina.
«Claudine? Ci sei? Rivestiti perché sono con degli amici super allupati!»
Giulietta lo guardò male. Riccardo rise. Francesco replicò: «Be’, non è male come biglietto da visita…».
«Così metti subito le cose in chiaro… No?»
Claudine si alzò dal lettino, era sotto un albero all’ombra. «Ciao stupido, meno male che mi hai avvisata, ero nuda.»
«Peccato. La prossima volta non dirò nulla…»
Passarono alle presentazioni. «Loro sono Riccardo e Giulietta e lui è Francesco…» Tancredi cercò subito di rintracciare nella sorella un segno di gradimento ma fu inutile, Claudine era rimasta indifferente.
«Lei invece è Olimpia.»
Claudine per la prima volta sorrise. «La Santa! Finalmente!»
Olimpia sembrò infastidita da quell’appellativo.
Claudine se ne accorse e cercò subito di spiegarsi.
«Nel senso di paziente! Non riesco proprio a capire come tu possa reggere mio fratello! Non sta fermo un attimo, è irrequieto, deve decidere tutto lui e soprattutto si fa solo quello che vuole lui!»
«Ehi, grazie della pubblicità! Se mi lascia me ne trovi un’altra uguale?»
Questa frase a Olimpia non piacque. Gli fece un sorriso forzato. «Impossibile…»
Tancredi recuperò immediatamente. «Verissimo, non esiste un’altra come te al mondo, proprio per questo è gravissimo quello che ha detto, se ti perdo sono finito…»
E cercò di abbracciarla. Ma Olimpia si liberò velocemente della stretta. «Ehi, mica recuperi così. Non si fa solo quello che vuoi tu… cosa credi. Noi ci si cambia e si fa un bagno in piscina, vero?»
Anche Giulietta era d’accordo.
«Sì, sì!» risposero in coro gli altri. Olimpia gli lanciò un sorriso falso. «Dovresti farlo anche tu, così raffreddi un po’ i tuoi bollenti spiriti. Anzi… fallo subito va’!»
E gli diede una spinta a tradimento facendolo cadere in acqua. Tutti risero prendendolo in giro. Poi Giulietta ne approfittò, spinse forte Riccardo che, colto alla sprovvista, mosse in avanti le braccia cercando di ritrovare l’equilibrio, ma non ci riuscì e così cadde in acqua vicino a Tancredi. Degli uomini era rimasto solo Francesco. Guardò i suoi amici. Appesantiti dai vestiti bagnati, muovevano veloci le gambe per restare a galla.
Poi Francesco avvertì qualcosa alle sue spalle, si girò di colpo. Claudine stava arrivando di corsa.
«Ora tocca a te…»
Provò a buttarlo in acqua con tutte e due le mani ma Francesco si spostò di lato, schivò la spinta e iniziò a lottare. Olimpia e Giulietta corsero subito in soccorso di Claudine. Tutte e tre insieme cominciarono a spin-gerlo, Francesco si teneva stretto a Claudine ma le altre la liberarono e lui finì in acqua come gli altri.
«Ehi, grazie tante sorellina a nome dei miei amici!»
fece Tancredi dall’acqua.