«È stata la festa più lunga della storia», protestai mentre tornavamo a casa. Edward sembrava d’accordo. «Ormai è finita», disse e per confortarmi mi accarezzò il braccio.
In fondo ero l’unica bisognosa di conforto. Edward stava benissimo; anzi, i Cullen stavano benissimo. Mi avevano rassicurato tutti quanti. Alice, mentre stavo uscendo, si era alzata sulle punte per farmi una carezza sulla testa e con un’occhiata a Jasper era riuscita a tranquillizzarmi. Esme mi aveva dato un bacio in fronte e mi aveva promesso che tutto sarebbe andato per il meglio. Emmett si era messo a ridere, dopo aver protestato perché fare a pugni con i licantropi era una mia esclusiva... Grazie alla proposta di Jacob erano tutti più tranquilli, persino entusiasti, dopo tante settimane di tensione. La fiducia aveva scacciato il dubbio. La festa era finita in allegria, come una cerimonia in grande stile.
Ma non per me.
Ero spaventata — terrorizzata — all’idea che i Cullen combattessero per difendermi. Mi costava già troppo permetterglielo. Più di così non potevo. E ora ci si erano messi anche Jacob e quei pazzi furiosi dei suoi fratelli, quasi tutti più giovani di me. Quei ragazzi ipermuscolosi e fuori taglia erano impazienti come per un picnic sulla spiaggia. Avevo i nervi a pezzi e a fior di pelle. Non sapevo per quanto tempo ancora sarei riuscita a non urlare. Sussurrai, per tenere la voce sotto controllo. «Stanotte vengo con voi».
«Bella, sei sfinita».
«Credi che riuscirei a dormire?».
Si rabbuiò. «È un esperimento. Non sappiamo se è possibile... cooperare con loro. Non ti voglio fra i piedi».
Ovviamente questo aumentò il mio desiderio di accompagnarlo. «Se non mi porti con te, lo chiederò a Jacob».
Mi guardò torvo. Era un colpo basso, certo. Ma non mi potevano lasciare a casa. Non rispose, e ormai eravamo da Charlie. La luce era accesa.
«Ci vediamo di sopra», mormorai.
Entrai in punta di piedi. Charlie era addormentato in soggiorno, traboccava dal divano troppo piccolo e russava così forte che non l’avrei svegliato nemmeno accendendo una sega elettrica. Lo scrollai con vigore.
«Papà! Charlie!».
Grugnì, a occhi chiusi.
«Sono tornata. Ti farà male la schiena se continui a dormire qui. Dai, è ora di andare a letto».
Gli ci volle qualche altro scossone, gli occhi non gli si aprirono del tutto, ma riuscii a farlo alzare dal divano. Lo accompagnai a letto, dove crollò ancora vestito, e riprese a russare.
Di sicuro, per un po’ non sarebbe venuto a cercarmi.
Edward mi aspettava in camera, mentre mi lavavo la faccia e indossavo i jeans e una felpa. Poi riposi nell’armadio i vestiti che mi aveva regalato Alice e lui mi guardò con aria triste dalla sedia a dondolo.
«Vieni qui», gli dissi prendendolo per mano.
Lo spinsi sul letto e mi raggomitolai addosso a lui. Forse aveva ragione, ero abbastanza stanca da addormentarmi. Ma non lo avrei lasciato sgattaiolare via da solo. Mi avvolse nella coperta e poi mi abbracciò.
«Per favore, calmati».
«Certo».
«Andrà tutto bene, Bella. Lo sento». Sprizzava sollievo da tutti i pori. Nessuno tranne me si preoccupava dell’incolumità di Jacob e dei suoi amici. Nemmeno Jacob e i suoi amici. Loro meno di tutti. Intuì che stavo per perdere la testa. «Ascolta, Bella. Sarà una cosa da nulla. Coglieremo i neonati di sorpresa. Non possono sapere che esistono i licantropi. Nei ricordi di Jasper ho visto come agiscono in gruppo. Sono convinto che le tecniche di caccia dei lupi funzioneranno alla perfezione contro di loro. E una volta che li avremo separati e confusi, non ci resterà molto da fare. A qualcuno toccherà persino stare in disparte», scherzò.
«Una passeggiata», mormorai inerte, appoggiata al suo petto.
«Sssh». Mi accarezzò la guancia. «Vedrai. Ora non ti preoccupare». Iniziò a canticchiare la mia ninna nanna, ma stranamente non mi calmai. Le persone... insomma, vampiri e licantropi, ma chi se ne importava — le persone a cui volevo bene rischiavano di farsi del male. Per colpa mia. Di nuovo. Speravo che la mia sfortuna ci vedesse un po’ meglio. Mi sembrava di urlare contro un cielo vuoto:È me che vuoi! Via di qui! Prendi me!
Provai a pensare al modo per costringere la mia sfortuna a prendere la mira e a colpirmi. Facile. Avrei dovuto solo aspettare, attendere il momento opportuno e... Non mi addormentai. Il tempo passò sorprendentemente in fretta ed ero più che sveglia quando Edward mi fece alzare.
«Sei sicura che non vuoi restare qui a dormire?».
Gli lanciai un’occhiataccia.
Sospirò e mi prese in braccio prima di saltare giù dalla finestra. Poi sfrecciò per la foresta buia con me in spalla e si capiva che era euforico persino dal modo in cui correva. Correva come quando lo facevamo per divertimento, per sentire il vento nei capelli. Era il genere di cose che, in tempi più tranquilli, mi rendeva felice.
Arrivati nei pressi dell’ampia radura trovammo la sua famiglia al completo, impegnata a chiacchierare, del tutto rilassata. Ogni tanto nel bosco risuonava la risata fragorosa di Emmett. Edward mi fece scendere e proseguimmo a piedi, mano nella mano, fino a raggiungerli. Mi ci volle un minuto, perché la luna era nascosta dietro le nuvole ed era buio pesto, ma mi resi conto che eravamo nel campo da baseball. Lo stesso posto in cui, più di un anno fa, la mia prima serata allegra con la famiglia Cullen era stata interrotta da James e dal suo clan. Era strano ritrovarsi lì di nuovo... come se il raduno non fosse completo, in assenza di James, Laurent e Victoria. Ma James e Laurent non sarebbero mai arrivati. Lo schema non si sarebbe ripetuto. Forse tutti gli schemi si erano rotti. Sì, qualcuno era uscito dal seminato. Possibile che i Volturi fossero davvero così accomodanti?
Ne dubitavo.
Victoria mi era sempre sembrata una forza della natura — un uragano che soffia dritto verso la costa — inevitabile, implacabile, ma prevedibile. Forse era sbagliato sottovalutarla. Doveva essere in grado di adattarsi.
«Sai a cosa sto pensando?», domandai a Edward.
Lui rise. «No».
Quasi sorrisi.
«A cosa stai pensando?».
«Penso che sia tutto collegato. Non solo queste due cose, ma anche la terza».
«Non ti seguo».
«Sono successe tre cose brutte da quando sei tornato». Le contai sulle dita. «I neonati a Seattle. L’estraneo in casa mia. E, prima di tutto, la ricomparsa di Victoria». Mi guardò torvo mentre meditava sulle mie parole. «Perché dici così?».
«Perché sono d’accordo con Jasper: i Volturi amano le regole. Farebbero di certo un lavoro migliore».E se avessero voluto uccidermi, sarei già morta, pensai. «Ricordi di quando l’anno scorso ti sei messo sulle tracce di Victoria?».
«Sì». Aggrottò la fronte. «Non mi è riuscito granché bene».
«Alice mi ha detto che sei stato in Texas. L’hai seguita fin laggiù?». Alzò le sopracciglia. «Sì. Ecco...».
«Ecco... l’idea potrebbe esserle venuta quando era là. Non si rende conto di quel che ha combinato e i neonati le sono sfuggiti di mano». Scosse la testa. «Soltanto Aro sa esattamente come funzionano le visioni di Alice».
«Aro ne sa di più, ma può darsi che Tanya, Irina e il resto dei tuoi amici di Denali ne sappiano abbastanza, no? Laurent ha vissuto a lungo con loro. Era ancora in buoni rapporti con Victoria, continuava a farle dei favori, non credi che potrebbe averle spifferato tutto?».
Edward si accigliò. «Non è stata Victoria a entrare in camera tua».
«E se si fosse fatta dei nuovi amici? Pensaci, Edward. Se è lei la causa di ciò che succede a Seattle, di sicuro si è fatta un sacco di alleati. Nel senso che se li è creati».
Ci pensò su e alla fine annuì. «È possibile. Resto convinto che c’entrino anche i Volturi... Ma la tua teoria ha un fondamento. Le tue supposizioni combaciano perfettamente con la personalità di Victoria. Ha dimostrato fin dall’inizio una tendenza all’autoconservazione, forse è una sorta di talento. E questo piano le permetterebbe di non esporsi, restando semplicemente seduta dietro le quinte e lasciando che i neonati scatenino l’inferno. In questo modo non dovrebbe nemmeno preoccuparsi dei Volturi. Forse conta sul fatto che, anche se vincessimo noi, subiremmo perdite gravi. E dato che nessuno dei suoi sopravviverà, non avrà testimoni scomodi. E anche se ci fossero dei sopravvissuti», continuò concentrato, «scommetto che ha già progettato di ucciderli lei stessa... Forse è così, ma sono convinto che abbia almeno un compagno più maturo degli altri. Chi ha risparmiato tuo padre non era un novellino...».
Aggrottò le sopracciglia, e all’improvviso mi sorrise, di ritorno da quel sogno a occhi aperti. «Sì, è plausibile. Comunque dobbiamo essere pronti a tutto finché non ne saremo sicuri. Oggi sei molto perspicace», aggiunse.
«Incredibile».
Sospirai. «Forse è soltanto il posto che mi ispira. La sento così vicina... come se mi stesse osservando».
Vidi i muscoli della sua mascella tendersi al solo pensarci. «Non ti toccherà, Bella», disse. I suoi occhi, però vagavano tra gli alberi, nell’oscurità. Scrutò le ombre con un’espressione molto strana. Le labbra scoprirono i denti e i suoi occhi brillarono di una luce diversa. Una specie di speranza selvaggia e fiera.
«Non sai cosa darei perché fosse davvero qui vicino», mormorò. «Victoria, o chiunque altro abbia mai pensato di farti del male. Per avere la possibilità di eliminarla con le mie mani, stavolta». Rabbrividii per la brama di vendetta e la ferocia nella sua voce, intrecciai le mie dita strette alle sue e sperai di essere forte abbastanza da prolungare quella presa per l’eternità. Eravamo insieme alla sua famiglia e notai che Alice non era più ottimista come gli altri. Stava in disparte, imbronciata, e guardava Jasper che si stiracchiava e si riscaldava come prima di una gara di atletica.
«Alice non sta bene?», sussurrai.
Edward, tornato in sé, ridacchiò. «I licantropi non sono ancora arrivati, perciò non può vedere cosa succederà. Quando è cieca si sente a disagio». Alice era seduta più lontano, ma lo sentì. Alzò lo sguardo da terra e gli fece una linguaccia. Lui rise di nuovo.
«Ciao, Edward», salutò Emmett. «Ciao, Bella. Ti ha portata ad allenarti con noi?».
Edward ringhiò a suo fratello. «Per favore, Emmett, non farle venire in mente certe idee».
«I vostri ospiti quando arrivano?», chiese Carlisle a Edward. Edward si concentrò per un momento.
«Tra un minuto e mezzo. Ma dovrò fare da interprete. Non si fidano abbastanza di noi, perciò non verranno in forma umana». Carlisle annuì. «È una situazione complicata. Dovremmo essergli grati per il solo fatto che vengono».
Fissai Edward spalancando gli occhi. «Vengono sotto forma di lupi?». Annuì, attento alla mia reazione. Mi sentii soffocare, pensando alle due volte in cui avevo visto Jacob trasformato in lupo: la prima nella radura con Laurent, la seconda nel viottolo nella foresta, quando Paul si era arrabbiato con me... Due ricordi intrisi di terrore. Una luce strana balenò negli occhi di Edward, come se si fosse improvvisamente ricordato di una cosa niente affatto piacevole. Si voltò in fretta e tornò da Carlisle e dagli altri.
«Preparatevi: ci stanno tenendo d’occhio».
«Che intendi?», domandò Alice.
«Sssh», avvertì Edward e guardò dietro di lei, nel buio. All’improvviso il cerchio informale dei Cullen si ruppe a formare una fila, con Jasper ed Emmett ai lati. Da come Edward mi si avvicinò, intuii che li sentiva nei pressi. Gli strinsi forte la mano. Provai a sbirciare tra i rami, ma non vidi nulla.
«Maledizione», borbottò Emmett. «Hai mai visto una cosa del genere?». Esme e Rosalie si scambiarono un’occhiata sorpresa.
«Cos’è?», sussurrai più piano che potevo. «Non vedo niente».
«Il branco è cresciuto di numero», mi disse Edward all’orecchio. Eppure gli avevo detto che Quil si era unito a loro, no? Mi sforzavo di distinguere i sei lupi nell’oscurità. Alla fine qualcosa brillò nel buio: i loro occhi, più in alto di dove avrebbero dovuto essere. Mi ero scordata di quanto erano grossi. Più o meno come dei cavalli, ma più massicci per via dei muscoli e del pelo. E avevano denti come coltelli, impossibile non notarli. Vedevo soltanto gli occhi. Concentrandomi, mi resi conto che erano più di sei paia.Uno, due, tre... Li contai rapidamente. Due volte. Erano in dieci.
«Incredibile», disse Edward in modo quasi inudibile.
Carlisle fece un passo in avanti, lento ma deciso. Fu un movimento prudente, con lo scopo di rassicurarli.
«Benvenuti», disse ai lupi invisibili.
«Grazie», rispose Edward in un tono vago e piatto. Capii subito che in realtà era stato Sam a parlare. Guardai gli occhi che brillavano al centro della fila, quelli più in alto, quelli del lupo più grosso di tutti. Nell’oscurità era impossibile distinguere le sagome dei grandi lupi neri. Edward parlò con la stessa voce distaccata, riportando le parole di Sam.
«Guarderemo e ascolteremo, ma nulla più. È tutto ciò che possiamo chiedere al nostro autocontrollo».
«È più che sufficiente», rispose Carlisle. «Mio figlio», indicò Jasper, teso e pronto, «ha esperienza in questo campo. Ci insegnerà come lottano i neonati, come possiamo sconfiggerli. Sono sicuro che potrete applicare queste indicazioni al vostro modo di cacciare».
«Sono diversi da voi?», chiese Sam per bocca di Edward. Carlisle annuì. «Sono tutti giovanissimi: hanno giusto un paio di mesi, come vampiri. Sono davvero dei bambini, in un certo senso. Non conoscono la strategia, hanno solo forza bruta. Stasera erano in venti. Dieci per noi e dieci per voi... non dovrebbe essere difficile. Potrebbero diminuire. I neonati si scontrano tra loro di continuo». Un mormorio attraversò la fila dei lupi, un brontolio basso e simile a un ringhio, che in qualche modo esprimeva entusiasmo.
«Siamo in grado di prenderne in consegna anche di più, se necessario», tradusse Edward con un tono meno indifferente.
Carlisle sorrise. «Vedremo come si mette».
«Sapete quando e come arriveranno?».
«Attraverseranno le montagne tra quattro giorni, nella tarda mattinata. Non appena si avvicineranno, Alice ci aiuterà a intercettarli».
«Grazie delle informazioni. Terremo gli occhi aperti». Emisero un sibilo e all’unisono gli occhi si abbassarono verso il suolo. Il silenzio durò per due battiti di cuore, poi Jasper entrò nello spazio che separava i vampiri dai licantropi. Non mi fu difficile vederlo: la sua pelle brillava nel buio come gli occhi dei lupi. Lanciò un’occhiata guardinga verso Edward, che annuì e voltò le spalle ai lupi. Era chiaramente a disagio.
«Carlisle ha ragione». Jasper parlò solo a noi; sembrava cercasse di ignorare gli spettatori dietro di sé. «Si azzuffano come bambini. Le cose più importanti da ricordare sono due: primo, non lasciate che vi stringano tra le braccia e, secondo, non cercate di attaccarli in maniera prevedibile. È ciò che si aspettano. Se vi avvicinate di lato e continuate a muovervi, li confonderete e non reagiranno con prontezza. Emmett?». Emmett uscì dalla fila con un sorriso stampato sul volto. Jasper indietreggiò verso l’estremità della fila dei nemici alleati. Indicò a Emmett di avvicinarsi.
«Okay, inizia Emmett. È l’esempio migliore per simulare l’attacco di un neonato».
Emmett affilò lo sguardo. «Proverò a non romperti nulla», mormorò. Jasper sorrise. «Volevo dire che Emmett fa affidamento sulla sua forza fisica. Ha un modo di attaccare molto diretto. I neonati non adotteranno tecniche sottili. Attaccami nella maniera più semplice, Emmett». Jasper indietreggiò ancora di qualche passo, in evidente stato di tensione.
«Okay, Emmett. Prova a prendermi».
Sparì dalla mia vista: quando Emmett lo attaccò come un orso, sorridendo e ringhiando allo stesso tempo, Jasper divenne un’immagine sfocata. Anche Emmett era veloce, velocissimo, ma non quanto lui. Sembrava inconsistente, come un fantasma, e le grandi mani di Emmett diedero più volte l’impressione di averlo catturato, ma in realtà strinsero l’aria. Accanto a me, Edward si sporgeva in avanti, con gli occhi puntati sul combattimento. Poi Emmett si bloccò. Jasper lo aveva preso alle spalle, i denti a pochi centimetri dalla sua gola. Emmett lanciò un’imprecazione.
Dai lupi venne un mormorio di approvazione.
«Da capo», insistette Emmett, stavolta senza sorridere.
«Tocca a me», protestò Edward. Le mie dita strinsero le sue.
«Tra un minuto», disse Jasper con un ghigno. «Prima voglio far vedere una cosa a Bella».
Fece cenno ad Alice di alzarsi in piedi e io restai a guardare in preda all’ansia.
«So che sei preoccupata per lei», mi disse mentre Alice avanzava tranquilla nello spiazzo. «Voglio dimostrarti perché non è necessario». Sapevo che Jasper non avrebbe mai fatto del male ad Alice, ma non fu semplice vederlo in posizione di attacco di fronte a lei. Alice rimase immobile, lanciò un’occhiata ingenua a Emmett e sorrise tra sé. Jasper si spostò in avanti, poi strisciò alla sua sinistra. Lei chiuse gli occhi. Il mio cuore batté forte quando Jasper avanzò a grandi passi in direzione di Alice.
Poi fece un salto e sparì. Riapparve alle spalle di Alice, che non sembrava essersi spostata di un centimetro. Jasper volteggiò e le si lanciò di nuovo contro, per poi acquattarsi dietro di lei come la prima volta; per tutto il tempo Alice restò ferma, sorridente, a occhi chiusi.
Mi concentrai su Alice.
In effetti, si era mossa ma io non me n’ero accorta, distratta com’ero dagli attacchi di Jasper. Faceva un breve passo avanti nel secondo esatto in cui Jasper le andava incontro. Fece un altro passo quando Jasper cercò di afferrarla per la vita, sibilando.
Jasper si fece sotto e Alice iniziò a muoversi più veloce. Stava danzando: disegnava spirali, volteggiava e girava su se stessa. Jasper era il suo partner: affondava i colpi, cercava di afferrarla, ma non la toccava mai, come se ogni movimento facesse parte di una coreografia. Alla fine Alice scoppiò a ridere.
All’improvviso, gli era salita sulle spalle e gli aveva appoggiato le labbra sul collo. «Preso!», disse e gli baciò la gola.
Jasper alzò le spalle e scosse la testa. «Sei davvero un mostriciattolo spaventoso».
I lupi mormorarono di nuovo. Questa volta sembravano intimoriti.
«È giusto che imparino a rispettarci», bisbigliò Edward divertito. Poi, a voce più alta, disse: «Tocca a me».
Mi strinse la mano prima di lasciarla.
Alice tornò al proprio posto accanto a me. «Fico, eh?», chiese con aria soddisfatta.
«Molto», commentai, senza togliere gli occhi da Edward che si muoveva verso Jasper in silenzio, agile e attento come un gatto selvatico.
«Ti ho tenuta d’occhio, Bella», sussurrò all’improvviso, a voce così bassa che riuscii a stento a sentirla, nonostante mi parlasse all’orecchio. I miei occhi guizzarono verso i suoi, poi tornarono a Edward. Era concentrato su Jasper, entrambi fecero delle finte, mentre lui si avvicinava. Alice mi guardò con un’espressione di rimprovero.
«Lo avvertirò non appena i tuoi piani saranno definiti», disse minacciosa, ma sempre mormorando. «Non ti serve a nulla metterti in pericolo. Credi che uno dei due smetterebbe di lottare se tu morissi? Continuerebbero entrambi, lo faremmo tutti. Non puoi cambiare le cose, perciò fai la brava, d’accordo?». Feci una smorfia e provai a ignorarla.
«Ti tengo d’occhio», ripeté.
Edward aveva messo Jasper alle strette, la lotta tra loro era ad armi pari, diversa dagli scontri precedenti. Jasper contava su secoli di esperienza, cercava di seguire l’istinto per quanto poteva, ma il pensiero anticipava sempre di un istante le sue azioni. Edward era appena più veloce, ma i movimenti di Jasper gli risultavano strani. Si affrontarono più volte, emettendo ringhi istintivi, senza che nessuno dei due riuscisse a prendere il sopravvento sull’altro. Era difficile starli a guardare, ma ancor di più distogliere lo sguardo. Si muovevano troppo in fretta per capire cosa facevano. Ogni tanto gli sguardi assorti dei lupi attiravano la mia attenzione. Di certo stavano cogliendo più dettagli di me — forse anche più del necessario. Alla fine Carlisle si schiarì la voce. Jasper rise e fece un passo indietro. Edward si drizzò e gli sorrise.
«Torniamo al lavoro», disse Jasper. «È finita in pareggio». Toccò a tutti, a Carlisle, poi a Rosalie, Esme e di nuovo Emmett. Sbirciai di nascosto, tremando di paura quando Jasper attaccò Esme. Fu lo scontro più difficile da seguire. Alla fine rallentarono, ma non abbastanza da permettermi di seguirli bene, e Jasper diede altre istruzioni.
«Vedi cosa sto facendo?», chiedeva. «Ecco, bene, così», li incoraggiava.
«Concentrati sui lati. Non scordarti quali sono i punti che bersagliano. Continua a muoverti».
Edward era sempre molto concentrato, vedeva e ascoltava cose che gli altri non percepivano.
Mano a mano che i miei occhi si appesantivano, diventava difficile stare attenta. Da un po’ non dormivo bene e stavo per battere il record delle ventiquattr’ore sveglia. Mi appoggiai a Edward e chiusi gli occhi.
«Abbiamo quasi finito», sussurrò.
Jasper confermò, poi si voltò per la prima volta verso i lupi, di nuovo a disagio. «Domani ci eserciteremo ancora e voi siete invitati ad assistere».
«Sì», rispose Edward con la voce fredda di Sam. «Ci saremo». Poi Edward fece un sospiro, mi sfiorò il braccio e si allontanò per raggiungere la sua famiglia.
«Il branco pensa che per loro sarebbe importante imparare a riconoscere i nostri odori per non rischiare di confondersi. Se riusciamo a stare fermi, sarà più facile».
«Certo», disse Carlisle a Sam. «Come volete».
Mentre si alzavano, dal branco dei lupi giunse un ringhio rauco e tetro. Avevo gli occhi spalancati, la stanchezza ormai era un ricordo. L’oscurità della notte iniziava a svanire. Il sole, ancora ben nascosto dietro le montagne, iniziava a illuminare le nuvole. Mentre si avvicinavano riuscii a distinguere le sagome... i colori.
Sam era in testa al gruppo, come al solito. Enorme, quasi da non crederci, nero come la notte, un mostro uscito dai miei incubi nel vero senso della parola: dopo il mio primo incontro con loro, Sam e gli altri erano apparsi spesso nei miei sogni peggiori. Ora che riuscivo a vederli tutti, ad associare i corpi agli occhi, mi sembravano più di dieci. Il branco era una presenza sconvolgente. Con la coda dell’occhio mi accorsi di Edward, intento a scrutare ogni mia reazione.
Sam si avvicinò a Carlisle, che stava davanti a tutti. Dietro la sua coda, il resto del branco. Jasper s’irrigidì, mentre Emmett, all’altro capo della fila, sorrise rilassato.
Sam annusò Carlisle, con una specie di smorfia. Poi passò a Jasper. Fissavo il branco minaccioso dei lupi. Ero sicura di poter riconoscere qualcuno dei nuovi acquisti. C’era un lupo grigio pallido molto più piccolo della media, con il pelo ritto per il disgusto. Un altro, color sabbia, sembrava malfermo e scoordinato rispetto agli altri. Quando Sam lo lasciò solo, tra Carlisle e Jasper, lanciò un gemito. Indugiai sul lupo che stava dietro a Sam. Aveva il pelo marrone rossiccio, più lungo di quello degli altri, molto irsuto. Era alto quasi quanto Sam, il secondo del gruppo in ordine di grandezza. Il suo atteggiamento era indifferente, distaccato, di fronte a quella che per il resto del branco era una prova.
L’enorme lupo rossiccio sembrò accorgersi del mio sguardo e mi fissò con i suoi occhi scuri e familiari.
Ricambiai, provando a convincermi di ciò che già sapevo. Sul mio viso c’erano meraviglia e rapimento.
Il lupo aprì la bocca e mi mostrò i denti. Sarebbe stata un’espressione spaventosa, non fosse stato per la lingua che penzolava da un lato, come in un sorriso da lupo.
Ridacchiai.
Il sorriso di Jacob si distese e mostrò i denti affilati. Uscì dal branco, ignorando gli sguardi degli altri. Camminò a passo svelto, oltrepassò Alice ed Edward e si fermò a mezzo metro da me. Lanciò a Edward una breve occhiata.
Lui restò immobile, una statua, senza perdermi di vista. Jacob si piegò sulle zampe anteriori e abbassò la testa solo per arrivare con il muso all’altezza del mio volto, e scrutò la mia espressione proprio come stava facendo Edward.
«Jacob?», sussurrai.
Il ringhio di risposta gli risuonò in gola come una risata soffocata. Allungai la mano e, con le dita che mi tremavano, toccai il pelo fulvo ai lati del muso.
Gli occhi scuri si chiusero e Jacob posò l’enorme testa sulla mia mano. Un gorgoglio gli risuonò in gola.
Il pelo era soffice e ruvido allo stesso tempo, caldo al contatto con la mia pelle. Vi feci scorrere le dita, curiosa, studiandone la struttura e lisciandolo sul collo, dove si faceva più scuro. Non mi ero accorta di quanto mi fossi avvicinata; a sorpresa, Jacob mi leccò tutta la faccia.
«Ehi! Jake, che schifo!», dissi. Mi allontanai da lui con un salto e lo colpii sul muso, proprio quel che avrei fatto se fosse stato nelle sue sembianze umane. Lui si scansò e il latrato che gli uscì dalle fauci era chiaramente una risata.
Mi pulii la faccia con la manica del maglione e non riuscii a trattenermi dal ridere insieme a lui.
All’improvviso mi resi conto che ci stavano guardando tutti: i Cullen avevano un’espressione perplessa e in qualche modo disgustata, mentre i lupi erano maschere indecifrabili. Sam non sembrava contento. E poi c’era Edward, teso e chiaramente deluso. Mi resi conto che si aspettava un’altra reazione da me. Per esempio, un urlo e una fuga in preda al terrore.
Jacob ripeté il verso che ricordava una risata.
Gli altri lupi se ne stavano andando, senza staccare gli occhi dai Cullen. Jacob mi restò accanto e li guardò andare via. Sparirono presto nel fitto della foresta. Due soli rimasero vicino agli alberi, esitanti, in una posizione che ne rivelava tutta l’ansia.
Edward sospirò e ignorando Jacob mi si avvicinò. Poi mi prese per mano. «Andiamo?». Prima che potessi rispondere, aveva alzato gli occhi verso Jacob.
«Non ho ancora definito tutti i dettagli», disse, rispondendo a una domanda che Jacob aveva solo pensato. Il lupo Jacob rispose con un ringhio cupo.
«È più complesso di quanto tu pensi», disse Edward. «Non ti preoccupare; farò in modo che tutto proceda nel modo migliore».
«Di cosa state parlando?», domandai.
«Di strategie», rispose Edward.
La testa di Jacob si mosse da una parte all’altra, per guardare prima lui, poi me. All’improvviso si alzò e corse verso il fitto della foresta. Mentre sfrecciava, notai per la prima volta un pezzo di tessuto nero, legato alla sua zampa posteriore.
«Aspetta», gridai, allungando automaticamente una mano per fermarlo. Ma scomparve tra gli alberi nel giro di pochi secondi, assieme agli altri due lupi.
«Perché se n’è andato?», chiesi irritata.
«Tornerà», disse Edward sospirando. «Vuole essere sicuro di parlare da solo con noi».
Fissai il punto della foresta in cui era scomparso Jacob, appoggiandomi di nuovo al fianco di Edward. Stavo per crollare, ma non volevo cedere. Jacob riapparve, stavolta in forma umana. Era a torso nudo e aveva i capelli arruffati e ispidi. Indossava soltanto dei pantaloncini corti e camminava a piedi nudi sul terreno freddo. Era solo, ma avevo il sospetto che i suoi amici fossero nascosti tra gli alberi. Non gli ci volle molto ad attraversare la radura, anche se si tenne alla larga dai Cullen, che chiacchieravano tranquilli in disparte.
«Okay, succhiasangue», disse a pochi passi da noi. Era evidente che stava portando avanti la conversazione che mi ero persa. «Cosa c’è di così complicato?».
«Devo considerare ogni possibilità», disse Edward con tutta calma.
«Che facciamo se qualcuno vi raggiunge?».
Jacob sbuffò all’idea. «Va bene, allora lasciamola nella riserva. Collin e Brady resteranno comunque di vedetta. Lì Bella sarà al sicuro». Li guardai torva. «State parlando di me?».
«Volevo solo sapere che piani ha per te durante lo scontro», spiegò Jacob.
«Per me?».
«Non puoi restare a Forks, Bella». La voce di Edward era tranquilla.
«Sanno dove cercarti. Che facciamo se qualcuno di loro sfugge alla battaglia?». Mi si chiuse lo stomaco e impallidii. «E Charlie?», chiesi preoccupata.
«Starà con Billy», mi rassicurò Jacob. «Mio padre è disposto a uccidere, pur di tenerlo al sicuro con sé. Non credo ci saranno problemi. È sabato, vero? C’è la partita».
«Questo sabato?», chiesi, con la testa che mi girava. Ero stordita e non riuscivo a tenere sotto controllo i pensieri. Corrugai la fronte. «Merda!
Niente regalo di diploma».
Edward rise. «È il pensiero che conta», commentò. «Puoi regalare i biglietti a qualcun altro». Ebbi subito un’idea. «Angela e Ben. Perlomeno rimarranno fuori città». Mi accarezzò la guancia. «Non puoi far evacuare tutti», disse Edward gentile. «L’unica precauzione da prendere riguarda la tua incolumità. Te l’ho detto, non avremo nessun problema. Non possono essere così tanti da tenerci tutti impegnati».
«Allora, che ne dici di mandarla a La Push?», s’intromise Jacob, impaziente.
«Ci è già stata troppe volte», disse Edward. «Ha lasciato tracce dappertutto. Alice vede che verranno solo vampiri molto giovani, ma qualcuno li avrà pur creati. C’è qualcuno di esperto, dietro di loro. Chiunque sia, l’attacco potrebbe essere un semplice pretesto per distrarci. Alice vedrà se lui», e fece una pausa per guardarmi, «olei decide di venire di persona. E quando prenderà la decisione, potremmo essere impegnati e non accorgercene. Forse conta proprio su questo. Non possiamo lasciarla dove sta di solito. Per sicurezza dovremo portarla in un posto in cui non sarà facile trovarla. Non voglio lasciare niente al caso». Mentre Edward parlava lo fissavo preoccupata. Mi sfiorò il braccio.
«Sono soltanto in pensiero per te», precisò.
Jacob fece un gesto in direzione del bosco, indicando verso est il profilo svettante dei Monti Olimpici.
«Allora nascondiamola qui», suggerì. «Ci sono milioni di possibilità... posti che uno di noi può raggiungere in un attimo, se necessario». Edward scosse la testa. «Il suo odore è troppo forte e, combinato con il mio, inconfondibile. Ovunque la portassi, lascerei una traccia. Le nostre tracce sono molto evidenti di per sé, e in combinazione con l’odore di Bella non sfuggirebbero alla loro attenzione. Non siamo sicuri della strada che faranno, perché nemmeno loro hanno deciso. Se incrociano il suo odore prima che li incontriamo...».
Entrambi fecero una smorfia, nello stesso momento, e s’incupirono.
«Le vedi anche tu le difficoltà».
«Dev’esserci un modo per sistemare tutto», mormorò Jacob. Fissò un punto in mezzo alla foresta, torcendo le labbra.
Persi l’equilibrio. Edward mi mise un braccio attorno alla vita e mi strinse a sé per tenermi in piedi.
«Devo portarti a casa. Sei distrutta. E Charlie si sveglierà tra poco...».
«Un attimo», disse Jacob, voltandosi di nuovo verso di noi con gli occhi sgranati. «Il mio odore ti disgusta, vero?».
«Ehi, niente male». Edward era due passi indietro. «È possibile». Si voltò verso la sua famiglia e chiamò Jasper. Suo fratello si voltò curioso. Si avvicinò a noi, seguito a breve distanza da Alice, che aveva di nuovo un’espressione frustrata.
«Okay, Jacob». Edward annuì.
Jacob si voltò verso di me con un misto di emozioni sul volto. Era chiaramente entusiasta di fronte a una nuova possibilità, ma anche un po’ a disagio vicino ai suoi nemici-alleati. E poi toccò a me essere diffidente, quando allungò le braccia per prendermi.
Edward fece un respiro profondo.
«Proviamo a vedere se riesco a confondere abbastanza il tuo odore da nascondere le tracce», spiegò Jacob.
Guardai con sospetto le sue braccia aperte.
«Dovrai permettergli di portarti con sé, Bella», disse Edward. La sua voce era calma, ma riuscii a percepire un’ombra di disgusto. Aggrottai la fronte.
Jacob alzò gli occhi al cielo, impaziente, e si chinò per prendermi tra le braccia.
«Non fare la bambina», borbottò.
Il suo sguardo corse a Edward, proprio come il mio. Il volto di Edward era calmo. Parlò a Jasper.
«Io sono troppo sensibile al profumo di Bella. Credo che sarebbe meglio se il test lo facesse qualcun altro».
Jacob si voltò e si diresse veloce verso il bosco. Non aprii bocca finché non sprofondammo nel buio. Non ero a mio agio tra le sue braccia. Era una situazione troppo intima — di certo starmi così vicino non gli faceva bene — e non potevo fare a meno di pensare a come si sentiva. Era come l’ultimo pomeriggio che avevamo trascorso insieme a La Push e non volevo ricordarlo. Incrociai le braccia, seccata, quando la stretta si fece più forte e il ricordo più vivo. Il tragitto non fu troppo lungo; facemmo un giro e tornammo alla radura da un’altra direzione, forse a una distanza pari a mezzo campo di football dal punto di partenza. Edward era là da solo e Jacob si diresse verso di lui.
«Ora puoi mettermi giù».
«Non vorrei mandare all’aria l’esperimento». Rallentò l’andatura e mollò la presa.
«Sei davvero irritante», sussurrai.
«Grazie».
Jasper e Alice apparvero dal nulla accanto a Edward.
Jacob fece un altro passo avanti e mi depositò a terra. Senza voltarmi, raggiunsi Edward e lo presi per mano.
«Allora?», chiesi.
«Se non tocchi niente, Bella, è impossibile che qualcuno si azzardi a entrare nella sua scia per cercare il tuo odore», disse Jasper, con una smorfia.
«Era quasi inesistente».
«Successo pieno», confermò Alice, arricciando il naso.
«E mi ha fatto venire un’idea».
«Che funzionerà», aggiunse Alice con sicurezza.
«Intelligente», confermò Edward.
«Come puoi sopportare una cosa del genere?», mi chiese Jacob a mezza voce.
Edward lo ignorò e mi rivolse lo sguardo, mentre spiegava. «Lasceremo — o meglio lascerai — una falsa scia verso la radura, Bella. I neonati saranno a caccia, il tuo odore li ecciterà e senza accorgersene seguiranno esattamente la strada che gli indicheremo. Alice ha già visto che andrà così. Quando riconosceranno il nostro odore, si separeranno e cercheranno di attaccarci su due fronti. Metà andrà nella foresta, dove all’improvviso si interrompe la visione...».
«Esatto!», sibilò Jacob.
Edward gli sorrise, un vero sorriso cameratesco.
Mi sentii male. Come potevano essere così eccitati al pensiero dello scontro? Come potevo sopportare che entrambi fossero in pericolo? Non potevo.
Non avrei potuto.
«Neanche per idea», disse Edward all’improvviso disgustato. Trasalii, preoccupata che in qualche modo avesse colto il mio pensiero. Ma stava fissando Jasper.
«Lo so, lo so», si affrettò a rispondere Jasper. «Non l’ho nemmeno preso in considerazione, non sul serio, almeno».
Alice gli pestò un piede.
«Se Bella fosse davvero nella radura», spiegò Jasper, «li farebbe impazzire. Non sarebbero in grado di concentrarsi su nient’altro. Potremmo incastrarli facilmente...». Jasper arretrò, sotto lo sguardo di Edward.
«Certo, ma sarebbe troppo pericoloso per lei. Era soltanto un’idea passeggera», disse di filato. Però mi guardò con la coda dell’occhio, perso nei suoi pensieri.
«No», disse Edward con un tono di voce che non ammetteva repliche.
«Hai ragione», disse Jasper. Prese Alice per mano e tornò dagli altri.
«Alla meglio dei tre?», lo sentii chiedere agli altri, prima che ricominciassero a esercitarsi. Jacob gli lanciò un’occhiata nauseata.
«Jasper guarda le cose da una prospettiva strategica», disse Edward in difesa del fratello. «Considera ogni possibilità: è scrupoloso, non cinico». Jacob sbuffò.
Senza rendersene conto si era avvicinato, preso com’era dal progetto. Ora distava da Edward solo un metro o due. In mezzo a loro, sentivo la tensione che irradiavano. Era come una corrente elettrica, una carica sgradevole. Edward tornò a parlare di cose importanti. «La porterò qui venerdì pomeriggio, per lasciare la falsa scia. Tu ci puoi raggiungere più tardi, per condurla in un posto che ti dirò. Assolutamente fuori mano, facile da difendere ma difficile da individuare. Io prenderò un’altra strada».
«E poi? La lasciamo là con un cellulare?», chiese Jacob perplesso.
«Hai un’idea migliore?».
Jacob rispose compiaciuto. «A dir la verità, sì».
«Oh... complimenti, cane, non c’è male, davvero».
Jacob si voltò rapido verso di me, per mostrare di volermi coinvolgere nel discorso. «Abbiamo cercato di convincere Seth a restare di guardia con gli altri due giovani. È ancora agli inizi, ma è testardo e cocciuto. Perciò ho pensato a un nuovo compito: farà lui da cellulare». Finsi di aver capito ma non ingannai nessuno.
«Trasformato in lupo, Seth Clearwater resterà in contatto con il branco», disse Edward. «La distanza è un problema?», aggiunse voltandosi verso Jacob.
«No».
«Cinquecento chilometri?», chiese Edward. «Impressionante». Jacob continuò con il suo tono da bravo ragazzo. «È la distanza massima che abbiamo sperimentato», mi disse. «Ricezione perfetta». Annuii distratta. Ero colpita dall’idea che anche il giovane Seth Clearwater fosse già un licantropo e mi era difficile concentrarmi su quanto stessero dicendo. Ripensai al suo sorriso ampio, così simile a quello di Jacob da ragazzino; non poteva avere più di quindici anni, ammesso che li avesse. Il suo entusiasmo, la sera del falò, prese all’improvviso un nuovo significato...
«È una buona idea», ammise Edward riluttante. «Mi sentirò meglio se c’è Seth, anche senza la comunicazione istantanea. Non so se riuscirei a lasciare Bella là da sola. Guarda come ci siamo ridotti... Ci tocca fidarci dei licantropi!».
«E noi combattiamo con i vampiri invece checontro di loro!», Jacob imitò il tono di disgusto di Edward.
«Be’, voi qualche vampiro di cui occuparvi lo avrete», disse Edward. Jacob sorrise. «Siamo qui per questo».