Era tutto pronto.
Mi ero preparata alla gita di due giorni "da Alice" e la borsa con i vestiti mi aspettava sul sedile posteriore del pick-up. Avevo ceduto i biglietti del concerto ad Angela, Ben e Mike. Mike avrebbe invitato anche Jessica, proprio come speravo. Billy aveva preso in prestito la barca del vecchio Quil Ateara e aveva invitato Charlie a una battuta di pesca d’altura, prima dell’inizio della partita. Collin e Brady, i due licantropi più giovani, sarebbero rimasti a proteggere La Push malgrado fossero ragazzini di appena tredici anni. Tutto sommato, Charlie era più al sicuro di qualsiasi abitante di Forks.
Avevo fatto tutto il possibile. Provai a farmene una ragione e a non pensare più alle cose che non potevo controllare personalmente, almeno per quella notte. In un modo o nell’altro, entro quarantotto ore tutto sarebbe finito. Bastava pensarci per rasserenarmi un poco. Edward voleva vedermi rilassata e avrei cercato di accontentarlo.
«Possiamo provare, almeno per questa notte, a scordare tutto il resto, eccetto noi due?», aveva detto, scatenando tutta la forza del suo sguardo su di me. «Sembra che non riusciamo più a stare da soli. Ho bisogno di stare con te. Soltanto con te».
Non era una richiesta difficile da assecondare, anche se sapevo che dimenticare le mie paure era più facile a dirsi che a farsi. Avevo altro per la testa, ma mi aiutava sapere che avevamo una notte intera a disposizione. C’erano stati dei cambiamenti.
Per esempio, ero pronta.
Pronta a entrare a far parte della sua famiglia e del suo mondo. La paura, il senso di colpa e l’angoscia che provavo me l’avevano fatto capire. Mentre fissavo la luna, appoggiata a un licantropo, avevo avuto l’occasione di riflettere e sapevo che non mi sarebbe venuto di nuovo il panico. Un attacco non mi avrebbe colta di sorpresa. Sarei stata un aiuto, non una preoccupazione. Edward non sarebbe stato costretto a scegliere tra me e la sua famiglia. Saremmo stati compagni di vita, come Alice e Jasper. Finalmente avrei fatto la mia parte.
Dovevo aspettare che la spada di Damocle sparisse da sopra la mia testa, per vedere Edward più tranquillo. Ma non era più necessario sforzarmi. Ormai ero pronta.
Mancava solo un dettaglio.
Solo uno, perché c’erano anche cose che non erano cambiate, compreso il modo disperato in cui lo amavo. Avevo avuto parecchio tempo per pensare alle implicazioni della scommessa di Jasper ed Emmett e mi ero resa conto di ciò che ero disposta a perdere insieme alla mia umanità, di ciò che non ero disposta a lasciarmi sfuggire. Avevo capito quale esperienza umana ero decisa a vivere prima di essere trasformata. Perciò quella notte avevamo diverse cose da sistemare. Dopo ciò che avevo passato nei due anni precedenti, la parola "impossibile" era uscita dal mio vocabolario. Ci voleva ben altro per fermarmi.
Sì, d’accordo, probabilmente sarebbe stato molto più complicato di quel che immaginavo. Ma ci avrei provato.
Determinata com’ero, il nervosismo che avvertivo in macchina, mentre guidavo verso casa sua, non fu una sorpresa. Non sapevo come fare ciò che stavo per provare a fare, e questo bastava a inquietarmi non poco. Lui, seduto accanto a me, si sforzava di non ridere della mia guida da lumaca. Ero sorpresa che non avesse insistito per prendere il volante, ma quella sera sembrava contento di andare alla mia velocità.
Era notte quando arrivammo a casa. Tuttavia, il prato era illuminato dalla luce che usciva dalle finestre. Non appena spensi il motore, corse ad aprirmi la portiera. Mi tirò fuori dall’abitacolo con un braccio, mentre con l’altro faceva sgusciare la borsa dal sedile e se la metteva in spalla. Le sue labbra incontrarono le mie, mentre lo sentivo chiudere con un calcio la portiera. Senza interrompere il bacio, mi cullò, poi mi strinse ancora più forte tra le sue braccia e mi portò in casa.
La porta principale era già aperta? Chissà. Ormai eravamo dentro e io ero frastornata. Dovetti ricordarmi di respirare.
I suoi baci non mi spaventarono. Non era più come quando sentivo la paura e il panico sfuggire al suo autocontrollo. Le sue labbra non erano più ansiose, ma entusiaste e impazienti come me all’idea di avere una notte tutta per noi. Continuò a baciarmi per diversi minuti, accanto all’entrata; sembrava meno guardingo del solito, le sue labbra fredde desideravano le mie.
Iniziai a provare un cauto ottimismo. Forse ottenere quel che volevo non era difficile come pensavo.
Ma no, era ovvio che sarebbe stato difficile.
Con una risatina mi allontanò.
«Benvenuta a casa», mi disse, i suoi occhi erano chiari e intensi.
«Suona davvero bene», risposi, senza fiato.
Con gentilezza mi appoggiò a terra. Lo cinsi con entrambe le braccia, incapace di separarmi da lui.
«Ho una cosa per te», disse, in tono colloquiale.
«Eh?».
«Il regalo riciclato, ricordi? Mi hai dato il permesso...».
«Già, è vero. Mi sa che te l’ho dato».
Rise della mia riluttanza.
«È su, in camera mia. Vado a prenderlo?».
Camera sua? «Certo». Ero entusiasta, ma risposi in tono evasivo e strinsi le sue dita tra le mie. «Andiamo».
Era ansioso di darmi il mio non-regalo, perché si mosse a una velocità sovrumana. Mi prese di nuovo in braccio e quasi volò per le scale, fino in camera sua. Mi depositò davanti alla porta e sfrecciò verso l’armadio. Fu di ritorno prima che riuscissi a fare un passo, ma lo ignorai e andai verso il grande letto dorato, mi lasciai cadere sul bordo e scivolai verso il centro. Mi accoccolai, abbracciandomi le ginocchia.
«Okay», brontolai. Ora che avevo raggiunto la meta, potevo permettermi un minimo di riluttanza. «Dammelo».
Edward rise.
Salì sul letto, si sedette accanto a me e il ritmo del mio cuore si fece irregolare. Speravo che la scambiasse per una reazione di fronte al regalo.
«Un bel regalo riciclato», mi disse serio. Mi prese il polso sinistro e sfiorò per un attimo il braccialetto d’argento. Poi mi restituì il braccio. Lo osservai con attenzione. Dalla parte opposta della catena rispetto al lupo adesso era appeso un cristallo a forma di cuore. Aveva un milione di sfaccettature, perciò brillava in maniera impressionante persino sotto la luce smorzata della lampada. Restai senza fiato.
«Apparteneva a mia madre». E si strinse nelle spalle. «Ho ereditato diversi ciondoli come questo. Ne ho regalato uno a Esme e uno ad Alice. Insomma, è chiaro che non è un granché». Sorrisi mesta a questa sua ultima affermazione.
«Ma mi rappresenta bene, credo», continuò. «È freddo e duro». Rise.
«E, se esposto alla luce, irradia arcobaleni».
«Dimentichi la similitudine più importante», sussurrai. «È bellissimo».
«E il mio cuore è muto come lui», disse fra sé. «Anche quello ti appartiene». Girai il polso per far brillare il cuore. «Grazie. Di avermi regalato entrambi».
«No, grazie a te. È un sollievo vedere che accetti un regalo così, senza problemi. È anche un buon esercizio, per te». Sorrise con i suoi denti splendenti.
Mi avvicinai per accoccolarmi su di lui, affondando la testa sotto il suo braccio. Fu come raggomitolarsi a fianco delDavid di Michelangelo, con la differenza che questa creatura perfetta, marmorea, mi abbracciò e mi strinse a sé.
Come inizio non era male.
«Possiamo parlare di una cosa? Mi farebbe piacere se iniziassi ad ampliare un po’ le tue vedute». Esitò per un momento. «Farò del mio meglio», rispose con cautela.
«Non infrangerò le regole, te lo prometto. È una cosa tra te e me». Mi schiarii la voce. «Insomma... Sono rimasta sorpresa da come siamo riusciti a trovare un compromesso, l’altra sera. Pensavo di applicare lo stesso procedimento a un’altra situazione». Chissà perché ero così formale. Forse per via della tensione.
«Cosa vorresti negoziare?», domandò sorridendo.
Mi sforzai di cercare le parole giuste.
«Ascolta il tuo cuore, sta volando», sussurrò. «Sbatte le ali veloce come un colibrì. Va tutto bene?».
«Benissimo».
«Allora va’ avanti», m’incoraggiò.
«Insomma, prima di tutto volevo parlare con te di quella condizione ridicola legata al matrimonio».
«È ridicola solo per te. Che c’è che non va?».
«Mi chiedevo... è negoziabile?».
Edward aggrottò la fronte e si fece serio. «In realtà ti ho già fatto la concessione più grande in assoluto: ho accettato di toglierti la vita, contro ogni buon senso. E ciò dovrebbe garantirmi un certo numero di compromessi da parte tua».
«No». Scossi la testa, cercando di mantenere la calma. «Su quell’accordo non c’è più niente da discutere. Non ho bisogno di... ritocchi, per ora. Vorrei concentrarmi su altri dettagli». Mi guardò con sospetto. «Quali esattamente?».
Esitai. «Mettiamo in chiaro prima di tutto le condizioni che tu ritieni indispensabili».
«Sai cosa voglio».
«Il matrimonio ». Pronunciai la parola come fosse un insulto.
«Esatto». Fece un gran sorriso. «Tanto per iniziare». La sorpresa rovinò la mia calma composta. «Perché, c’è dell’altro?».
«Be’», disse, concentrato. «Se sei mia moglie, allora quello che è mio è tuo... anche le tasse universitarie. Perciò non avresti problemi con la retta, a Dartmouth».
«E poi? Già che ci sei, puoi tirare fuori qualche altra sciocchezza...».
«Sarebbe carino aspettare ancora un po’».
«No. Non se ne parla. Non ti farò concessioni».
Sospirò, in preda all’ansia. «Soltanto un anno o due?». Scossi la testa, imbronciata e decisa a mostrare che non avrei ceduto.
«Passiamo al prossimo punto».
«Non c’è altro. A meno che tu non voglia parlare di macchine...». Rise della mia smorfia, poi mi prese la mano e iniziò a giocherellare con le dita.
«Non sapevo che tu desiderassi qualche altra cosa, pensavo ti bastasse diventare un mostro. Sono molto curioso di sapere di che si tratta». La sua voce era bassa e morbida. Se non lo avessi conosciuto così bene, non mi sarei accorta che c’era anche una lieve tensione.
Guardai la sua mano sulla mia. Non trovavo le parole. Sapevo di avere i suoi occhi addosso e avevo paura di guardarlo in faccia. Sentii il sangue ribollirmi nelle guance.
Lui le sfiorò con le dita fredde. «Sei arrossita?», domandò sorpreso. Non alzai lo sguardo. «Bella, per favore, questa incertezza mi logora». Non riuscivo a parlare.
«Bella». Il suo tono di rimprovero mi ricordò quanto fosse difficile per lui non sapere cosa pensavo.
«Be’, sono un po’ preoccupata... del dopo», ammisi, e riuscii finalmente a guardarlo in faccia.
Sentii il suo corpo irrigidirsi, ma la voce rimase vellutata e gentile. «Cosa ti preoccupa?».
«Sembrate tutti sicuri che dopo sarò interessata solo a fare a pezzi la gente», confessai. Le mie parole lo fecero sussultare. «E ho paura che sia uno sconvolgimento tale da non permettermi più di essereme stessa , da rendermi... incapace di desiderarti come ti desidero adesso».
«Bella, non sarà così per sempre», mi assicurò.
Non aveva capito.
«Edward», dissi nervosa, con gli occhi fissi su una lentiggine del mio polso. «C’è una cosa che voglio fare prima di perdere la mia natura umana». Aspettò che proseguissi. Ma non lo feci. Sentivo la faccia bollente.
«Tutto ciò che vuoi», m’incoraggiò, ansioso e completamente disorientato.
«Me lo prometti?», mormorai. Sapevo che il tentativo di imbrogliarlo con le sue parole era inutile, ma non riuscii a trattenermi.
«Sì», disse. Alzai gli occhi per vedere la sua espressione seria e confusa.
«Dimmi cosa vuoi, e l’avrai».
Stentavo a credere quanto mi sentivo impacciata e stupida. Ero troppo ingenua. Questo era il nodo della faccenda. Non avevo la più pallida idea di come fare per apparire seducente. Dovevo accontentarmi di essere imbarazzata e timida.
«Voglio te», borbottai in maniera piuttosto incoerente.
«Sono tuo». Sorrise e, ignaro, cercò di catturare il mio sguardo, ma svicolai di nuovo. Mi sollevai per inginocchiarmi sul letto. Poi gli misi le braccia al collo e lo baciai. Lui, confuso ma sincero, ricambiò il bacio. Le sue labbra erano morbide a contatto con le mie, ma sentivo che la testa era altrove. Probabilmente cercava di immaginare cos’avessi io in testa. Gli serviva un indizio. Quando sciolsi l’abbraccio, mi tremavano un po’ le mani. Feci scorrere le dita sulla sua gola, fino a raggiungere il colletto della camicia. Il tremore era d’intralcio, ma cercai ugualmente di slacciare i bottoni. Lui mi fermò. Le sue labbra si bloccarono, riuscii quasi a sentire il campanello che risuonò nella sua testa quando finalmente associò i miei gesti alle parole. D’un tratto mi spinse via, con un’espressione di totale disapprovazione.
«Sii ragionevole, Bella».
«Hai fatto una promessa: tutto ciò che voglio», gli ricordai, senza troppa speranza.
«Non se ne parla nemmeno». Guardandomi, riallacciò i due bottoni che ero riuscita a slacciare.
Serrai le mascelle.
«Invece sì», dissi. Presi tra le dita il primo bottone della mia camicetta e lo slacciai.
Mi afferrò i polsi e me li tenne fermi lungo i fianchi.
«Invece no», disse impassibile.
Ci scambiammo un’occhiataccia.
«Sei tu che mi hai chiesto di parlare», gli feci notare.
«Credevo fosse qualcosa di leggermente più realistico».
«Allora tu puoi chiedermi ogni cosa ridicola che ti passa per la testa, come quella di sposarci, mentre a me non è permesso nemmeno di proporre ciò che...». Mentre sbraitavo, serrò i miei polsi con una mano sola, mentre con l’altra mi copriva la bocca.
«No», disse serio.
Respirai a fondo per ritrovare l’equilibrio. Quando la rabbia iniziò a sbollire, provai una sensazione diversa.
Mi ci volle un po’ per capire perché tenessi di nuovo lo sguardo basso e perché fossi arrossita... perché il mio stomaco fosse sottosopra e i miei occhi umidi, perché all’improvviso sarei voluta uscire di corsa dalla stanza. Mi sentivo respinta. Fu una percezione istintiva e forte, che mi attraversò da capo a piedi. Sapevo che era un fatto del tutto irrazionale. In altre occasioni Edward mi aveva detto chiaramente che la mia incolumità era l’unico fattore in gioco. In realtà non mi ero mai sentita così vulnerabile prima di allora. Guardai torva il copriletto dorato, della stessa tonalità dei suoi occhi, e provai a scacciare la sensazione di essere indesiderata e indesiderabile. Edward sospirò. La mano con cui mi chiudeva la bocca scese sotto al mento e mi sollevò il viso per guardarmi negli occhi.
«Che c’è?».
«Niente», mugugnai.
Mi scrutò a lungo, mentre provavo, inutilmente, a distogliere lo sguardo. Edward increspò la fronte e si fece serio.
«Ti sei offesa?», chiese, turbato.
«No», mentii.
Successe tutto così in fretta che non riuscii bene a rendermene conto, ma all’istante mi ritrovai tra le sue braccia, la testa posata delicatamente tra la spalla e la mano, mentre con il pollice mi accarezzava la guancia per rassicurarmi.
«Sai perché devo dirti di no», mormorò. «Sai che anch’io ti voglio».
«Davvero?», sussurrai, piena di dubbi.
«Certo che sì, ragazzina sciocca, incantevole e ipersensibile». Rise, poi la sua voce si fece fredda. «Tutti ti vogliono, sai? Dietro di me c’è la fila. Cercano tutti di mettersi in buona luce e aspettano solo che io commetta un passo falso... Irresistibile come sei».
«Che sciocchezze dici...». Dubitavo che una persona maldestra, imbarazzata e inetta come me potesse essere anchedesiderabile per qualcuno.
«Devo far firmare una petizione per convincerti? Vuoi i primi nomi della lista? Ne conosci qualcuno, ma certi potrebbero sorprenderti». Scossi la testa contro il suo petto e feci una smorfia. «Stai solo provando a cambiare discorso. Torniamo al punto».
Sospirò.
«Dimmi se c’è qualcosa di sbagliato in me». Provai a fingere distacco.
«Tu pretendi di sposarmi», e non potei pronunciare questa parola senza fare una smorfia, «di pagare le mie tasse universitarie, di avere più tempo a disposizione, e non ti dispiacerebbe se la mia macchina andasse un po’ più veloce». Alzai le sopracciglia. «Ho saltato qualcosa? La lista è bella lunga..».
«Solo la prima è una pretesa». Gli risultò difficile mantenere un’espressione seria. «Le altre sono semplici richieste».
«E la mia unica, solitaria, piccola pretesa...».
«Pretesa?», m’interruppe e si fece di nuovo serio.
«Sì, una pretesa».
Si fece pensieroso.
«Sposarti è una grande concessione. Non acconsentirò se non mi darai qualcosa in cambio».
Abbassò la testa, per sussurrarmi qualcosa all’orecchio. «No», mormorò dolce. «Ora non possiamo. Più avanti, quando sarai meno fragile. Abbi pazienza, Bella». Provai a mantenere un tono di voce fermo e ragionevole. «Ma il problema sta proprio qui. Non sarò la stessa quando sarò meno fragile. Voglio essere la stessa! Non sochi sarò allora».
«Sarai sempre Bella», mi promise.
Aggrottai la fronte. «Com’è possibile che lo sia, se c’è il rischio che perda la testa e che desideri di uccidere Charlie, oppure di bere il sangue di Jacob o Angela?».
«Passerà. E dubito che tu vorrai bere il sangue di un cane». Finse di rabbrividire all’idea. «Anche da neonata, avrai gusti migliori». Ignorai il suo tentativo di sviare il discorso. «Ma sarà comunque il mio desiderio più forte, non è vero?», in tono di sfida. «Sangue, sangue e ancora sangue!».
«Il fatto che tu sia ancora viva ti dimostra che non è vero», mi fece notare.
«Tu hai più di ottant’anni di vantaggio», gli ricordai. «Comunque mi riferivo al lato fisico. Dal punto di vista intellettuale, so che resterò me stessa... dopo un periodo di assestamento. Ma dal punto di vista puramente fisico... avrò sempre e soltanto sete». Non rispose.
«Perciò sarò diversa», conclusi senza incontrare resistenza. «Perché adesso, dal punto di vista fisico, non c’è niente che desideri più di te. Più del cibo, dell’acqua o dell’aria. Dal punto di vista intellettuale l’ordine è leggermente più sensato. Ma dal punto di vista fisico...». Girai la testa per baciargli il palmo della mano. Respirò a fondo e la sua lieve insicurezza mi sorprese.
«Bella, potrei ucciderti», sussurrò.
«Non credo che ci riusciresti».
Si fece pensieroso. Tolse la mano dal mio volto per prendere qualcosa dietro di lui. Udii un leggero schianto e il letto tremò sotto di noi. Aveva una cosa nera in mano, che avvicinò per farmela osservare. Era un fiore di metallo, una delle rose che ornavano la struttura in ferro battuto del baldacchino. Chiuse la mano per un istante, serrò le dita con dolcezza, poi la riaprì.
Senza dire una parola mi offrì il pezzo di metallo accartocciato e informe. Era un calco della sua stretta, come un pezzo di plastilina pressato nel palmo di un bambino. Passò mezzo secondo e la forma si polverizzò. Lo guardai. «Non intendevo questo. So già quanto sei forte. Non devi metterti a spaccare i mobili».
«Che intendevi, allora?», chiese con voce cupa, scrollando il pugno di frammenti metallici in un angolo della stanza. Cadde con un suono simile alla pioggia.
Mentre mi sforzavo di spiegare, mi fissava.
«Non dico che non saresti in grado di farmi del male, se volessi... Ma è chiaro che non vuoi farmi del male... tanto che non credo ci riusciresti mai».
Iniziò a scuotere la testa prima che finissi.
«Potrebbe non andare come dici tu, Bella».
«Potrebbe, certo. Ma nessuno di noi due sa come andrà davvero».
«Esatto. Credi che potrei mai correre un rischio del genere?». Lo fissai negli occhi per un minuto interminabile. Non intravidi nessuna ombra di compromesso, nessun segno di indecisione.
«Ti prego», sussurrai alla fine, rassegnata. «È tutto ciò che desidero. Per favore». Chiusi gli occhi, sconfitta, e attesi il rapido e definitivo no. Ma lui non rispose subito. Esitai incredula, sbalordita nel sentire il suo respiro di nuovo irregolare.
Aprii gli occhi e lessi l’indecisione sul suo volto.
«Per favore», sussurrai di nuovo, con il cuore che batteva sempre più veloce. Le parole uscirono rapide dalla mia bocca, volevo sfruttare il vantaggio improvviso dell’incertezza nei suoi occhi. «Non mi devi promettere nulla. Se non va nel modo migliore, insomma, non ci sarà problema. Almeno... proviamoci. E poi ti concederò quel che vuoi», mi affrettai a promettere. «Ti sposerò. Ti lascerò pagare le mie tasse universitarie e non protesterò per gli agganci con cui mi farai entrare a Dartmouth. Potrai anche comprarmi una macchina veloce, se ciò ti renderà felice! Ma...per favore ».
Mi strinse tra le braccia gelide e avvicinò le labbra al mio orecchio; il suo respiro fresco mi diede i brividi. «È insopportabile. Con tutto ciò che avrei potuto darti... tu mi chiedi proprioquesto. Hai idea di quanto mi costi dover respingere una richiesta come la tua?».
«E allora non respingermi», gli suggerii con il fiato corto. Non reagì.
«Ti prego...», ci riprovai.
«Bella...». Scosse la testa lentamente, ma non sembrava un rifiuto dato che il suo volto e le sue labbra scorrevano avanti e indietro sul mio collo. Sembrava più una resa. Il mio cuore, che già batteva forte, impazzì frenetico. Di nuovo, cercai di sfruttare la situazione. Quando avvicinò il volto al mio con un gesto lento e indeciso, mi voltai rapida e lo baciai. Mi prese il viso tra le mani e pensai che stesse per respingermi di nuovo. Mi sbagliavo.
La sua bocca non era delicata; i suoi movimenti erano tormentati, disperati come mai prima di allora. Gli strinsi le braccia attorno al collo, a contatto con la mia pelle surriscaldata il suo corpo sembrava ancora più freddo del solito. Tremavo, ma non di freddo.
Non smetteva di baciarmi. Fui costretta a staccarmi soltanto per riprendere fiato. Le sue labbra non abbandonarono la mia pelle e si spostarono sul collo. L’eccitazione della vittoria era una strana sensazione che mi faceva sentire potente. Coraggiosa. Le mie mani non erano più insicure; slacciai i bottoni della sua camicia con estrema facilità e le mie dita seguirono il profilo perfetto del suo corpo gelido. Era bellissimo. Qual era la parola che aveva appena usato?Insopportabile , ecco cos’era. Non riuscivo a sopportare tanta bellezza...
Avvicinai di nuovo la sua bocca alla mia, sentivo che mi desiderava quanto io desideravo lui. Con una mano mi teneva ancora il viso, con l’altro braccio mi cingeva la vita per stringermi a sé. Non fu facile raggiungere i bottoni della mia camicetta, ma ci provai. E ci riuscii. Due ceppi freddi, di ferro, mi strinsero i polsi e mi portarono le mani sopra la testa, che si ritrovò all’improvviso sul cuscino. Con una voce calda e vellutata, mi sussurrò all’orecchio: «Bella, vuoi smettere per favore di provare a toglierti i vestiti?».
«Vuoi farlo tu?», domandai confusa.
«Non stanotte», rispose tenero. Le sue labbra erano tornate a muoversi lente sul mio collo, l’urgenza era sparita.
«Edward, non...», cercai di ribattere.
«Non ti sto dicendo di no», mi tranquillizzò. «Ti sto dicendo "non stanotte"». Ci pensai su, mentre il mio respiro si calmava.
«Dammi almeno una ragione per cui stanotte non va bene e un’altra notte sì». Ero ancora senza fiato; ciò rese meno evidente il tono di delusione nella mia voce.
«Non sono nato ieri», mi disse all’orecchio, sorridendo. «Tra noi due, chi credi che sia più riluttante a dare all’altro ciò che vuole? Mi hai promesso che ti trasformerai soltanto dopo che ci saremo sposati ma, se io cedo stanotte, chi mi garantisce che non andrai di corsa da Carlisle domattina? È ovvio, io sono molto meno restio di te a darti quel che vuoi. Perciò... prima tocca a te».
«Prima ti devo sposare?», chiesi incredula.
«Questo è il patto... Prendere o lasciare. Ricordi la storia dei compromessi?». Mi strinse tra le braccia e riprese a baciarmi in un modo che dovrebbe essere dichiarato illegale: così persuasivo, era prepotenza, coercizione. Provai a restare lucida... senza risultato. Mi arresi subito e in maniera assoluta.
«Credo che sia proprio una cattiva idea», dissi ansimando, non appena mi lasciò respirare.
«Non mi sorprende che la pensi così», disse ridendo. «Sei proprio testarda».
«Com’è possibile?», brontolai. «Stanotte pensavo di prendermi ciò che mi spetta — per una volta — e invece, tutto a un tratto...».
«Sei fidanzata», finì la frase.
«Ehi! Per favore, non pronunciare nemmeno quella parola».
«Ora sei tu a rimangiarti la promessa?», chiese. Si allontanò un poco per guardarmi in faccia. Aveva un’espressione divertita. Se la stava spassando. Gli lanciai un’occhiataccia, cercando di ignorare la reazione del mio cuore al suo sorriso.
«Te la vuoi rimangiare?», insistette.
«Uffa! No. Certo che no. Sei contento adesso?».
Il suo sorriso era accecante. «Molto più del solito». Mugugnai una protesta.
«Proprio non sei contenta?».
Prima che potessi rispondere mi baciò di nuovo. Un altro di quei baci troppo convincenti.
«Un po’», ammisi non appena me lo lasciò fare. «Ma non del fatto che ci sposiamo».
Mi baciò di nuovo. «Non ti sembra che tutto vada al contrario?», mi disse, ridendo, all’orecchio. «Secondo la tradizione, tu dovresti sostenere la mia posizione, e io la tua...».
«C’è poco di tradizionale tra noi».
«È vero».
Mi baciò di nuovo e insistette finché il mio cuore non perse il controllo e la mia pelle s’imporporò.
«Senti, Edward», mormorai con voce adulante, quando smise di baciarmi il palmo della mano. «Ti ho detto che ti avrei sposato, e lo farò. Lo prometto. Lo giuro. Sono disposta anche a firmare un contratto con il sangue, se vuoi».
«Non è affatto divertente», sussurrò, le labbra nell’incavo del mio polso.
«Quel che sto cercando di dirti è semplice: non ho intenzione di imbrogliare. Mi conosci bene. Perciò non c’è motivo di aspettare. Siamo da soli: quand’è che succederà di nuovo? E abbiamo a disposizione questo letto grande e comodo...».
«Non stanotte», ribadì.
«Non ti fidi di me?».
«Certo che mi fido».
Con la mano, che stava ancora baciando, gli alzai il viso per poter leggere la sua espressione.
«Allora dov’è il problema? Sai benissimo che alla fine vincerai tu». Aggrottai la fronte e brontolai: «Alla fine vinci sempre tu».
«Perché scommetto sia a favore che contro», disse calmo.
«C’è dell’altro», risposi pensierosa.
Sentivo che era sulla difensiva, che c’era un motivo segreto che stava cercando di nascondere dietro a quel suo fare disinvolto. «Stai forse pensando di rimangiarti la promessa?».
«No», s’impegnò solennemente. «Te lo giuro, ci proveremo. Dopo che ci saremo sposati».
Scossi la testa e mi uscì una risata malinconica. «Mi fai sentire come il cattivo in un melodramma: sto qui ad arricciarmi i baffi e penso a come rubare la virtù di una povera ragazza». Mi guardò con diffidenza, poi si chinò e mi baciò sulla clavicola.
«È così, non è vero?». Scoppiai a ridere, più scioccata che divertita.
«Stai cercando di proteggere la tua virtù!». Mi coprii la bocca con la mano, per nascondere il sorriso. Non riuscii a trattenerlo. Era un discorso così... all’antica.
«No, sciocca», sussurrò, premendo la bocca sulla mia spalla. «È la tua virtù che vorrei proteggere. E tu mi rendi tutto tremendamente difficile».
«Che idea ridicola...».
«Voglio chiederti una cosa», m’interruppe. «Ne abbiamo già parlato, ma ascoltami. Quante persone in questa stanza hanno un’anima, la possibilità di andare in paradiso, o qualsiasi cosa ci sia dopo la morte?».
«Due», risposi immediatamente, con vigore.
«Va bene. Forse è vero. Ora, non tutti la condividono, ma l’opinione comune è che si debbano rispettare delle regole».
«Non ti bastano quelle dei vampiri? Vuoi preoccuparti anche delle regole umane?».
«Male non fa». Si strinse nelle spalle. «Non si sa mai». Gli lanciai un’occhiata torva.
«Dunque, può darsi che per la mia anima sia troppo tardi, anche se dovessi aver ragione tu».
«Niente affatto», risposi arrabbiata.
«"Non uccidere" è una regola condivisa dalle fedi più importanti. E io ho ucciso un sacco di persone, Bella».
«Tutte cattive».
Si strinse nelle spalle. «Forse conta, o forse no. Tu non hai ucciso nessuno...».
«Che tu sappia...», borbottai.
Sorrise, ma ignorò il mio commento. «E farò del mio meglio per tenerti lontana da ogni tentazione».
«Va bene. Ma non sono gli omicidi l’argomento della discussione», gli ricordai.
«Il principio è lo stesso... con l’unica differenza che in questo ambito sono senza macchia, proprio come te. Mi concedi di rispettare almeno una regola?».
«È l’unica?».
«Ho rubato, ho mentito, ho desiderato cose non mie... Mi resta soltanto la mia virtù». E fece uno dei suoi sorrisi sghembi.
«Io mento in continuazione».
«Certo, ma lo fai così male, che in realtà non conta. Non ci crede nessuno».
«Spero davvero che ti sbagli altrimenti tra poco Charlie farà irruzione armato».
«Charlie fa finta di bersi le tue storie. Piuttosto che affrontare le cose da vicino preferisce mentire a se stesso». Sorrise malizioso.
«E cos’avresti desiderato?», chiesi piena di dubbi. «Tu puoi avere tutto».
«Ho desiderato te». E il suo sorriso si spense. «Non ne avevo il diritto, ma ho allungato la mano e ti ho presa ugualmente. E ora, guarda cosa sei diventata! Stai cercando di sedurre un vampiro». Scosse la testa con finto orrore.
«Non è peccato desiderare ciò che è già tuo, lo sai. E poi, pensavo che fossi preoccupato per la mia virtù».
«Lo sono. Se per me è troppo tardi... Be’, andrei all’inferno, e dico sul serio, pur di impedire che ci finisca tu».
«Non puoi lasciarmi andare in un posto in cui tu non ci sarai», dissi.
«Per me quello è l’inferno. Comunque, c’è una soluzione anche a questo: che ne dici di diventare immortali?».
«Sì, sembra davvero facile. Perché non ci ho pensato prima?». Mi sorrise fino a che non sbuffai di rabbia. «Insomma, questo è quanto. Non andremo a letto insieme fino a che non saremo sposati».
«Tecnicamente, i vampiri non hanno bisogno né di dormire né di letti». Alzai gli occhi al cielo. «Molto maturo, Edward, davvero».
«Comunque, eccezion fatta per questo dettaglio, sì, hai ragione».
«Secondo me c’è un altro motivo».
Spalancò gli occhi, ingenuo. «Un altro?».
«Tu sai che questo accelererà i tempi», lo accusai.
Cercò di non sorridere. «C’è una sola cosa che vorrei accelerare, il resto può attendere in eterno... ma è vero, i tuoi ormoni impazienti sono il mio migliore alleato in questa battaglia».
«Non riesco a credere di esserci cascata. Se penso a Charlie... e a Renée!
Cosa penserà Angela? O Jessica? Uffa. Sento già i pettegolezzi». Alzò un sopracciglio, e sapevo perché. Che importava cosa dicevano di me? Presto sarei partita, per non tornare mai più. Ero davvero così ipersensibile da non poter sopportare un paio di settimane di sguardi sospetti e domande tendenziose?
Probabilmente mi sentivo così infastidita soltanto perché anch’io avrei spettegolato, se qualcuno dei miei amici si fosse sposato entro l’estate. Oddio. Sposarsi entro l’estate! Rabbrividii.
E inoltre, mi sentivo infastidita perché i miei mi avevano insegnato a guardare con terrore al matrimonio.
Edward interruppe i miei pensieri. «Non c’è bisogno di fare le cose in pompa magna. Non voglio grandi celebrazioni. Non dovrai dirlo a nessuno, né fare alcun cambiamento. Andremo a Las Vegas... potrai indossare i tuoi vecchi jeans, andremo in una di quelle cappelle in cui basta aprire il finestrino, senza nemmeno scendere dall’auto. Voglio soltanto rendere ufficiale il nostro legame: voglio che tu appartenga a me e anessun altro ».
«La cosa non potrà essere più ufficiale di quanto lo è adesso», brontolai. Ma come descrizione non era male. Peccato per Alice, sarebbe rimasta un po’ delusa.
«Ne riparleremo». E sorrise compiaciuto. «Suppongo che in questo momento non ti vada di ricevere un anello». Deglutii prima di rispondere. «La tua supposizione è corretta». Rise della mia espressione. «Fantastico. Ma te lo metterò al dito presto». Gli lanciai un’occhiataccia. «Parli come se l’avessi in tasca».
«Proprio così», ribatté in modo sfacciato. «Sono pronto ad approfittare del tuo primo momento di distrazione».
«Sei incredibile».
«Vuoi vederlo?», mi chiese. Il topazio liquido dei suoi occhi si accese di entusiasmo.
«No!», urlai quasi, senza pensarci su. Me ne pentii all’istante. Anche lui ci rimase male. «A meno che non desideri davvero mostrarmelo», aggiunsi. Serrai la bocca per non mostrare il mio terrore irrazionale.
«Non c’è problema», si strinse nelle spalle. «Posso aspettare». Sospirai. «Fammi vedere quel maledetto anello, Edward». Scosse la testa. «No».
Studiai la sua espressione per un istante interminabile.
«Per favore», dissi calma, sperimentando l’arma di persuasione che avevo appena scoperto di possedere. Con la punta delle dita gli toccai con delicatezza il volto. «Per favore, posso vederlo?». Affilò lo sguardo. «Sei la creatura più pericolosa che abbia mai incontrato», mormorò. Poi si alzò e s’inginocchiò con grazia inconsapevole accanto al comodino. Un istante dopo era di nuovo sul letto, accanto a me, e mi cingeva le spalle con un braccio. Teneva in mano una scatolina nera. La mise in bilico sul mio ginocchio sinistro.
«Avanti allora, aprila», disse in modo brusco.
Prendere quella scatolina inoffensiva fu più difficile di quanto pensassi, ma non volevo ferirlo di nuovo, così provai a fermare il tremore della mia mano. La superficie era morbida, in raso nero. La sfiorai con le dita, indecisa.
«Hai speso un sacco di soldi, vero? Menti pure, se l’hai fatto».
«Non ho speso nulla», mi rassicurò. «È solo un altro riciclaggio. È l’anello di fidanzamento di mia madre».
«Ah». La mia voce si riempì di sorpresa. Strinsi il coperchio tra il pollice e l’indice, ma non riuscii ad aprirlo.
«Immagino che sia un po’ fuori moda», si scusò, divertito. «All’antica, come me. Ti posso far avere qualcosa di più moderno. Ti andrebbe qualcosa di Tiffany?».
«Mi piacciono le cose fuori moda», mormorai e aprii esitante il coperchio. Protetto dal satin nero, l’anello di Elizabeth Masen brillava alla luce fioca. Era un ovale allungato, coperto da file oblique di pietre tonde e luccicanti. La montatura era d’oro giallo, sottile e delicata. Loro formava una rete finissima attorno ai diamanti. Non avevo mai visto nulla del genere. Senza pensarci accarezzai le gemme scintillanti.
«Che carino», mormorai sorpresa.
«Ti piace?».
«È bellissimo». Alzai le spalle, fingendo di non essere interessata. «Perché non dovrebbe piacermi?». Ridacchiò. «Guarda se ti va bene».
La mia mano sinistra si strinse in un pugno.
«Bella», disse. «Non te lo salderò al dito. Vorrei solo che te lo provassi per vedere se la misura è giusta. Dopo te lo puoi togliere».
«Bene», borbottai.
Feci per prenderlo, ma le sue dita lunghe furono più veloci. Mi prese la mano sinistra e infilò l’anello all’anulare. Mi sollevò la mano ed entrambi osservammo l’anello brillare al contrasto con la mia pelle. Portare un anello al dito non era orribile come temevo.
«Misura perfetta», disse quasi indifferente. «Non c’è male... mi risparmia un viaggio dall’orefice».
Dietro al tono disinvolto della sua voce percepii una forte emozione e lo guardai in faccia. L’emozione traboccava anche dagli occhi, malgrado tutti i suoi sforzi.
«Ti piace, non è vero?», domandai sospettosa, muovendo le dita e rimpiangendo di non essermi rotta la mano sinistra. Alzò le spalle. «Certo», disse con disinvoltura. «Ti sta davvero bene». Lo guardai negli occhi, cercando di decifrare l’emozione che covava. Anche lui mi guardò e all’improvviso ogni accenno di finzione sparì. Era raggiante e il suo viso d’angelo sprizzava gioia da tutti i pori. Era così magnifico da lasciarmi senza fiato. Prima che potessi riprendere a respirare, mi baciò, esultante. Ero stordita. Quando mosse la bocca per sussurrarmi qualcosa all’orecchio notai che il suo respiro era irregolare come il mio.
«Sì, mi piace. E non sai quanto».
Risi, con il fiato grosso. «Ci credo».
«Ti dispiace se faccio una cosa?», sussurrò, stringendomi nell’abbraccio.
«Tutto ciò che vuoi».
Mi lasciò andare e scivolò via.
«Questo no, però», mi lamentai.
Mi ignorò, mi prese per mano e mi fece alzare dal letto. Stava in piedi di fronte a me, con le mani sulle mie spalle, serio.
«Invece voglio farlo come si deve. Per favore,per favore , ricordati che mi hai già detto di sì, e non rovinare tutto».
«Oh, no», esclamai, e lo vidi inginocchiarsi davanti a me.
«Sii gentile», mormorò.
Respirai a fondo.
«Isabella Swan?». Mi guardò da dietro quelle ciglia incredibilmente lunghe, con i suoi occhi dorati, dolci e al tempo stesso ardenti. «Prometto di amarti per sempre, ogni singolo giorno, per l’eternità. Mi vuoi sposare?». Avrei voluto dire un sacco di cose, alcune niente affatto belle, altre vergognosamente sdolcinate e romantiche, che forse nemmeno nei suoi sogni mi aveva mai sentito dire. Eppure, invece di sentirmi in imbarazzo, sussurrai: «Sì».
«Grazie», rispose senza aggiungere altro. Poi mi prese la mano e le sue labbra sfiorarono la punta di ogni dito, prima di baciare l’anello che ormai era mio.