Il ripiano del bagno di Alice era occupato da migliaia di prodotti diversi e tutti vantavano incredibili capacità di abbellire la pelle. Dal momento che gli abitanti della casa erano perfetti e impermeabili, ne deducevo che avesse accumulato quella scorta pensando a me. Leggevo le etichette annebbiata, sconvolta da tanto spreco. Ero attenta a non guardarmi mai nel lungo specchio.
Alice mi pettinava con gesti lenti e ritmati.
«Va bene così, Alice», dissi senza entusiasmo. «Voglio tornare a La Push».
Per quante ore avevo aspettato che Charlie finalmente uscisse da casa di Billy, in modo che potessi andare a trovare Jacob? Ogni minuto che avevo trascorso ignorando se il mio amico respirasse ancora mi era sembrato durare dieci vite. Infine, ricevuto il permesso di andare a verificare se Jacob era ancora vivo, il tempo era volato. Pensavo di poter finalmente riprendere fiato, ma all’improvviso Alice aveva chiamato Edward e insistito nel continuare con la ridicola messinscena del pigiama party. Sembrava un dettaglio talmente insignificante...
«Jacob non ha ancora ripreso conoscenza», mi disse Alice. «Carlisle o Edward chiameranno non appena si risveglierà. E comunque, è meglio che tu raggiunga Charlie. Era a casa di Billy, sa che Carlisle ed Edward sono tornati dall’escursione ed è probabile che si insospettisca, quando tornerai a casa».
Avevo già imparato a memoria e arricchito di dettagli la mia versione.
«Non m’interessa. Quando Jacob si sveglierà voglio esserci».
«Per ora è meglio che ti limiti a pensare a Charlie. È stata una giornata lunga — scusa, so che come definizione è a dir poco riduttiva — ma ciò non significa che tu abbia il diritto di sfuggire alle tue responsabilità». La sua voce era seria, sembrava un rimprovero. «Ora più che mai, è importante che Charlie resti al sicuro e all’oscuro di tutto. Prima recita la tua parte, Bella, poi potrai fare ciò che ti va. Essere meticoloso e responsabile fa parte dei doveri di ogni Cullen». Ovviamente aveva ragione. E come se quel motivo non bastasse, pur essendo più potente di qualsiasi mia paura, timore o senso di colpa, Carlisle non mi avrebbe mai convinta ad allontanarmi da Jacob, che fosse sveglio o no.
«Torna a casa», ordinò Alice. «Parla con Charlie. Sfodera il tuo alibi. Tienilo al sicuro».
Mi alzai e il sangue fluì ai miei piedi intorpiditi, pungendoli come migliaia di aghi. Ero rimasta seduta e immobile troppo a lungo.
«Quell’abito è adorabile», cinguettò Alice.
«Cosa? Ah... sì, grazie ancora per i vestiti», mormorai più per cortesia che per vera gratitudine.
«Ti servono delle prove», disse Alice, lo sguardo innocente e aperto.
«Cos’è un giro di shopping senza neanche un completo nuovo? Ti dona proprio, lo dico sul serio».
Sbattei gli occhi, incapace di ricordare come mi avesse agghindata. Non riuscivo a impedire che di secondo in secondo i miei pensieri mi sfuggissero, come insetti di fronte alla luce...
«Jacob sta bene, Bella», disse Alice, interpretando con facilità la mia preoccupazione. «Non avere fretta. Se sapessi quanta morfina extra Carlisle ha dovuto dargli — la febbre alta la bruciava in fretta — capiresti che ne avrà per un po’, prima di riprendersi».
Se non altro non sentiva dolore. Non ancora.
«C’è qualcos’altro di cui vorresti parlare, prima di andartene?», chiese Alice comprensiva. «Sarai traumatizzata, e non poco, immagino». Sapevo di cosa fosse curiosa. Ma avevo altre domande.
«Sarò anch’io così?», domandai in tono dimesso. «Come quella ragazza, Bree, nella radura?».
C’erano tante cose a cui dovevo pensare, ma non riuscivo a togliermi dalla testa la neonata la cui seconda vita era di colpo terminata. Il suo volto, distorto dal desiderio del mio sangue, incombeva quando chiudevo gli occhi.
Alice mi accarezzò un braccio. «Ognuno reagisce in maniera diversa. Comunque, sì, sarà qualcosa del genere».
Restai immobile e cercai di immaginare.
«Passa presto, vedrai», disse.
«Quanto presto?».
Si strinse nelle spalle. «Qualche anno, forse meno. Per te potrebbe essere diverso. Non ho mai assistito a una trasformazione volontaria. Probabilmente sarà interessante vedere come ti comporterai».
«Interessante», ripetei.
«Ti terremo al riparo dai guai».
«Lo so. Mi fido di voi». La mia voce era monocorde, morta. La fronte di Alice s’increspò. «Se sei preoccupata per Carlisle ed Edward, ti assicuro che andrà tutto bene. Sono convinta che Sam stia iniziando a fidarsi di noi... be’, almeno a fidarsi di Carlisle. Tra l’altro, è una buona notizia. Immagino che l’atmosfera si sia fatta un po’ tesa quando Carlisle ha dovuto spezzare di nuovo le fratture...».
«Alice, per favore».
«Scusa».
Respirai a fondo per riprendere la calma. Jacob aveva iniziato a guarire troppo presto e certe ossa si erano saldate nella posizione sbagliata. Durante l’operazione era rimasto privo di sensi, ma era ancora difficile ripensarci.
«Alice, posso farti una domanda? A proposito del futuro...». All’istante passò sulla difensiva. «Sai che non riesco a vedere tutto».
«Non è questo, non esattamente. Però, ogni tanto vedi il mio futuro. Secondo te, perché nessun altro dei vostri poteri funziona, con me? Né quelli di Jane, né quelli di Edward e Aro...», la frase si smorzò assieme al livello del mio interesse. La mia curiosità era debole, pressata da emozioni ben più pesanti.
Tuttavia Alice trovò la domanda molto interessante. «Dimentichi Jasper, Bella: il suo talento agisce sul tuo corpo come su quello di chiunque altro. Questa è la differenza, capisci? Le capacità di Jasper influenzano la sfera fisica. È in grado di calmare o eccitare l’organismo. Non è un’illusione. Io vedo le conseguenze delle decisioni, non i pensieri e le motivazioni che le scatenano; la realtà concreta, o perlomeno una versione di essa. Jane, Edward, Aro e Demetri, invece, agiscono all’interno della mente. Jane crea un’illusione di dolore. Non danneggia il corpo, provoca soltanto una sensazione. Capisci, Bella? La tua mente è un rifugio sicuro. Nessuno ci si può intrufolare. C’è poco da meravigliarsi che Aro fosse tanto curioso delle tue abilità future».
Mi guardava da vicino per assicurarsi che seguissi il ragionamento. In realtà le sue parole avevano cominciato a scorrere tutte assieme e le sillabe e i suoni perdevano il loro significato. Non riuscivo a concentrarmi. Eppure annuivo. Fingevo di avere capito. Non si lasciò ingannare. Mi accarezzò una guancia e mormorò: «Andrà tutto bene, Bella. Non ho bisogno di vedere il futuro per saperlo. Pronta per andare?».
«Solo una cosa. Posso farti un’altra domanda a proposito del futuro? Non voglio dettagli, soltanto una panoramica».
«Farò del mio meglio», disse, sempre dubbiosa.
«Mi vedi ancora trasformata in vampira?».
«Oh, questa è facile. Sì, certo che sì».
Annuii lentamente.
Scrutò la mia espressione, un che di inafferrabile nel suo sguardo. «Non sei sicura delle tue decisioni, Bella?».
«Sì. Volevo soltanto una conferma».
«Io posso essere sicura solo quanto lo sei tu, Bella. Lo sai. Se cambiassi idea, ciò che vedo cambierebbe... o, nel tuo caso, scomparirebbe». Sospirai. «Però non accadrà».
Mi cinse con un braccio. «Scusa. Non puoi avere la mia comprensione. Il primo ricordo che ho è l’apparizione del viso di Jasper nel mio futuro: sapevo da sempre che lui sarebbe stato la mia metà. Però hai tutta la mia compassione. Mi dispiace tanto che tu sia costretta a scegliere tra due cose tanto belle».
Mi liberai dal suo abbraccio. «Non dispiacerti per me». Altre persone meritavano compassione. Di certo non io. E non avevo scelte: per farla finita mi occorreva soltanto andare a spezzare un cuore buono. «Vado ad affrontare Charlie». Tornai a casa con il pick-up e trovai Charlie ad aspettarmi, sospettoso come aveva previsto Alice.
«Ciao, Bella. Com’è andato lo shopping?». Così mi salutò quando entrai in cucina. Teneva le braccia incrociate, senza staccare gli occhi dai miei.
«È stato lungo», risposi senza entusiasmo. «Siamo appena tornate». Charlie soppesò il mio umore. «Hai già saputo di Jake, immagino».
«Sì. Gli altri Cullen ci hanno precedute. Esme ci ha detto dove sono Carlisle ed Edward».
«Tu stai bene?».
«Un po’ preoccupata per Jake. Preparo la cena e vado subito giù a La Push».
«Te l’ho detto che quelle moto sono pericolose. Spero che questo ti faccia capire che non scherzavo». Annuii e iniziai a tirar fuori gli ingredienti dal frigo. Charlie si accomodò a tavola. Sembrava più loquace del solito.
«Non penso che ci sia troppo bisogno di preoccuparsi per Jake. Uno che reagisce con tutta quell’energia non può non riprendersi».
«Era sveglio quando sei andato a trovarlo?», domandai voltandomi verso di lui.
«Oh, sì, era sveglio. Avresti dovuto sentirlo... anzi, forse è meglio di no. Credo che nessuno a La Push sia riuscito a non sentirlo. Non so dove abbia imparato quel vocabolario, ma spero che non usi lo stesso linguaggio quando sta con te».
«Oggi aveva buone ragioni di farlo. Come l’hai trovato?».
«A pezzi. Lo hanno trascinato in casa i suoi amici. Per fortuna sono grossi, perché quel ragazzo è un colosso. Carlisle dice che si è rotto la gamba destra, e anche il braccio. In pratica, cadendo dalla moto si è schiacciato il lato destro del corpo». Charlie scosse la testa. «La prossima volta che vengo a sapere che sei andata in moto, Bella...».
«Tranquillo, papà. Non accadrà. Credi davvero che Jake stia bene?».
«Certo, Bella, non preoccuparti. Era abbastanza in sé da sfottermi».
«Sfotterti?», ripetei, sorpresa.
«Già! Tra un insulto alla madre di chissà chi e un riferimento inopportuno a Nostro Signore, ha detto: "Scommetto che oggi sei contento che sia innamorata di Cullen e non di me, eh, Charlie?"». Mi voltai verso il frigo per non mostrargli la mia espressione.
«E come dargli torto? Edward è molto più maturo di Jacob quando in ballo c’è la tua sicurezza, questo devo concederglielo».
«Jacob è molto maturo», borbottai, sulla difensiva. «Sono sicura che non è stata colpa sua».
«Strana giornata, oggi», commentò Charlie dopo un minuto. «Sai, non credo molto alle superstizioni e robaccia simile, ma è strano... sembrava che Billy sapesse che a Jake sarebbe capitato qualcosa di brutto. Per tutta la mattinata è stato nervoso come un agnello il giorno di Pasqua. Mi sa che non ha sentito nemmeno una parola di quel che gli ho detto. E poi, cosa ancora più assurda, ricordi di quando abbiamo avuto quel problema con i lupi, tra febbraio e marzo?».
Mi chinai a prendere una padella nella credenza e mi ci trattenni più a lungo del necessario.
«Sì», bofonchiai.
«Spero che non ricomincino a creare problemi. Stamattina, mentre eravamo fuori in barca, Billy non faceva attenzione né a me né ai pesci, e a un certo punto nel bosco abbiamo sentito ululare i lupi. Erano in tanti, ragazza mia, chiari e forti. Sembrava che fossero arrivati nel villaggio. E la cosa più assurda è che Billy ha girato la barca ed è tornato dritto al molo come se lo avessero chiamato personalmente. Non mi ha neanche sentito, quando gli ho chiesto cosa stava combinando. Il chiasso è terminato prima che ormeggiassimo la barca. Ma all’improvviso Billy moriva dalla fretta, non voleva perdersi la partita, anche se mancavano ore. Borbottava qualcosa a proposito del primo spettacolo... di una partita in diretta? Bella, è stato davvero strano. Be’, ha trovato un’altra partita che diceva di voler vedere ma, accesa la TV, l’ha ignorata. È rimasto tutto il tempo al telefono, ha chiamato Sue, poi Emily, il nonno del tuo amico Quil. Non ho capito perché, ci ha scambiato soltanto delle chiacchiere. Poi fuori sono ricominciati gli ululati. Non ho mai sentito niente di simile: m’è venuta la pelle d’oca. Ho chiesto a Billy — sono stato costretto a urlare, in mezzo a quel caos — se avesse montato delle trappole in cortile. Sembrava che un animale stesse soffrendo sul serio».
Trasalii, ma Charlie era così intento nel racconto che non se ne accorse.
«Ovviamente fino a quel momento non mi ero ricordato di nulla, perché nello stesso istante ho visto Jake tornare a casa. Un minuto prima c’era quell’ululato, poi è sparito... le imprecazioni di Jake lo coprivano. Ha dei bei polmoni, il ragazzo».
Charlie restò in silenzio per un minuto, pensieroso. «Strano che da tutto questo casino sia uscito qualcosa di buono. Non pensavo che sarebbero mai riusciti a liberarsi dello stupido pregiudizio che hanno per i Cullen, laggiù. Invece qualcuno ha chiamato Carlisle e Billy mi è sembrato davvero contento di vederlo. Credevo che dovessimo portare Jake all’ospedale, ma Billy ha voluto che restasse a casa e Carlisle si è detto d’accordo. Immagino che Carlisle sappia come va curato. È stato molto generoso da parte sua rendersi disponibile per tutte le visite a domicilio che dovrà fare. E...». Si trattenne, come se volesse evitare di dire qualcosa. Ma con un sospiro proseguì: «Edward è stato proprio... carino. Sembrava preoccupato per Jacob quanto lo sei tu, come se sdraiato lì ci fosse suo fratello. Aveva uno sguardo...». Charlie scosse la testa. «È un ragazzo beneducato, Bella. Cercherò di ricordarmene. Non ti prometto niente, però». Mi sorrise.
«Non ti costringerò», mugugnai.
Charlie stiracchiò le gambe e sbadigliò. «Che bello essere a casa. Non hai idea di quanto sia minuscola la casetta di Billy. C’erano sette amici di Jake, tutti schiacciati in soggiorno. Era così affollato che non riuscivo a respirare. Hai notato quanto sono grossi i giovani Quileute?».
«Sì, l’ho notato».
Charlie mi fissò, lo sguardo improvvisamente acceso. «Davvero, Bella, Carlisle ha detto che Jake tornerà in piedi in men che non si dica. Ha detto che sta molto meglio di quanto non sembri. Si riprenderà». Annuii.
Jacob mi era sembrato così... stranamente fragile, quando ero corsa a trovarlo, non appena Charlie era uscito da casa sua. Era bendato ovunque: secondo Carlisle non aveva senso ingessarlo, guariva troppo in fretta. Il volto era pallido e accigliato, perso in una sorta di incoscienza, malgrado fosse lucido. Fragile. Grosso com’era, mi era sembrato davvero fragile. Forse era stata soltanto la mia immaginazione, assieme alla consapevolezza che presto mi sarebbe toccato spezzargli il cuore. Quanto avrei voluto che un fulmine mi colpisse e mi dividesse in due. Preferibilmente con dolore. Per la prima volta, rinunciare alla mia umanità mi sembrò un sacrificio. Come se temessi davvero di perdere troppo. Servii la cena a Charlie, sul tavolo vicino al suo gomito, e puntai dritta verso la porta.
«Ehm, Bella? Puoi aspettare solo un secondo?».
«Ho dimenticato qualcosa?», domandai osservando il piatto.
«No, no. Vorrei solo... chiederti un favore». Charlie, accigliato, abbassò lo sguardo. «Siediti... non ci vorrà molto».
Mi sedetti di fronte a lui, un po’ confusa. Cercai di concentrarmi. «Che c’è, papà?».
«Be’, ecco il succo della questione, Bella». Charlie arrossì. «Forse mi sento solo un po’... superstizioso dopo aver passato una giornata così strana con Billy. Però ho questo sospetto. È come se sentissi... che presto ti perderò».
«Non dire sciocchezze, papà», borbottai. «Vuoi o no che continui a studiare?».
«Promettimi soltanto una cosa».
Prima di parlare attesi, pronta a rimangiarmi la parola. «Okay...».
«Mi avvertirai, prima di prendere decisioni importanti? Prima di scappare con lui o cose del genere?».
«Papà...», singhiozzai.
«Dico sul serio. Non creerò nessun putiferio. Dammi solo un po’ di preavviso. Concedimi la possibilità di abbracciarti e dirti addio». Alzai la mano, mentre in cuor mio fremevo. «È una sciocchezza. Però, se ciò ti rende più felice... prometto».
«Grazie, Bella», rispose. «Ti voglio bene, piccola».
«Anch’io ti voglio bene, papà». Gli sfiorai una spalla e scappai dalla tavola. «Se ti serve qualcosa, mi trovi da Billy». Corsi fuori senza voltarmi. Mi ci mancava solo questa, mugugnai tra me durante tutto il tragitto per La Push.
La Mercedes nera di Carlisle non era parcheggiata di fronte a casa di Billy. Notizia buona e cattiva. Ovviamente, avevo bisogno di parlare con Jacob da sola. Eppure, desideravo anche di poter stringere la mano di Edward, come già avevo fatto mentre Jacob era privo di sensi. Impossibile. Ma Edward mi mancava e il pomeriggio assieme ad Alice mi era sembrato davvero lungo. Probabilmente ciò rendeva la mia risposta piuttosto ovvia. Sapevo già di non poter vivere senza Edward. Ma tale certezza non sarebbe servita ad attutire il dolore che stava per arrivare. Bussai piano alla porta.
«Entra pure», disse Billy. Era facile riconoscere il rombo del mio pickup. Mi feci avanti.
«Ciao, Billy. È sveglio?», domandai.
«Si è svegliato circa un’ora fa, appena prima che se ne andasse il dottore. Entra. Penso che ti stia aspettando».
Trasalii e respirai a fondo. «Grazie».
Mi arrestai sulla soglia della stanza di Jacob, incerta se bussare o no. Prima decisi di sbirciare, nella speranza — codarda com’ero — che si fosse riaddormentato. Pensavo di poter aspettare ancora qualche minuto. Socchiusi la porta e mi avvicinai indecisa.
Jacob mi aspettava, con un’espressione calma e rilassata. L’aspetto smarrito e indifeso se n’era andato, rimpiazzato da un’aria neutra. Non c’era vivacità nei suoi occhi scuri. Era difficile guardarlo in volto, ora che sapevo di amarlo. Faceva molta più differenza di quanto avessi immaginato. Chissà se era stato altrettanto difficile per lui, per tutto quel tempo.
Per fortuna, qualcuno gli aveva buttato addosso una coperta. Fu un sollievo non dover vedere l’entità dei danni. Avanzai e chiusi la porta con delicatezza alle mie spalle.
«Ciao, Jake», mormorai.
Non rispose subito. Mi guardò per un istante interminabile. Poi, con un certo sforzo, aggiustò la propria espressione in un sorriso vagamente strafottente.
«Ecco, mi aspettavo proprio una cosa del genere». Sospirò. «La giornata ha preso proprio una brutta piega, direi. Prima scelgo il posto sbagliato, mi perdo lo scontro più importante e la gloria tocca tutta a Seth. Poi Leah decide di comportarsi da idiota per dimostrarci che è forte come noi, e chi è l’idiota che la salva? E ora, questo». Alzò la mano sinistra verso di me, impalata sulla porta.
«Come stai?», sussurrai. Che domanda stupida.
«Un po’ stordito. Il dottor Canino non conosce la dose giusta di antidolorifici per me, così sta andando avanti a tentativi. Temo che abbia esagerato».
«Però non senti dolore».
«No. Se non altro le ferite non le sento», disse e sorrise, di nuovo ironico. Non sapevo cosa dire. Non ne sarei mai uscita. Perché nessuno cercava mai di uccidermi quando desideravo morire?
L’ironia amara abbandonò il volto di Jacob e i suoi occhi si scaldarono. Corrugò la fronte. «E tu come stai?», domandò, e sembrava davvero preoccupato. «Tutto okay?».
«Io?». Restai a fissarlo. Forse aveva davvero preso troppe medicine.
«Perché?».
«Be’, voglio dire, ero più che sicuro che non ti avrebbe fatto del male, ma non avevo idea di come sarebbe andata. Da quando mi sono risvegliato, ho perso un po’ la testa a furia di preoccuparmi per te. Non sapevo se ti avrebbero dato il permesso di venirmi a trovare, cose del genere. L’attesa è stata terribile. Com’è andata? Se l’è presa molto con te? Scusa se mi sono comportato male. Non avrei mai voluto lasciarti sola in quel frangente. Pensavo di restare...».
Mi ci volle un minuto per iniziare a capire. Continuò a vaneggiare, sempre più goffo, finché non colsi il senso del discorso. Poi mi affrettai a rassicurarlo.
«No, no, Jake! Sto bene. Fin troppo, direi. Certo che non è stato cattivo. Magari!».
Spalancò gli occhi, sembrava disgustato. «Cosa?».
«Non si è arrabbiato con me... e nemmeno con te! Con il suo altruismo mi ha persino peggiorato l’umore. Magari mi avesse urlato dietro, o qualcosa del genere. Non che non mi meriti qualcosa di peggio di una sgridata. Ma a lui non importa. Vuole soltanto che io sia felice».
«Non si è arrabbiato?», domandò Jacob, incredulo.
«No. È stato... fin troppo gentile».
Jacob mi fissò per un altro minuto e all’improvviso si fece scuro in volto.
«Be’, maledizione!», ruggì.
«Cosa c’è che non va, Jake? Ti fa male?». Le mie mani gesticolavano senza meta, mentre cercavo i suoi tranquillanti.
«No», mugugnò disgustato. «Non posso crederci! Non ti ha dato ultimatum o cose del genere?».
«Nemmeno per scherzo... Cosa c’è che non va?».
Si rabbuiò e scosse la testa. «In un certo senso, contavo sulla sua reazione. Accidenti. È più bravo di quanto pensassi». Il tono della sua voce, malgrado la rabbia intensa, mi ricordò che Edward aveva riconosciuto in Jacob uno scarso senso morale. Il che significava che Jake aveva ancora una speranza, era ancora disposto a combattere. Con un fremito, sentii la lama affondare.
«Non sta giocando, Jake», dissi a bassa voce.
«Certo che sì. Sta giocando duro almeno quanto me, soltanto che lui sa cosa fare e io no. Non è colpa mia, se come manipolatore è meglio di me... non ho abbastanza esperienza per smascherare tutti i suoi trucchi».
«Non mi sta manipolando!».
«Invece sì! Vuoi deciderti o no a svegliarti e capire che non è perfetto come pensi?».
«Se non altro non ha minacciato di uccidersi per convincermi a baciarlo», sbottai. Pronunciata l’ultima parola, arrossii di vergogna. «Alt. Come non detto. Mi ero giurata che non ne avrei più parlato». Respirò a fondo. Quando riprese a parlare era più calmo. «Perché no?».
«Perché non sono venuta a incolparti di nulla».
«Però è vero», disse calmo. «È ciò che ho fatto».
«Non m’importa, Jake. Non sono arrabbiata».
Sorrise. «Neanche a me importa. Sapevo che mi avresti perdonato, e sono contento che tu l’abbia fatto. Lo rifarei. Almeno qualcosa mi rimane. Almeno ti ho fatto capire che mi ami. È già qualcosa».
«Davvero? Pensi che vada meglio, ora che sono uscita allo scoperto?».
«Penso che sia giusto che tu conosca i tuoi sentimenti. Così non ti sorprenderai, il giorno in cui sarai una vampira sposata e capirai che è troppo tardi».
Scossi la testa. «No, non mi riferivo a me. È a te che va meglio, dopo avermi fatto scoprire che sono innamorata di te? Tutto sommato, non cambia le carte in tavola. Non ti avrei reso la vita più facile, se non ti avessi dato qualche indizio?». Prese la mia domanda sul serio, come desideravo, e prima di rispondere ci pensò sopra per bene. «Sì, sono contento di avertelo fatto scoprire», concluse infine. «Se non lo avessi capito... avrei continuato ad avere dubbi sulla tua decisione. Adesso lo so. Ho fatto tutto il possibile». Respirò incerto e chiuse gli occhi. A quel punto non resistetti — non era possibile — all’istinto di rassicurarlo. Attraversai la cameretta, m’inginocchiai accanto alla sua testa, senza sedermi sul letto perché temevo di sballottarlo e fargli male, e mi chinai sfiorandogli una guancia con la fronte. Jacob sospirò e con la mano mi toccò i capelli, per trattenermi.
«Mi dispiace tanto, Jake».
«Sapevo che sarebbe stato difficile. Non è colpa tua, Bella».
«No, anche tu», borbottai. «Per favore».
Si allontanò per guardarmi. «Cosa?».
«È colpa mia. Sono stufa di sentirmi dire il contrario». Sorrise. Ma i suoi occhi non si accesero. «Vuoi che ti costringa a stare in ginocchio sui ceci?».
«Be’... lo sono già».
Increspò le labbra mentre valutava la mia sincerità. Un sorriso apparve fugace, ma il suo sguardo si fece subito torvo e grave.
«Restituirmi il bacio in quella maniera è stato un gesto imperdonabile». Mi trafisse con le sue parole. «Se già sapevi che ti saresti ritirata, forse avresti dovuto essere meno convincente». Con un fremito, annuii. «Mi dispiace tanto».
«Dispiacerti non serve a niente, Bella. Cosa ti è passato per la testa?».
«Niente», sussurrai.
«Avresti dovuto mandarmi a morire e basta. In fondo è ciò che vuoi».
«No, Jacob», pigolai combattendo contro le lacrime. «No! Mai!».
«E neppure piangi?», domandò, la voce di colpo normale. Scattò impaziente sul letto.
«Invece sì», borbottai, mentre una debole risata sgorgava con le lacrime che di colpo divennero singhiozzi.
Si spostò, allungando la gamba buona come se cercasse di alzarsi dal letto.
«Cosa fai?», domandai in lacrime. «Stai sdraiato, idiota, o ti farai male!». Scattai in piedi e spinsi giù la spalla buona, con due mani. Si arrese e arretrò, tossì di dolore ma riuscì ad afferrarmi i fianchi e trascinarmi sul letto, accanto al fianco sano del suo corpo. Mi raggomitolai dov’ero e cercai di soffocare quegli stupidi singhiozzi contro la sua pelle calda.
«Non riesco a credere che tu pianga sul serio», borbottò accarezzandomi le spalle. «Ho detto quel che ho detto solo perché lo volevi tu, sai. Non facevo sul serio».
«Lo so». A fatica, respirai a fondo, cercando di controllarmi. Com’era possibile che fossi io quella che piangeva e lui quello che mi tranquillizzava? «Però è tutto vero. Grazie per averlo detto ad alta voce».
«Guadagno qualche punto, visto che ti ho fatto piangere?».
«Certo, Jake». Accennai un sorriso. «Tutti quelli che vuoi».
«Non preoccuparti, piccola. Troveremo un modo».
«Non vedo quale», mugugnai.
Picchiettò sulla mia testa. «Mi farò da parte e mi comporterò bene».
«Stai bluffando?», domandai, inclinando la testa in modo che potesse vedermi in faccia.
«Forse». Rise, sforzandosi un po’, poi si ritrasse. «Ma ci proverò». Aggrottai le sopracciglia.
«Non essere così pessimista. Concedimi un po’ di fiducia».
«Cosa vuol dire che farai il bravo?».
«Sarò tuo amico, Bella», disse calmo. «Non ti chiederò di più».
«Temo che sia troppo tardi, Jake. Come facciamo a essere amici se ci amiamo così?».
Guardò il soffitto, concentrato, come se stesse leggendo qualcosa. «Forse... dovrà essere un’amicizia a distanza». A denti serrati, lieta che non mi stesse guardando in faccia, combattevo contro i singhiozzi che minacciavano di sopraffarmi di nuovo. Cercavo di essere forte, ma proprio non sapevo come fare...
«Conosci quella storia nella Bibbia?», domandò Jacob all’improvviso, senza staccare gli occhi dal soffitto vuoto. «Quella del re e delle due donne che si contendono il bambino?».
«Certo. Re Salomone».
«Esatto. Re Salomone», ripeté. «Ed egli disse: "Tagliate il bambino in due"... ma era soltanto per metterle alla prova. E vedere chi sarebbe stata disposta a rinunciare alla propria metà pur di salvarlo».
«Sì, ricordo».
Tornò a guardarmi in faccia. «Non voglio più spezzarti a metà, Bella». Capivo bene il senso delle sue parole. Stava dicendo di volersi arrendere perché mi amava con tutto se stesso. Avrei voluto prendere le parti di Edward, spiegare a Jacob che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa se gliel’avessi chiesto, se glielo avessi permesso. L’unica che non poteva rinunciare alle proprie decisioni ero io. Ma non aveva senso iniziare una discussione che avrebbe soltanto peggiorato la ferita. Chiusi gli occhi nello sforzo di controllare almeno la mia sofferenza. Per un istante restammo in silenzio. Sembrava aspettare che dicessi qualcosa; io cercavo di pensare a cosa dire.
«Posso dirti qual è la cosa peggiore?», domandò incerto, di fronte al mio silenzio. «Ti dispiace? Farò il bravo, davvero».
«Servirà?», sussurrai.
«Magari. Male non fa».
«Dimmi, qual è la cosa peggiore?».
«La cosa peggiore è sapere come sarebbe stato».
«Come avrebbe potuto essere». Sospirai.
«No». Jacob scosse la testa. «Io sono perfetto per te, Bella. Non avremmo dovuto sforzarci, mai... sarebbe stato immediato, facile come respirare. Mi avresti naturalmente trovato nel cammino della tua vita». Fissò il vuoto per un momento e attesi che riprendesse. «Se il mondo fosse come dovrebbe, se non ci fossero né mostri né magia...». Capivo ciò che vedeva, e sapevo che aveva ragione. Se il mondo fosse stato il luogo normale che fingeva di essere, io e Jacob saremmo rimasti insieme. E saremmo stati felici. Era la mia anima gemella, in quel mondo, e lo sarebbe rimasto, se a metterlo in ombra non fosse arrivato qualcosa di più forte, di così forte da non poter esistere in un mondo razionale. Era così anche per lui? Esisteva qualcosa in grado di eclissare un’anima gemella? Dovevo sforzarmi di crederci.
Due futuri, due anime gemelle... troppo per una persona sola. E non era affatto giusto che non fossi l’unica a pagarne le conseguenze. Il dolore di Jacob mi sembrava un prezzo troppo alto. Al pensiero rabbrividii e mi domandai cosa sarebbe stato dei miei tentennamenti se non avessi perso Edward una volta. Se non avessi scoperto la vita senza di lui. Non lo sapevo. Quella sicurezza mi apparteneva così profondamente che non riuscivo a immaginarmi senza.
«È come una droga per te, Bella». Il suo tono era rimasto gentile, niente affatto critico. «Ormai ho capito che senza di lui non puoi vivere. È troppo tardi. Ma io sarei stato una scelta più sana. Non una droga: io sarei stato l’aria, il sole».
Accennai un sorriso malinconico. «Anch’io ne ero convinta, sai. Eri come un sole. Il mio sole personale. Il rimedio migliore alle mie nuvole». Sospirò. «Con le nuvole posso farcela. Ma non posso cavarmela contro un’eclissi».
Sfiorai il suo viso e gli posai la mano sulla guancia. Fece un sospiro e chiuse gli occhi. Tutto taceva. Per un minuto sentii soltanto il battito del suo cuore, lento e regolare.
«Dimmi qual è la cosa peggiore per te», sussurrò.
«Temo che sia una cattiva idea».
«Per favore».
«Non voglio ferirti».
«Per favore».
Come potevo negarglielo a quél punto?
«La cosa peggiore...». Dopo una pausa, lasciai che le parole sgorgassero in un flusso di sincerità. «La cosa peggiore è che ho visto tutta... la nostra vita assieme. E la desidero, Jake, la desidero più di ogni cosa. Vorrei restare qui e non andarmene mai più. Vorrei amarti e renderti felice. Ma non posso, e mi sento morire. È come tra Sam ed Emily: non ho mai avuto alternative. Ho sempre saputo che niente poteva cambiare. Forse per questo me la sono presa così tanto con te».
Sembrava sforzarsi di controllare il respiro.
«Lo sapevo, non dovevo dirtelo».
Scosse la testa lentamente. «No. Sono lieto che tu l’abbia fatto. Grazie». Mi baciò la fronte e sospirò. «Adesso faccio il bravo». Alzai gli occhi e lo vidi sorridere.
«Allora ti sposi, eh?».
«Non siamo costretti a parlarne».
«Dai, raccontami un po’. Chissà quanto passerà prima che ci parliamo di nuovo».
Per rispondere dovetti aspettare ed essere certa che la voce non mi si sarebbe spezzata.
«In realtà non è stata un’idea mia, ma... sì. Lui ci tiene molto. Perciò mi sono detta: perché no?».
Jake annuì. «Giusto. In fondo non è questa gran cosa... a confronto». Il suo tono di voce era molto calmo e razionale. Restai a guardarlo, curiosa di capire come facesse a trattenersi, e rovinai tutto. Per un istante incrociò il mio sguardo, poi si voltò. Prima di parlare aspettai che il suo respiro fosse di nuovo sotto controllo.
«Sì, a confronto», ripetei.
«Quanto ti resta?».
«Dipende da quanto occorrerà ad Alice per mettere in piedi un matrimonio». Soffocai un lamento, immaginando cos’avrebbe organizzato.
«Prima o dopo?», chiese a bassa voce.
Sapevo cosa intendeva. «Dopo».
Annuii. Per lui fu un sollievo. Chissà quante notti insonni gli aveva procurato il pensiero del giorno del mio diploma.
«Hai paura?», sussurrò.
«Sì», risposi, a mezza voce.
«Di cosa?». A quel punto lo sentivo appena. Guardava fisso le mie mani.
«Di un sacco di cose». Mi sforzai di alleggerire la voce, ma senza perdere la sincerità. «Non sono mai stata molto masochista, perciò sono tutt’altro che impaziente di soffrire. E vorrei che ci fosse una maniera di tenerlo lontano perché non voglio che soffra con me, ma temo che non ci siano alternative. Poi dovrò fare i conti con Charlie, con Renée... E più avanti, presto, spero che sarò in grado di controllarmi. Non vorrei diventare una minaccia così pericolosa da costringere il branco a evitarmi». Mi fissò con uno sguardo di disapprovazione. «Il primo dei miei fratelli che ci prova, lo azzoppo».
«Grazie».
Si sforzò di sorridere. Poi si rabbuiò. «Ma non è più pericoloso di come dici? Tutte le storie raccontano che è difficilissimo, che perdono il controllo... e di gente che muore». Deglutì.
«No, non ho paura. Sciocco Jacob... così grande e grosso, credi ancora alle storie di vampiri?».
Ovviamente non gradì il mio tentativo di ironia.
«Be’, comunque, le preoccupazioni sono tante. Ma alla fine ne varrà la pena».
Annuì senza convinzione, sapevo che non era affatto d’accordo con me. Allungai il collo per sussurrargli all’orecchio, la guancia contro la sua pelle calda. «Lo sai quanto bene ti voglio».
«Lo so», sospirò e con il braccio strinse automaticamente i miei fianchi.
«Sai quanto vorrei che potesse bastare».
«Sì».
«Ti aspetterò sempre, dietro le quinte, Bella», promise in tono più tranquillo e mollò la presa. Mi allontanai, schiacciata da una sensazione di perdita e di vuoto, straziata dalla separazione e dall’addio alla parte di me che restava al suo fianco in quel letto. «Se ti va, avrai sempre una seconda scelta».
Mi sforzai di sorridere. «Finché il mio cuore batterà». Sogghignò. «Sai, penso che potrei accettarti anche dopo, forse. Mi sa che dipende da quanto puzzerai».
«Posso tornare a trovarti? O preferisci di no?».
«Ci penso su e ti faccio sapere», disse. «Potrei aver bisogno di compagnia, per non impazzire. Il magnifico chirurgo vampiro non mi ha ancora dato il permesso di trasformarmi; dice che rischio di rovinarmi le ossa». Jacob fece una smorfia.
«Fa’ il bravo e obbedisci a Carlisle. Guarirai più in fretta».
«Certo, certo».
«Chissà quando succederà», dissi. «Chissà quando incrocerai la ragazza giusta».
«Non sperarci troppo, Bella». Il tono di Jacob si fece improvvisamente amaro. «Certo, per te sarebbe un bel sollievo».
«Forse sì, forse no. Probabilmente penserò che non è quella giusta. Chissà quanto sarò gelosa».
«Magari sarà divertente, no?».
«Fammi sapere se vuoi che ritorni, e sarò qui», promisi. Con un sospiro, mi offrì la guancia.
Mi chinai a baciarla con delicatezza. «Ti voglio bene, Jacob». Fece un risolino. «Io ti amo».
Mi guardò uscire dalla stanza con un’espressione indecifrabile negli occhi.