Mi costrinsi a puntare altrove lo sguardo, impietrito dallo stupore, per non esaminare troppo attentamente l’oggetto ovale avvolto in tentacoli di capelli tremanti e infuocati.
Edward si era rimesso in moto. Svelto, freddo e assorto, smembrò il corpo decapitato. Non riuscivo ad avvicinarmi, non riuscivo a muovere i piedi pesanti come piombo. Ma vagliavo con attenzione ogni suo gesto in cerca del segno di una ferita. Il mio cuore rallentò a un ritmo più salubre quando scoprii che non ne aveva. Era leggiadro e aggraziato come sempre. Non aveva ne-anche sgualcito i vestiti. Non mi guardava — ero immobile contro il muro di pietra, in preda alla nausea — mentre con scrupolo impilava le membra tremanti e nervose e le copriva di aghi di pino secchi. Non incrociò i miei occhi nemmeno quando scattò verso la foresta in cerca di Seth.
Non feci in tempo a riprendermi prima che tornasse, con Seth al suo fianco e i resti di Riley tra le braccia. Seth ne trasportava un grosso brandello — il busto — in bocca. Aggiunsero il carico alla pila ed Edward sfilò da una tasca un oggetto argenteo. Aprì l’accendino a benzina e avvicinò la fiamma alla legna secca. Si accese all’istante e lunghe lingue arancioni si srotolarono rapide sulla pira.
«Prendi tutti i pezzi», disse sottovoce Edward a Seth. Insieme, il vampiro e il licantropo rastrellarono l’accampamento, gettando di tanto in tanto brandelli di pietra bianca tra le fiamme. Seth maneggiava i pezzi con i denti. Il mio cervello non funzionava ancora abbastanza bene da capire perché non si fosse ritrasformato in qualcosa dotato di mani. Edward non si distoglieva dalla sua missione.
Finalmente completarono l’opera, mentre il fuoco scatenato soffiava verso il cielo una colonna purpurea e soffocante. Il fumo si avvolgeva lento e denso, quasi più solido della norma; odorava di incenso, un aroma inquietante. Era pesante, troppo forte. Seth ripeté quel suono ridacchiante, dal profondo del petto. Un sorriso spuntò sul volto teso di Edward.
Edward allungò un braccio, stringendo il pugno. Seth sorrise, mostrando la lunga fila di denti aguzzi, e sfregò il naso contro la mano di Edward.
«Bel lavoro di squadra», mormorò Edward.
Seth tossì una risata.
Poi Edward riprese fiato e si voltò lento verso di me. Non capivo la sua espressione. I suoi occhi erano attenti, come fossi un altro nemico... Più che attenti, erano impauriti. Eppure non aveva mostrato alcun timore nell’affrontare Victoria e Riley. La mia mente era sorpresa, indecisa e inerte come il mio corpo. Lo fissavo sconvolta.
«Bella, amore», disse con il massimo della soavità, camminandomi incontro con lentezza esagerata, le mani alzate, il palmo rivolto a me. Sconvolta com’ero, mi ricordò la strana immagine di un sospetto che si avvicina al poliziotto per dimostrare di non essere armato...
«Bella, lasceresti andare la pietra, per favore? Piano. Senza farti male». Avevo completamente dimenticato la mia arma rozza, benché mi fossi resa conto solo in quell’istante di stringerla così forte da scatenare le urla di protesta della mano. Si era rotta di nuovo? Questa volta Carlisle mi avrebbe costretta a portare il gesso. Edward restò immobile a poca distanza da me, le mani sempre sollevate, lo sguardo ancora impaurito.
Mi occorsero alcuni secondi interminabili per ricordare come si muovevano le dita. Poi la pietra cadde rumorosa a terra, mentre la mano restava immobile senza cambiare posizione.
Edward si rilassò un poco quando mi vide a mani vuote, ma non osò avvicinarsi. «Non avere paura, Bella», mormorò. «Sei salva. Non ti farò del male».
Quella promessa mi disorientò e non fece che confondermi ulteriormente. Restai a guardarlo come un’imbecille, sforzandomi di capire.
«Andrà tutto bene, Bella. So che adesso hai paura, ma è finita. Nessuno ti farà del male. Non ti sfiorerò nemmeno. Non ti farò del male», ribadì. Sbattei gli occhi, furiosa, e ritrovai la voce. «Perché continui a ripeterlo?». Gli andai incontro con un passo malfermo e lui arretrò.
«Cosa c’è che non va?», sussurrai. «Cosa vuol dire?».
«Non hai...». Il suo sguardo dorato mi apparve all’istante confuso quanto il mio. «Non hai paura di me?».
«Paura di te? Perché?».
Barcollai in avanti di un altro passo, poi inciampai in qualcosa... probabilmente nei miei piedi. Edward mi afferrò, affondai il viso nel suo petto e scoppiai a singhiozzare.
«Bella, Bella, scusami. È finita, è finita».
«Sto bene», rantolai. «Tutto okay. Sono soltanto. Un po’ fuori. Lasciami. Un minuto».
Strinse le sue braccia attorno a me. «Scusa, davvero», mormorava senza sosta.
Restai stretta a lui finché non mi mancò il respiro e mi ritrovai a baciargli il petto, le spalle, il collo... ogni parte di lui che riuscivo a raggiungere. Lentamente, il mio cervello ricominciò a funzionare.
«Tutto okay?», domandai tra un bacio e l’altro. «Ti ha fatto del male?».
«Mai stato meglio», dichiarò e immerse il viso nei miei capelli.
«Seth?».
Edward ridacchiò. «Più che bene. Anzi, pare molto soddisfatto di sé».
«Gli altri? Alice? Esme? I lupi?».
«Tutti bene. Anche giù è finito tutto. È andata liscia come ti avevo promesso. Il peggio è stato qui». Per un istante lasciai che l’idea mi entrasse bene in testa e si depositasse con calma.
La mia famiglia e i miei amici erano salvi. Victoria non sarebbe mai più tornata a cercarmi. Era tutto finito.
Ogni cosa sarebbe andata per il meglio.
Eppure non riuscivo a prendere in considerazione le buone notizie, confusa com’ero.
«Dimmi perché», insistetti. «Perché pensavi che avessi paura di te?».
«Scusa», disse per l’ennesima volta. Scusa di che? Non ne avevo idea.
«Scusa davvero. Non volevo che vedessi. Che mi vedessi così. Ero certo di averti terrorizzata».
Fui costretta a pensare per un altro minuto alla posa incerta con cui mi si era avvicinato, a mani alzate. Come se fossi pronta a correre in caso di movimenti bruschi...
«Sul serio?», domandai, infine. «Tu... cosa? Pensavi di avermi spaventata?». Sbuffai. Sbuffare andava bene: la voce non tremava né si spezzava. Sembrava una reazione davvero disinvolta e decisa.
Con una mano sotto il mio mento, mi alzò la testa per leggere la mia espressione.
«Bella, io ho appena...». S’interruppe, poi si costrinse a pronunciare il resto delle parole. «Ho appena decapitato e smembrato una creatura senziente, a meno di venti metri da te. Non ti senti toccata?». Mi guardò di sottecchi.
Alzai le spalle. Anche le spallucce andavano bene. Molto blasé. «Non proprio. Avevo paura che tu e Seth vi faceste male. Avrei voluto aiutarvi, ma non potevo fare granché...».
La sua espressione improvvisamente livida mi fece smarrire la voce.
«Sì», replicò secco. «Il tuo numero con il sasso, complimenti. Sai che mi hai quasi fatto venire un infarto? E non è facile riuscirci, te lo garantisco». Il suo sguardo infuriato e torvo scoraggiò la mia risposta.
«Volevo aiutarvi... Seth era ferito...».
«Seth stava soltanto fingendo, Bella. Era un trucco. E poi tu...». Scosse la testa, incapace di terminare la frase. «Seth non riusciva a vedere cosa stessi facendo. Perciò ho dovuto intervernire. Seth adesso è un po’ deluso perché non può prendersi tutto il merito della vittoria».
«Seth stava... fingendo?».
Annuì deciso.
«Ah».
Guardammo entrambi Seth, che faceva di tutto per ignorarci, e fissava le fiamme. Irradiava compiacimento da ogni singolo pelo.
«Be’, non lo sapevo», dissi e tornai all’attacco. «Non è facile essere l’unica persona inerme. Aspetta che diventi una vampira! La prossima volta non me ne starò ai margini».
Una dozzina di emozioni attraversò il suo viso, prima di stabilizzarsi su un’espressione divertita. «La prossima volta? Pensi che presto scoppierà un’altra guerra?».
«Con la fortuna che ho, chi lo sa?».
Alzò gli occhi al cielo, ma ormai stava volando. Il sollievo ci aveva finalmente alleggeriti. Era finita.
...O no?
«Aspetta. Prima hai mica parlato di...». Trasalii, e ricordai esattamente cos’era accaduto: come mi sarei chiarita con Jacob? Dal mio cuore spezzato nascevano battiti di dolore e tortura. Difficile crederci, quasi impossibile, ma la parte più difficile della giornata non era ancora trascorsa. A quel punto mi feci forza e ripresi: «...di una complicazione? E di Alice, che doveva fissare una scaletta per Sam. Hai detto che sarebbe stato difficile. Cosa sarebbe stato difficile?». Con gli occhi Edward corse a Seth e i due si scambiarono uno sguardo.
«Be’?», chiesi.
«Non è niente, davvero», rispose subito Edward. «Però dobbiamo tornare...». Fece per prendermi in spalla, ma m’irrigidii e mi allontanai.
«Spiegami il significato di "niente"».
Edward mi prese il volto tra le mani. «Manca soltanto un minuto, perciò non andare nel panico, va bene? Ti ho già detto che non c’è motivo di avere paura. Vuoi fidarti, per piacere?». Annuii cercando di nascondere il terrore improvviso: quanto potevo trattenerne ancora, prima di crollare?
«Non c’è motivo di avere paura. Capito».
Increspò le labbra per un istante, senza sapere cosa rispondere. Poi lanciò un’occhiata a Seth, come se lui lo avesse chiamato.
«Cosa sta facendo?», domandò Edward.
Seth emise un mugolio ansioso, irrequieto. Mi fece rizzare i peli sulla nuca.
Per un secondo senza fine tutto fu muto come una tomba. Poi Edward esclamò: «No!», e con una mano afferrò di scatto qualcosa di invisibile. «Non farlo!».
Uno spasmo scosse il corpo di Seth e dai suoi polmoni irruppe un ululato straziante, pieno di dolore. In quello stesso momento Edward cadde in ginocchio, la testa stretta tra le mani, il volto corrugato in un’espressione di dolore. Lanciai un urlo, sorpresa e terrorizzata, e m’inginocchiai accanto a lui. Feci il tentativo, stupido, di levargli le mani dal volto; le mie, viscide di sudore, scivolavano sulla sua pelle di marmo.
«Edward! Edward!».
I suoi occhi puntarono su di me; con uno sforzo palese rilassò i denti serrati.
«Tutto a posto. Andrà tutto bene. È tutto...». S’interruppe ed ebbe un altro fremito.
«Che succede?», urlai, mentre Seth ululava disperato.
«Va tutto bene. Andrà tutto per il meglio», sbottò Edward. «Sam... aiutalo!». E in quell’istante, quando pronunciò il nome di Sam, capii che non parlava di se stesso o di Seth. Non c’era nessuna forza invisibile in procinto di attaccarli. Stavolta il punto critico era altrove.
Parlava al plurale, il plurale del branco.
Ormai avevo bruciato tutta l’adrenalina. La riserva del mio corpo era esaurita. Mi sbilanciai, ma Edward mi afferrò prima che mi schiantassi sulle pietre. Scattò in piedi stringendomi tra le braccia.
«Seth!», gridò.
Seth era rannicchiato, sempre teso e agonizzante, quasi pronto a lanciarsi nella foresta.
«No!», ordinò Edward. «Tu vai dritto a casa. Subito. Più veloce che puoi!».
Seth emise un guaito e scosse la grossa testa.
«Seth, fidati!».
L’enorme lupo guardò negli occhi Edward per un lungo istante, e subito si drizzò e volò tra gli alberi, scomparendo come un fantasma. Edward mi cullava stretta a sé e subito ci lanciammo anche noi in corsa nella foresta, lungo un sentiero diverso da quello del lupo.
«Edward». Mi sforzai di far uscire le parole dalla gola strozzata. «Cos’è successo, Edward? Cos’è successo a Sam? Dove stiamo andando?».
«Dobbiamo tornare alla radura», rispose a voce bassa. «Sapevamo che le probabilità che andasse così erano alte. Già stamattina presto, Alice ha visto tutto e ha informato Seth, attraverso Sam. I Volturi hanno deciso che è il momento di mediare».
I Volturi.
Era troppo. La mia mente rifiutò di dare un senso a quella parola e finse di non capire.
Gli alberi ci sfrecciavano accanto. Edward correva in discesa così veloce che sembrava precipitare, perdere del tutto il controllo.
«Non spaventarti. Non stanno venendo a prendere noi. È il solito contingente di guardie per ripulire casini come questo. Niente di grave, fanno soltanto il loro dovere. Certo, sembra che abbiano programmato l’intervento con un certo tempismo. Il che mi porta a credere che nessuno in Italia si sarebbe disperato se i neonati fossero davvero riusciti a ridurre le dimensioni della famiglia Cullen». Parlava a denti stretti, in tono secco e cupo.
«Appena raggiungeranno la radura scoprirò cosa si aspettavano».
«Per questo stiamo tornando?», sussurrai. Sarei riuscita a reggere la situazione? La mia mente si riempì di immagini di tonache nere striscianti, da cui cercavo di proteggermi. Ero vicina al punto di rottura.
«In parte sì. Più che altro, la mossa sicura in questo momento è presentarci come un fronte unito. Non hanno alcun motivo di crearci problemi, ma... con loro c’è Jane. Se si convince che noi due eravamo soli, lontani dagli altri, potrebbe sentirsi tentata. Come Victoria, potrebbe intuire che io e te stiamo assieme. Ovviamente, con lei c’è Demetri. E se Jane glielo chiedesse, saprebbe trovarmi».
Mi rifiutavo di ripensare a quel nome. Non volevo che tra i miei pensieri comparisse quel volto fanciullesco, di una bellezza accecante. Dalla mia gola uscì un rumore strano.
«Sssh, Bella, sssh. Andrà tutto bene. Alice lo ha già visto». Alice lo aveva visto? Ma... dov’erano i lupi?
«E il branco dov’è?».
«Hanno dovuto andarsene immediatamente. I Volturi non rispettano la tregua con i licantropi».
Sentivo il mio respiro accelerare, ma non riuscivo a controllarlo. Iniziai ad ansimare.
«Ti giuro che andrà tutto bene», promise Edward. «I Volturi non riconosceranno l’odore, non capiranno che qui ci sono i lupi. Non hanno familiarità con questa specie. Il branco è al sicuro». Non fui in grado di elaborare quel chiarimento. La paura aveva fatto a brandelli la mia concentrazione.Andrà tutto bene , aveva detto... ma Seth ululava di dolore... Edward aveva evitato la mia prima domanda, distraendomi con i Volturi. Stavo per crollare e mi aggrappavo soltanto con la punta delle dita. Gli alberi erano una nuvola sfocata che correva attorno a lui come una cascata di giada.
«Cos’è successo?», sussurrai di nuovo. «Prima. Quando Seth ululava. Quando anche tu hai sofferto».
Edward restò in silenzio.
«Edward! Dimmelo!».
«Era finita», sussurrò. Lo sentivo appena, tra il rumore del vento creato dalla velocità. «I lupi non avevano contato i loro avversari... pensavano di averli finiti tutti. Ovviamente Alice non è riuscita a vedere...».
«Cos’è successo?».
«Uno dei neonati si è nascosto... Leah lo ha scoperto: è stata stupida, presuntuosa, chissà cosa cercava di dimostrare. Lo ha attaccato da sola...».
«Leah», ripetei, ma ero troppo debole per vergognarmi della sensazione di sollievo da cui mi sentii inondare. «Si riprenderà?».
«Leah non si è fatta niente», mormorò Edward.
Lo fissai per un istante interminabile.
Sam... aiutalo!, aveva esclamato Edward. Non "aiutala".
«Siamo quasi arrivati», disse fissando un punto preciso del cielo. Automaticamente, i miei occhi seguirono i suoi. Un’ombra scura e purpurea incombeva sopra gli alberi. Una nuvola? Strano, la giornata era stranamente assolata... No, non era una nuvola. Riconobbi la colonna di fumo denso, uguale a quella del nostro accampamento.
«Edward», dissi con un filo di voce. «Edward, qualcuno si è fatto male». Avevo sentito il dolore di Seth, visto l’espressione torturata sul volto di Edward.
«Sì», sussurrò.
«Chi?», domandai, ma ovviamente conoscevo già la risposta. Certo che la conoscevo.
Gli alberi attorno a noi divennero più nitidi mentre arrivavamo a destinazione. Gli occorse un istante interminabile per rispondere.
«Jacob», disse.
Riuscii a malapena ad annuire.
«Certo», sussurrai.
E a quel punto scivolai dal burrone a cui mi sentivo appesa. Tutto diventò nero.
«Bella, piccola mia?». Era la voce delicata e rassicurante di Esme. «Mi senti? Adesso sei al sicuro, cara».
Certo, io ero al sicuro. Importava qualcosa?
Poi due labbra fredde mi sfiorarono l’orecchio ed Edward pronunciò le parole che mi permisero di sfuggire alla tortura che mi aveva imprigionata nella mia testa.
«Sopravviverà, Bella. Jacob Black sta guarendo. Si riprenderà». Dolore e paura sparirono, e ritrovai la strada per il mio corpo. Sbattei le palpebre.
«Oh, Bella», sospirò Edward, sollevato, e le sue labbra sfiorarono le mie.
«Edward», sussurrai.
«Sì, sono qui».
Riuscii ad aprire gli occhi e fissai quell’oro caldo.
«Jacob sta bene?», domandai.
«Sì, davvero».
Scrutai i suoi occhi, attenta a cogliere un segno di cedimento, nel timore che cercasse soltanto di tranquillizzarmi, ma erano perfettamente limpidi.
«L’ho visitato io stesso», disse Carlisle in quel momento. Mi voltai e lo vidi a poca distanza da me. La sua espressione era seria e rassicurante. Era impossibile dubitarne. «Non è in pericolo di vita. Sta guarendo a velocità incredibile, ma purtroppo le ferite sono talmente estese che anche a questo ritmo impiegherà qualche giorno, prima di tornare del tutto sano. Dopo che avremo sbrigato le nostre faccende qui, farò il possibile per lui. Sam lo sta aiutando a riprendere la forma umana, così sarà più facile curarlo». Carlisle accennò un sorriso. «Non ho specializzazioni in veterinaria».
«Cosa gli è successo?», sussurrai. «Quanto sono gravi le ferite?». Carlisle si rifece serio. «C’era un altro lupo in pericolo...».
«Leah», sussurrai.
«Sì. È riuscito a farla scansare, ma non ha avuto tempo di difendersi. Il neonato l’ha stretto in una morsa, con le braccia. Quasi tutte le ossa del lato destro del suo corpo sono rimaste sbriciolate».
Trasalii.
«Sam e Paul sono arrivati in tempo. Mentre lo portavano a La Push stava già meglio».
«Guarirà del tutto?», domandai.
«Sì, Bella. Non resteranno danni permanenti».
Feci un respiro profondo.
«Tre minuti», disse Alice tranquilla.
Mi sforzai di riprendere la posizione verticale. Edward se ne accorse e mi aiutò a rialzarmi.
Fissai la scena di fronte a me.
I Cullen formavano una specie di semicerchio attorno al falò. Non si vedevano più fiamme, ma soltanto il fumo denso, nero e purpureo, che incombeva come un flagello sull’erba illuminata. Jasper, il più vicino alla nuvola quasi solida, restava in quell’ombra e la sua pelle non scintillava come quella degli altri. Mi dava le spalle, la schiena era dritta, le braccia appena tese. Faceva ombra a qualcosa. Qualcosa su cui era chino, che contemplava con intensità inquietante... Ero troppo annebbiata per provare più che una vaga sorpresa, quando capii di cosa si trattava.
Nella radura i vampiri erano otto.
La ragazza era raggomitolata accanto al fuoco, che si abbracciava le gambe. Era giovanissima. Più giovane di me. Dimostrava forse quindici anni ed era magra, con i capelli neri. Puntava lo sguardo dritto su di me, l’iride di un rosso brillante, straordinario. Molto più intenso di quello di Riley, quasi una brace accesa. I suoi occhi roteavano senza sosta, fuori controllo. Edward notò la mia espressione sbigottita.
«Si è arresa», mi disse tranquillo. «Non ho mai visto niente del genere. Solo uno come Carlisle avrebbe potuto pensare di offrirle questa possibilità. Jasper non è d’accordo». Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla scena accanto al fuoco. Jasper si sfregava l’avambraccio sinistro, con aria assente.
«Jasper sta bene?», sussurrai.
«Sì. È il veleno che pizzica».
«Lo hanno morso?», domandai, terrorizzata.
«Cercava di essere ovunque. Più che altro, si è preoccupato di alleggerire il lavoro di Alice», disse Edward e scosse la testa. «Ma Alice non ha bisogno dell’aiuto di nessuno». Alice fece una smorfia al suo innamorato. «Sciocco iperprotettivo». La giovane femmina gettò all’improvviso la testa all’indietro come un animale e lanciò uno strillo acuto.
Jasper le ruggì contro, lei si ritrasse, ma infilò le unghie nel terreno come artigli mentre la testa dondolava avanti e indietro, sofferente. Jasper fece un passo verso di lei e accentuò la posizione di attacco. Con una mossa fin troppo disinvolta Edward mi spostò in modo da mettersi tra me e la ragazza. Sbirciai da dietro il suo braccio per osservare Jasper e la giovane che scavava per terra.
All’istante Carlisle affiancò Jasper. Posò una mano sulla spalla dell’ultimo arrivato dei suoi figli, per tranquillizzarlo.
«Hai cambiato idea, giovane?», domandò Carlisle, calmo come sempre.
«Non vogliamo distruggerti, ma se non riesci a controllarti saremo costretti a farlo».
«Come fate a sopportare?», ruggì la ragazza con voce alta e squillante.
«La voglio». I suoi occhi color rubino misero a fuoco Edward e lo trapassarono per arrivare a me, mentre con le unghie perforava la terra dura.
«Devi sopportare», rispose Carlisle serio. «Devi imparare a mantenere il controllo. È possibile, ed è anche la tua unica via di scampo». La ragazza si prese la testa tra le mani sporche di terra e mugolò piano.
«Non è meglio che ci allontaniamo?», sussurrai, stringendomi al braccio di Edward. Quando sentì la mia voce, la ragazza scoprì i denti, sul viso un’espressione tormentata.
«Dobbiamo restare qui», mormorò Edward. «Stanno arrivando, dal lato settentrionale della radura».
I battiti del mio cuore accelerarono all’improvviso, mentre osservavo il prato senza vedere altro che il manto di fumo denso.
Dopo un istante di ricerca inutile, il mio sguardo tornò di sottecchi a quello della giovane vampira. Non smetteva di cercarmi, un velo di pazzia nelle pupille.
Per un istante interminabile ne incrociai lo sguardo. Il suo viso era incorniciato da capelli lunghi fino al mento, la pelle bianca come il marmo. Era difficile intuire se i lineamenti fossero belli o no, distorti com’erano dalla rabbia e dalla sete. A dominare erano gli occhi rossi, da animale selvatico. Difficile starne lontani. Mi guardava in cagnesco mentre i tremori la scuotevano a ondate che duravano pochi secondi.
Restai a fissarla, ipnotizzata, e mi chiesi se quello fosse uno specchio del mio futuro.
Poi Carlisle e Jasper arretrarono per unirsi al resto del gruppo. Emmett, Rosalie ed Esme si avvicinarono in fretta al punto in cui stavamo io, Alice ed Edward. Un fronte unito, come aveva detto Edward, con me al centro, nella posizione più protetta.
Distolsi l’attenzione dalla ragazza selvaggia e mi preparai all’arrivo dei mostri.
Ancora non si vedeva niente. Lanciai un’occhiata a Edward, ma i suoi occhi fissavano un punto davanti a lui. Cercai di seguirli, ma c’era soltanto il fumo denso e oleoso, che si curvava verso terra e risaliva pigro, ondulando sull’erba. Fluttuava in avanti, più scuro al centro.
Una voce morta mormorò qualcosa nella nebbia. Riconobbi immediatamente quel tono apatico.
«Benvenuta, Jane». Il tono di Edward era cortese e distaccato. Le sagome scure si avvicinarono, si separarono dalla nebbia e divennero solide. Sapevo che a capeggiarle era Jane, con la mantella più scura, quasi nera, e la sagoma minuta, più bassa di quasi mezzo metro rispetto alle altre. Riconobbi appena i suoi lineamenti angelici all’ombra del cappuccio. Anche le quattro sagome coperte di grigio che svettavano alle sue spalle avevano qualcosa di familiare. Ero certa di aver riconosciuto la più grossa e, mentre la fissavo cercando una conferma ai miei sospetti, Felix alzò lo sguardo. Lasciò cadere un poco il cappuccio, così da mostrarsi mentre mi faceva l’occhiolino e sorrideva.
Edward era immobile al mio fianco, perfettamente concentrato. Lo sguardo di Jane passò lentamente in rassegna i volti luminosi dei Cullen, poi sfiorò la neonata accanto al fuoco; la ragazza si era stretta di nuovo la testa tra le mani.
«Non capisco». La voce di Jane era priva di inflessione, ma non disinteressata.
«Si è arresa», spiegò Edward, in risposta alla perplessità che le leggeva nella mente.
Jane rispose fulminandolo con lo sguardo. «Arresa?».
Felix e un’altra ombra si scambiarono un’occhiata fugace. Edward si strinse nelle spalle. «Carlisle le ha dato una possibilità».
«Chi infrange le regole non merita possibilità», rispose Jane impassibile. Fu Carlisle a parlare, gentile. «Sta a voi decidere. Ha rinunciato ad attaccarci, perciò non mi è sembrato il caso di eliminarla. Nessuno le ha mai insegnato niente».
«Ciò è irrilevante», insistette Jane.
«Come credi».
Jane fissò Carlisle, costernata. Scosse la testa in maniera impercettibile, poi si ricompose.
«Aro sperava che ci spingessimo a occidente tanto da riuscire a vederti, Carlisle. Ti manda i suoi saluti».
Carlisle annuì. «Ti prego di portare i miei a lui».
«Certamente». Jane sorrise. Quando il suo viso si animava appariva fin troppo bella. Tornò a osservare il fuoco alle sue spalle. «A quanto pare ci avete risparmiato del lavoro, oggi... almeno la maggior parte». Lanciò un’occhiata fugace all’ostaggio. «Per curiosità statistica, sapete dirci quanti erano? Hanno seminato un bel po’ di terrore, a Seattle».
«Diciotto, lei compresa», rispose Carlisle.
Jane strabuzzò gli occhi e guardò di nuovo il fuoco, forse nel tentativo di valutarne le dimensioni. Felix e l’altra ombra si lanciarono un nuovo sguardo, più lungo.
«Diciotto?», ripeté, la voce meno decisa di prima.
«Tutti neonati», aggiunse disinvolto Carlisle. «Tutt’altro che esperti».
«Tutti?». La voce di lei si fece più acuta. «E chi è stato a trasformarli?».
«Si chiamava Victoria», rispose Edward, senza mostrare alcuna emozione.
«Chiamava?», domandò Jane.
Edward chinò la testa verso il margine orientale della foresta. Jane alzò lo sguardo di scatto e mise a fuoco qualcosa in lontananza. L’altra colonna di fumo? Non badai a controllare.
Guardò verso est a lungo, poi tornò a esaminare il falò più vicino.
«Questa Victoria... era in compagnia dei diciotto, qui?».
«Sì. Con lei ce n’era uno solo. Non era giovane come questa, ma penso avesse meno di un anno».
«Venti», sospirò Jane. «Chi si è occupato della creatrice?».
«Io», rispose Edward.
Jane affilò lo sguardo e si voltò verso la ragazza accanto al fuoco.
«Tu», disse, la voce morta più aspra di prima. «Dimmi come ti chiami». La neonata lanciò a Jane uno sguardo minaccioso, le labbra ben strette. Jane rispose con un sorriso angelico.
Lo strillo che provocò nella neonata fu assordante e il suo corpo s’inarcò, rigido, in una posizione distorta e innaturale. Distolsi lo sguardo, lottando contro l’istinto di coprirmi le orecchie. Serrai i denti nella speranza di controllare lo stomaco. Le urla si fecero più intense. Cercai di concentrarmi sul viso di Edward, teso e senza espressione, ma ciò mi fece ripensare a quando avevo visto lui in balia dello sguardo torturatore di Jane, e la mia nausea aumentò. Osservai Alice ed Esme. Le loro espressioni erano altrettanto vuote. Infine, calò il silenzio.
«Dimmi come ti chiami», ripeté Jane, senza alcuna inflessione.
«Bree», tossì la ragazza.
Jane sorrise e gli strilli ripresero. Trattenni il respiro finché il suono di quel dolore straziante non cessò.
«Ti dirà tutto ciò che vuoi sapere», disse Edward a denti stretti. «Non è necessario trattarla così».
Jane alzò gli occhi e al posto del suo solito sguardo morto spiccava un improvviso buonumore. «Ah, lo so», rispose a Edward, e gli sorrise prima di tornare a Bree, la giovane vampira.
«Bree», disse Jane, la voce di nuovo fredda. «È vera questa storia? Eravate in venti?». La ragazza giaceva, il respiro pesante, la faccia a terra. Rispose in fretta.
«Diciannove o venti, forse di più. Non lo so!». Si ritrasse, forse terrorizzata che la risposta vaga potesse scatenare un’altra ondata di tortura. «Sara e quella che non ci ha detto il suo nome hanno litigato, durante il tragitto...».
«E questa Victoria? È stata lei a trasformarti?».
«Non lo so», disse, ed ebbe un fremito. «Riley non me ne ha mai parlato. Quella notte non vidi niente... era così buio... e faceva male...». Bree tremò. «Voleva che fosse impossibile pensare a lei. Diceva che i nostri pensieri non erano al sicuro...». Lo sguardo di Jane incrociò quello di Edward, poi tornò velocemente alla ragazza. Victoria aveva pianificato tutto al meglio. Se non avesse seguito Edward, nessuno avrebbe potuto dare per scontato il suo coinvolgimento...
«Raccontami di Riley», disse Jane. «Perché vi ha condotti qui?».
«Riley ci ha detto che dovevamo distruggere gli strani occhi-gialli che abitano qui», balbettò Bree, svelta e sottomessa. «Ha detto che sarebbe stato facile. Ha detto che la città era loro, e prima o poi sarebbero venuti a riprenderla. Ha detto che dovevamo sbarazzarcene, così il sangue sarebbe stato tutto nostro. Ci ha fatto sentire il suo odore». Bree alzò una mano e con il dito mi indicò. «Ha detto che avremmo riconosciuto il clan perché lei stava con loro. Ha detto che il primo che la trovava avrebbe potuto averla per sé». Al mio fianco, sentii la mascella di Edward serrarsi.
«A quanto parte Riley si è illuso che fosse davvero facile», commentò Jane.
Bree annuì, sembrava lieta che la conversazione avesse preso una piega meno dolorosa. Si sedette, misurando i propri gesti. «Non so cos’è successo. Ci siamo divisi in due gruppi, ma gli altri non ci hanno mai raggiunti. Poi Riley ci ha abbandonati, senza tornare ad aiutarci come aveva promesso. Poi c’è stata solo confusione, e tutti sono finiti a pezzi». Un altro fremito. «Avevo paura. Volevo scappare. Lui», guardò Carlisle, «ha detto che se avessi smesso di combattere non mi avrebbero fatto del male».
«Ah, ma non toccava a lui farti un dono del genere, ragazza», mormorò Jane, con voce stranamente gentile. «Chi infrange le regole merita il castigo». Bree restò a guardarla senza capire.
Jane si rivolse a Carlisle. «Siete sicuri di averli presi tutti? Anche l’altro gruppo?».
Carlisle annuì senza tradire emozioni. «Anche noi ci siamo divisi». Jane accennò un sorriso. «Non posso negare di esserne colpita». Dalle grosse ombre alle sue spalle giunse un mormorio di approvazione. «Non ho mai visto nessuna famiglia uscire illesa da un’offensiva così potente. Sapete cos’è stato a scatenarla? Sembra un comportamento estremo, visto e considerato come vivete quaggiù. E perché la chiave di tutto era la ragazza?». I suoi occhi si soffermarono senza volerlo su di me per un istante fugace. Sentii un brivido.
«Victoria aveva un conto in sospeso con Bella», rispose Edward, impassibile. Jane rise e il suono era dorato, come quello di una bambina felice. «A quanto pare, questa ragazza scatena reazioni fortissime e bizzarre in noi», commentò sorridendomi con espressione beata.
Edward s’irrigidì. Lo vidi voltarsi e tornare a Jane.
«Non farlo, ti prego», disse, teso.
Jane scoppiò in un’altra risatina. «Stavo solo controllando. A quanto pare, non le ho torto un capello». Rabbrividii, profondamente grata che lo strano difetto del mio corpo — lo stesso che mi aveva già protetta una volta da Jane — fosse ancora attivo. Edward mi abbracciò più forte.
«Be’, a quanto pare non ci resta granché da fare. Strano», disse Jane, e nella sua voce tornò l’ombra dell’apatia. «Non capita spesso che la nostra presenza sia inutile. È proprio un peccato esserci persi il combattimento. A quanto pare sarebbe stato bello poter assistere».
«Sì», rispose secco Edward. «E dire che eravate vicini. Peccato che non siate arrivati mezz’ora prima. Magari sareste riusciti a compiere la vostra missione».
Lo sguardo fermo di Jane incrociò quello di Edward. «Sì. Davvero un peccato che sia andata così, eh?».
Edward annuì a se stesso. I suoi sospetti erano confermati. Jane si voltò di nuovo verso la neonata Bree e le parlò con un’espressione totalmente annoiata. «Felix?», biascicò.
«Aspetta», la interruppe Edward.
Jane alzò un sopracciglio, ma a quel punto Edward guardava fisso Carlisle e gli parlava in tono concitato. «Potremmo spiegare le regole alla giovane. Tutto sommato sembra desiderosa di imparare. Non sapeva cosa stesse facendo».
«Certo», rispose Carlisle. «Saremmo ben disposti a dichiararci responsabili di Bree». L’espressione di Jane era combattuta, tra divertimento e incredulità.
«Noi non facciamo eccezioni», disse. «E non concediamo seconde possibilità. Intacca la nostra reputazione. Il che mi ricorda...». All’istante i suoi occhi tornarono su di me e il suo viso da cherubino si accese. «A Caius farà molto piacere sapere che sei ancora umana, Bella. Magari deciderà di farvi visita».
«La data è decisa», disse Alice a Jane. «Può darsi che tra qualche mese saremo noi a farvi visita». Il sorriso scomparve e Jane alzò le spalle, indifferente, senza badare ad Alice. Si rivolse a Carlisle, invece. «È stato un piacere conoscerti, Carlisle. Pensavo che Aro avesse esagerato. Be’, alla prossima...».
Carlisle annuì, con espressione tormentata.
«Occupatene tu, Felix», disse Jane, la voce traboccante di noia, e con un cenno indicò Bree. «Voglio andare a casa».
«Non guardare», mi bisbigliò Edward all’orecchio.
Non ci pensai due volte e seguii le istruzioni. Per quel giorno ne avevo viste abbastanza. Abbastanza per una vita intera e oltre. Serrai gli occhi e affondai il viso nel petto di Edward.
Ma non riuscii a non sentire.
Prima un ruggito profondo e roboante, poi un lamento stridulo terribilmente familiare. Il lamento si spezzò in fretta, poi l’unico rumore furono strappi e lacerazioni nauseanti.
La mano di Edward accarezzava ansiosa le mie spalle.
«Venite», disse Jane, e alzai lo sguardo appena in tempo per vedere le mantelle grigie che, di spalle, scivolavano verso la spirale di fumo. Tornò l’odore forte di incenso appena acceso.
Le mantelle grigie scomparvero nella nebbia densa.